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Leggo con un senso di profondo stupore la replica del presidente del Movimento per la Vita alle ineccepibili argomentazioni di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, cui vanno aggiunte le preoccupanti ed altrettanto stringenti informazioni e considerazioni dell'on. Mantovano, sulla proposta di legge in materia di fine vita e i relativi emendamenti.
Quella replica fa sorgere in me alcune pressanti domande.
La prima è la seguente: non si rende conto l'on. Casini di quanto pericolosa, controproducente, illogica, e per di più sovversiva dell'ordinamento costituzionale vigente, sia la sua affermazione secondo cui "i giuristi sanno che l'ordinamento effettivo non è quello che sembra (e sottolineo questo "sembra") a qualcuno di loro, ma quello che risulta dall'interpretazione giurisprudenziale"?
A me, viceversa, i professori che ho avuto all'università avevano sempre insegnato - così come peraltro ho sempre ritenuto - che l'operatore del diritto - e tale è prima di ogni altro il giudice - deve rapportarsi con un contesto normativo oggettivo che lo precede e lo trascende.
Determinare tale contesto, e dunque stabilire "l'ordinamento (giuridico) effettivo", è compito del potere politico-legislativo, e cioè del Parlamento, e non di quello giudiziario.
Il dovere e la funzione del giudice, invece, consistono nell'individuare e nell'applicare con la maggior possibile precisione - in base a criteri che sarebbe qui fuor di luogo illustrare, ma sempre di natura logico-conoscitiva, mai volitiva, e dunque arbitraria - la disciplina prevista dall'ordinamento giuridico ai singoli casi concreti.
Con quest'opera euristica, e cioè di ricerca della soluzione esatta, e quindi giusta, sia pur solo nel ristretto senso di conforme al diritto vigente, una magistratura che non debordi dalle sue funzioni contribuisce anche a garantire quel bene inestimabile che è la certezza del diritto.
Questo, e precisamente questo, vuol dire la Costituzione quando all'articolo 101 stabilisce che "i giudici sono soggetti alla legge". Ed è soltanto nel presupposto di questa soggezione che la stessa Carta fondamentale all'articolo 101 garantisce all'ordine giudiziario l'autonomia e l'indipendenza da ogni altro potere e agli articoli 104 e 105 istituisce, con compiti ben precisi e ristretti, il Consiglio superiore della magistratura.
Preso invece come l'intende il presidente del Movimento per la Vita, il vocabolo "interpretazione" perde il suo sin qui pacifico significato per assumere quello, addirittura contrario, di arbitraria (e insisto su questo aggettivo) espressione di volontà da parte di un sedicente interprete, che in realtà esorbita dalle sue competenze ed invade il campo del legislatore, usurpandone le funzioni.
Mi domando ancora: posta questa sua concezione di quello che egli chiama "l'ordinamento giuridico effettivo", implicitamente ma chiaramente riconoscendone la legittimità, come può l'on. Casini non rendersi conto degli esiti del proprio pensiero?
Se e quando verrà varata la nuova legge, ed i giudici, molto probabilmente, la "interpreteranno" giungendo ai medesimi mortiferi risultanti cui abbiamo assistito nel caso di Eluana - con uno strappo normativo che per i motivi nitidamente illustrati da Gnocchi, Palmaro e Mantovano, sarebbe meno grave e vistoso - egli, per un minimo di coerenza logica, dovrà rispettosamente chinare il capo e riconoscere che quella sentenza e con essa le altre che verosimilmente la accompagneranno e la seguiranno - magari previo qualche ricorso alla Corte costituzionale, agevolato da innegabili fessure che caratterizzano il progetto in questione - costituiranno appunto "l'ordinamento (giuridico) effettivo".
Il rischio è tanto maggiore ove si consideri che le citate fessure, se passeranno le modifiche segnalate dall'on. Mantovano nella sua lettera apparsa su "Il Foglio" del 25 febbraio 2011, si trasformeranno in enormi, irreparabili squarci.
La verità è che non si può non condividere l'affermazione di Gnocchi e Palmaro secondo cui gli articoli 575 (omicidio), 579 (omicidio del consenziente), 580 (istigazione o aiuto al suicidio) e 593 (omissione di soccorso) del codice penale costituiscono un inequivocabile complesso normativo, catafratto a tutela della intangibilità e sacralità della vita umana, quale presupposto di ogni altro diritto. Un complesso che non può essere scavalcato se non sulla base di una ferma e determinata volontà disapplicativa.
Altrochè l'asserito vuoto normativo, strumentalmente invocato dalla Cassazione nella sentenza sul caso Englaro per arrogarsi una competenza che esplicitamente essa stessa riconosce rientrare nell'ambito delle attribuzioni del legislatore, per giunta nella più delicata delle materie: quella della vita!
Ne è prova il fatto che nella citata sentenza, la numero 21748 del 2007, il diritto penale italiano non è neppur menzionato, quasi appartenesse ad un altro pianeta, o quasi che tra esso e il diritto civile vi fosse una assoluta incomunicabilità.
In compenso vi sono menzionate, fra l'altro, una sentenza dell'House of Lords, una della Corte Suprema del New Jersey e una relativa allo stato del Missouri, tutte citazioni molto trendy in clima di diffusa anglofonia, ma che ad un povero giurista di provincia non sembrano sufficienti a giustificare la totale dimenticanza del codice penale italiano, e proprio in articoli fondamentali.
Dalle due domande sin qui rivolte all'on. Casini ne scaturisce una terza, peraltro in esse già implicita: non si rende egli conto che la sua identificazione fra "interpretazione giurisprudenziale" e "ordinamento (giuridico) effettivo" sovverte il nostro sistema costituzionale, fondato sulla divisione dei poteri (dove per giunta la magistratura non è un potere vero e proprio ma un "ordine") e, al limite, svuota completamente le prerogative del Parlamento, cancellando di riflesso la sovranità popolare per sostituirvi l'arbitrio, e dunque la tirannia, dei giudici?
Al punto in cui siamo giunti non si può più sottacere la cruda verità: ci troviamo di fronte ad una magistratura che deborda sistematicamente dalle proprie competenze, giungendo a teorizzare ripetutamente, al suo massimo livello, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che "la figura dell'eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzione riservata al legislatore è di rilievo meramente teorico" perché "secondo le più recenti e accreditate teorie" l' "attività interpretativa", e cioè quella del giudice "non ha una funzione meramente euristica" (vale a dire, come si diceva, di ricerca del significato del precetto), "ma si sostanzia in opera creativa della volontà di legge nel caso concreto" (ex plurimis, Cass. Sez. Un. 14.7.2005 nr. 14811).
Per dirla alla buona: poiché il giudice ha l'ultima parola su tutti i casi concreti, se "in base alle più recenti e accreditate teorie" fatte proprie dalla Cassazione, il suo ruolo interpretativo è da intendersi come "creativo", se ne desume che la "volontà di legge" è sempre la sua.
Se ne desume, magari un po' brutalmente, che i parlamentari possono andare tranquillamente a scaldarsi al sole dei tropici. In questo ordine di idee sempre le Sezioni Unite (sentenza n. 27335 del 2008), sia pure in un contesto penosamente contraddittorio, hanno enunciato lo stesso concetto, valorizzando "recenti teorie post illuministiche". Dove per teorie post illuministiche si allude con tutta evidenza a teorie che escludono la dottrina della separazione dei poteri formulata da Montesquieu.
Peccato però che, a prescindere da ogni giudizio di valore, lo schema costituzionale di Montesquieu sia quello su cui è costruita la nostra Carta costituzionale, che senza di esso verrebbe praticamente abrogata, dato che il Parlamento, titolare del potere legislativo, è il luogo e il mezzo attraverso cui, in linea primaria, si esprime la sovranità popolare.
L'on. Casini, con la sua concezione del diritto, legittima ed avvalora, per il passato e per il futuro, le infrazioni dell'ordine costituzionale di cui la magistratura si è resa responsabile in questi ultimi anni, e di cui, date le citate premesse dottrinali, con ogni probabilità si renderà responsabile anche in avvenire.
E ciò con l'aggravamento che forse la più flagrante di tali violazioni dovrebbe averlo particolarmente colpito quale presidente del Movimento per la Vita.
Alludo all'assalto permanente cui viene sottoposta la famosa "legge 40" sulla procreazione medicalmente assistita. Un assalto più volte accoratamente denunciato dal quotidiano cattolico "Avvenire" che, ad esempio, nel supplemento "E' vita" del 10 febbraio 2011, parla di una vera e propria "catena di smontaggio" e si domanda "quale strategia alberga dietro questi interventi demolitori di una legge che ... si vuole rendere radicalmente iniqua".
La particolare gravità istituzionale di questi assalti consiste nel fatto che la detta legge non solo fu approvata dopo annosa discussione e con sofferta decisione del Parlamento, ma venne anche implicitamente, eppur inequivocabilmente, confermata dal popolo con clamorosissimo "flop" del relativo referendum abrogativo.
Lo sfregio alla sovranità popolare legittimato in nome della vittoria di un concorso appare qui più che altrove in chiarissima luce.
Del resto, tornando al caso Englaro, val la pena di ricordare che, commentando l'esito della procedura che portò alla morte una giovane donna, l'on. Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd al Senato e proveniente dalle file della magistratura, a quanto riferì il Corriere della Sera del 10 luglio 2008, così testualmente si espresse: "Non possono essere i giudici a prendere decisioni così importanti. Serve una legge sul testamento biologico". E in realtà il protagonismo della magistratura svuota e condanna all'irrilevanza, insieme con l'opera del Parlamento, anche le battaglie dell'opposizione, ridotta a un ruolo di supporto e subalterno rispetto a un vero e proprio partito dei giudici.
Il commento dell'on. Finocchiaro comporta in via logica un'ulteriore deduzione: posto che la morte per abbandono di Eluana è innegabilmente in inscindibile nesso causale con la sentenza della Corte di Cassazione e col decreto della Corte di Appello di Milano che decisero il suo caso, se, come sostiene quella senatrice, tali pronunce furono emanate in difetto di una legge che le autorizzasse, e dunque contra legem, che si dovrà dire dei giudici che la emanarono?
Altroché l'immunità parlamentare, tanto esecrata specialmente dai giudici.
In realtà non si riesce a capire per quale misterioso principio giuridico qualunque decisione di P.M. o di giudice, anche se presa in evidente e sfacciata mala fede - poniamo una condanna all'ergastolo - sol perché riveste la forma di provvedimento giudiziario vada sostanzialmente sempre e comunque esente da pena.
La verità è che la proposta di legge sul fine vita rischia di giustificare i mortiferi provvedimenti che la hanno motivata, lasciando, almeno in qualche misura, intendere che il difetto era nella legge e non nei giudici che l'hanno violata.
Il problema principale infatti non è nella legislazione, ma nella magistratura.
Una nuova magistratura animata da nefasto protagonismo, che, a partire dai tempi di "Mani pulite", con lenta erosione e fornendosi reciproci sostegni, paradossalmente appellandosi - anche con indecorose sceneggiate - alla Costituzione, ne ha gradualmente stravolto l'ordinamento snaturandone viepiù le istituzioni, fin quasi a sovvertirle.
Una magistratura siffatta va ricondotta con estrema urgenza nei suoi argini, con misure ben più appropriate e decise di quelle messe in cantiere - tra i suoi incostituzionali schiamazzi - dall'attuale governo.
Va peraltro detto che già la possibilità accordata al medico dall'art. 3 del progetto base di sospendere l'idratazione e l'alimentazione, apre al medesimo la via di una valutazione discrezionale, difficilissima da contestare.
E chi poi effettuerebbe contestazioni se fossero gli stessi congiunti ad insistere per l'abbandono terapeutico?
Senza contare, a tacer d'altro, che il testamento biologico introdotto sotto nuova sigla schiude vastissimi spazi di intervento ad una Corte Costituzionale di cui sono ben note le propensioni.
Il tutto con il risultato di ridurre la legge ad una mera cortina fumogena.
Per quanto concerne specificamente il fine vita, a mio avviso, in attesa delle auspicate riforme, l'unica soluzione è metterci una temporanea pezza con un articolo unico che, in caso di incoscienza o incapacità del paziente, vieti sempre e comunque con congrua pena, salvo altra maggiore nel caso che il fatto costituisca più grave reato, la sospensione di alimentazione ed idratazione, anche artificiali.
Nota di BastaBugie: quando abbiamo pubblicato questo articolo, l'avevamo erroneamente attribuito a un altro autore. Ce ne scusiamo con lui e con i lettori.
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