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Leggo su Avvenire la replica dell'On.le Carlo Casini al pezzo di Palmaro e Gnocchi sul Foglio, e mi pare francamente di avere a che fare con un clamoroso errore di prospettiva.
Nessuno discute le intenzioni del Presidente del Movimento per la Vita italiano: ma la disamina che egli fa della realtà storico-giuridica del problema testamento biologico in Italia è fondata su basi non condivisibili, per non dire errate.
La chiave di lettura per comprendere da quale punto di vista Carlo Casini valuti la questione è ben sintetizzata dall'assunto per cui secondo Casini la sentenza sul caso Englaro e l'ordinanza di archiviazione per il Dott. Riccio nel caso Welby costituirebbero precedenti tali da immutare il diritto vivente. In altri termini, per Casini quelle due pronunce hanno di fatto sdoganato il testamento biologico (quando non l'eutanasia) nel nostro ordinamento.
Ora, questo assunto è errato nel merito, nel metodo e nella prospettiva.
E' errato nel metodo, poiché nessun giurista potrebbe seriamente affermare che una sola pronuncia della Cassazione, per giunta non resa a Sezioni Unite e vertente su una caso particolarissimo nel merito e nell'iter processuale, possa costituire "giurisprudenza" tale non solo di scardinare tutte le precedenti pronunce della medesima Corte in tema di consenso informato all'atto medico o di omicidio del consenziente ed assistenza al suicidio, ma addirittura di sovvertire e superare due espresse norme del nostro Codice Penale quali sono gli articoli 579 e 580. E se ciò vale per la sentenza Englaro, a maggior ragione vale per l'archiviazione disposta nei confronti del Dottor Riccio o dello staff che ha portato alla morte Eluana, in quanto, come è ben noto, un'ordinanza di archiviazione è provvedimento di spessore ben diverso dalla sentenza ed è resa, per giunta, da un giudice di primo grado ad uno stato assolutamente embrionale del procedimento.
E' errato nel merito, poiché le sentenze Englaro e Riccio non autorizzano assolutamente a ritenere che l'eutanasia o il testamento biologico siano ora leciti nel nostro ordinamento: si tratta infatti, come è noto, di provvedimenti che hanno risolto questioni specifiche, mentre la legge è per sua stessa natura generale ed astratta. Quel che più conta, sono atti assolutamente generici ed indeterminati quanto ai requisiti ed alle condizioni che intendono porre per la liceità dell'intervento omicida. Non si tratta di criticare in sé quelle decisioni – che sono criticabilissime, ma non è questa la sede – ma di rilevare che esse non sono assolutamente in grado di cambiare l'ordinamento vigente. Facciamo un esempio. Nell'enunciare il principio alla base della sentenza Englaro la Corte esordisce con le seguenti parole "Ove il malato giaccia da moltissimi anni...": quanti sono questi "moltissimi anni"? Nel caso Englaro erano quindici: e se ad un altro Giudice ne bastassero cinque? E se un altro ne pretendesse venti? Ancora, la sentenza Englaro prende in considerazione il sondino nasogastrico, ma ben sappiamo che potrebbe formare oggetto delle d.a.t. una infinita serie di trattamenti salvavita, per i quali chiaramente il precedente Englaro non avrebbe alcun valore.
C'è di più. Come Carlo Casini, che è giurista, ben sa, la sentenza Englaro è stata emessa nel 2007 dalla Sezione I della Cassazione, che si occupa di stato delle persone; per contro, la stessa Cassazione, ma alla Sezione III – che si occupa appunto di colpa medica – nella pronuncia n. 23676 del 2008 ha statuito che "il dissenso alle cure mediche, per essere valido ed esonerare così il medico dal potere-dovere di intervenire, deve essere espresso, inequivoco ed attuale: non è sufficiente, dunque, una generica manifestazione di dissenso formulata ex anteed in un momento in cui il paziente non era in pericolo di vita, ma è necessario che il dissenso sia manifestato ex post, ovvero dopo che il paziente sia stato pienamente informato sulla gravità della propria situazione e sui rischi derivanti dal rifiuto delle cure", ribadendo così tutta la propria precedente, costante coerente, sterminata giurisprudenza per cui il consenso (e quindi il dissenso) all'atto medico deve essere attuale, ossia contemporaneo al trattamento, e deve fondarsi sulla piena comprensione ed accettazione del trattamento stesso da parte del paziente.
Come si può affermare quindi che la sentenza Englaro abbia cambiato l'ordinamento?
Di ciò esiste una prova inconfutabile: non sono seguiti altri casi Englaro. Ossia, non è accaduto che dopo la pronuncia della Cassazione altri pazienti abbiano fatto quella fine né soprattutto che altri medici o altri tutori abbiano adito le vie legali per ottenere il medesimo risultato. Questo perché nessun giurista si sentirebbe seriamente di consigliare ad un medico o ad un tutore di distaccare un sondino nasograstrico facendo affidamento sul precedente Englaro.
E' errato, infine, nella prospettiva. Se cadiamo nella trappola – che ha fondamento esclusivamente mediatico, e nessuna base giuridica – di ritenere che il caso Englaro abbia introdotto l'eutanasia nel nostro Paese, noi pro life finiamo in un sol colpo nel cul de sac della logica della limitazione del danno. "Ormai l'eutanasia c'è. Cerchiamo di salvare il salvabile": abbiamo visto dove ci ha condotti questa logica, e lo abbiamo visto con le tragedie della legge 194 sulla legalizzazione dell'aborto e della legge 40 sulla fecondazione artificiale, che nell'anno 2009 ha distrutto 124.703 embrioni umani e che continua a cadere sotto i colpi della Corte Costituzionale. Dopo quelle drammatiche esperienze noi popolo per la Vita, noi giuristi per la Vita, non possiamo più permetterci di aprire falle nella difesa della Vita, soprattutto quando esistono chiare e tassative norme che la Vita tutelano. Non possiamo abboccare ancora una volta.
Né può autorizzarci ad abbassare la guardia la triste constatazione che nell'accademia come nella politica sono pochi coloro che ci sostengono: se abbassiamo la guardia, saranno sempre meno.
Le pronunce Riccio ed Englaro (sia civile che penale) sono solo quel che sono: sentenze ingiuste, errate, criticabili come è criticabile ogni opera dell'ingegno umano. Noi giuristi ne vediamo a decine, ogni anno, di sentenze errate, infondate, a volte addirittura strampalate, che in un mare di sentenze giuste e fondate ci consentono – pensa un po' – di proporre appello e vincerlo, o addirittura ricorso in Cassazione e vincere. L'errore è in germe in ogni sentenza, e chi difende la Vita valendosi del sapere del Diritto non fatica a trovarne a decine, in quegli atti che secondo l'On.le Casini avrebbero cambiato l'ordinamento.
Quindi, converrebbe lasciare a quelle pronunce il peso che hanno: un drammatico peso storico, poiché hanno di fatto autorizzato la morte di un malato inerme; nessun peso giuridico perché non hanno alcun vigore di precedente.
Gli articoli 579 e 580 del Codice Penale sono ancora in piedi, e ben lo sanno coloro che vogliono i malati liberi e morti. Anzi a volte vien da pensare che lo sappiano anche meglio di noi. E' per questo che costoro vogliono una legge a tutti costi: una qualunque, tanto poi ci pensa qualche Giudice d'avanguardia con il solito corredo di teatrino mediatico a farla a pezzi ed a far credere che neppure quei limiti esistano più e che uno può farsi ammazzare quando e come vuole punto e basta.
Né tanto meno siamo chiamati, come indica Carlo Casini a "dare una risposta all'argomento eutanasico di Stefano Rodotà e altri": non facciamoci mettere all'angolo. Sono loro, sono quelli che non la pensano come noi, a dover spiegare come e perché non si applicherebbe ai loro ragionamento l'art. 579 del Codice Penale sull'omicidio del consenziente o l'art. 580 sull'istigazione o l'assistenza al suicidio; sono loro che ci devono spigare come potrebbe la loro distorta interpretazione dell'art. 32 della Costituzione autorizzare un medico a porre in essere un'azione che priva della vita una persona inerme ed incosciente; sono loro che ci devono spiegare che accidenti abbia a che vedere con il consenso e la libertà un modulo a crocette quale è, nella realtà, l'atto con cui si esprimerebbe il dissenso preventivo agli atti medici; sono loro che ci devono spiegare come si potrebbe esprimere un valido dissenso senza avere la conoscenza e la piena comprensione della natura, della invasività, dell'efficacia delle pratiche mediche che si intende rifiutare. E ce ne sarebbero mille altre di cose che Rodotà e compagni dovrebbero spiegarci, prima che tocchi a noi rispondere qualcosa a loro.
Allarghiamo la prospettiva, ma solo incidentalmente, ché non è quello il fulcro di queste riflessioni. Non intendo qui discutere dello strumento del testamento biologico in sé: ci sarebbe tantissimo da dire e tantissimi l'hanno già detto e lo dicono meglio di me.
Casini lamenta che ci si ostini a parlare di "testamento biologico" e non di "dichiarazioni anticipate di trattamento": ecco, dovrebbe chiedersi perché. Perché – guarda un po' – il dibattito sui giornali è sul testamento biologico e non sulle d.a.t.? Perché è questo che deve passare ed è questo che chi non è per la Vita auspica: hai voglia a far distinzioni accademiche, per la pubblica opinione le d.a.t. sono (o devono essere) lo strumento per la morte terapeutica, per la soppressione a fini di pietà.
Ricorderà, Carlo Casini, come si parlava (e si parli tuttora) di "diritto ad abortire", "libertà di aborto" et similia: tutte pretese che la giurisprudenza della Cassazione (in decine di sentenze, non una sola) ha sempre dichiarato essere prive di fondamento giuridico. Eppure ancor oggi la Legge 194 è vissuta come la legge del libero aborto (e del resto quello è).
Insomma, al di là delle migliori intenzioni di ciascuno, non si può vedere una realtà inesistente (l'ordinamento mutato dai casi Englaro e Riccio) e non vedere una realtà chiaramente esperibile, ossia il fatto che qualunque legge nasca sul fine vita sarà intesa, vissuta, interpretata, manipolata come la legge della libera morte.
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