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«Death panels» era stata ribattezzata dai critici la misura contenuta nella riforma sanitaria voluta da Obama che prevedeva la possibilità per gli ultra sessantacinquenni di avere un colloquio informativo riguardo alle scelte di fine vita con un medico pagato con soldi pubblici. Una sorta di testamento biologico finanziato dai contribuenti americani, se è vero che il paziente avrebbe potuto esprimere, nell'occasione, precise volontà circa eventuali trattamenti medici.
Il contrasto stridente tra quel «death» (morte) e il «care» (prendersi cura) tanto caro ad Obama, così attento a garantire assistenza medica a tutti i cittadini, è sufficiente a spiegare la forte opposizione manifestatasi a livello politico e di opinione pubblica negli ambienti prolife americani.
Un'opposizione che ha sortito l'effetto desiderato, stando a quanto riportato dal New York Times in un recente articolo, dove si dava notizia della «repentina marcia indietro dell'Amministrazione Obama in merito alle disposizioni sul fine vita». In pratica il provvedimento è stato ritirato. La decisione è per molti aspetti sorprendente anche in considerazione del fatto che le novità erano entrate in vigore con l'avvento del 2011. Funzionari della Casa Bianca hanno giustificato l'inversione di rotta con motivi procedurali: non sarebbero stati rispettati i tempi necessari al recepimento delle osservazioni delle parti interessate dalle nuove disposizioni.
Ma è lo stesso New York Times ad affermare che sicuramente esistono anche ragioni politiche. La riforma è infatti finita nel mirino della nuova maggioranza repubblicana alla Camera e quello dell'"Annual wellness visit" – "visita annuale per il benessere", questa la rassicurante espressione con la quale veniva chiamato il colloquio tra i medici e gli anziani – avrebbe potuto rivelarsi un argomento capace di esasperare lo scontro. I provvedimenti riguardanti il "fine vita" avevano suscitato immediate polemiche poiché non erano contenuti nel testo sottoposto al voto parlamentare, ma furono introdotti con un regolamento solo in un secondo momento.
Già nell'estate 2009 Sarah Palin, candidata alla vicepresidenza alle elezioni che videro il trionfo di Obama, lanciò l'allarme su possibili misure che avrebbero portato a decidere chi sarebbe stato degno di cure e chi no. John Boehner, oggi nuovo speaker repubblicano alla Camera, aveva parlato di una pericolosa deriva verso l'eutanasia incoraggiata dal governo. Adesso non manca chi, come il bioeticista e commentatore Wesley Smith, parla di un segnale di debolezza da parte della Casa Bianca.
E che i repubblicani facciano sul serio lo dimostra il voto tenutosi ieri proprio alla Camera, che ha visto compiersi il primo passo verso l'abrogazione della riforma: 236 i favorevoli – tra cui 4 democratici – a fronte di 181 contrari in merito all'opportunità di inserire nell'agenda parlamentare il voto sulla cancellazione totale dell' "Obamacare", previsto per il 12 gennaio prossimo.
Un segnale dal valore esclusivamente politico, vista la già dichiarata intenzione dei Democratici di stoppare il cammino repubblicano al Senato, che giunge però in un momento in cui è proprio la Casa Bianca a mostrare incertezze significative.
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