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Il Risorgimento fu positivo sotto molti aspetti. Anche l'Unità d'Italia apportò molti benefici, ma attenti alle esagerazioni, perché l'Italia era grande anche prima dell'Unità. Questo è quanto sostiene il Cardinale Giacomo Biffi nel libro "L'Unità d'Italia" appena pubblicato dalla Cantagalli.
In questo saggio di 88 pagine l'Arcivescovo emerito di Bologna, con la consueta arguzia, ricorda quanto gli eserciti francesi 'liberatori' siano stati dei ladri, non solo a Bologna, ma in tutte le città d'Italia.
"Prima di allora i nostri conquistatori austriaci o spagnoli – ha scritto il porporato - non si erano mai permessi di derubarci delle nostre opere d'arte". Solo a Bologna "asportarono trentun dipinti dei più rinomati maestri (quali il Guercino, i Carracci, Guido Reni, Raffaello ecc.) e allo stesso modo si comportarono in tutte le altre città".
Il Cardinale Biffi precisa che "per quel che se ne sa, nessuna voce di vergogna o di rammarico è giunta poi fino a noi dalla Francia per questo odioso comportamento".
"L'esito del Risorgimento - scrive Biffi - fu indubbiamente positivo per molti aspetti". Anche se "è costato sacrifici".
L'Arcivescovo emerito di Bologna precisa poi come l'identità nazionale fosse già ben presente tra le genti che hanno popolato lo stivale. Già i poeti Giovanni Petrarca e Dante Alighieri parlavano, infatti, del Bel paese dove il "sì suona". La grandezza letteraria, artistica, scientifica, religiosa e sociale dell'Italia esisteva ed era ben solida già prima del 1861.
A questo proposito il Cardinale Biffi riporta i commenti originalissimi e poco conosciuti di due grandi scrittori russi: Fëdor Michailovič Dostoevskij e Vladimir Soloviev.
Dostoevskij scrisse infatti che "l'unico grande diplomatico del secolo XIX è stato Cavour" e che, nonostante ciò, "anche lui non ha pensato a tutto. Sì, egli è stato geniale, ha raggiunto il suo scopo ha fatto l'Unità d'Italia. Ma guardate più addentro e cosa vedete? L'Italia porta con sé da duemila anni un'idea grandiosa, reale, organica: l'idea di una unione generale dei popoli del mondo, che fu di Roma e poi dei Papi".
"E il popolo italiano si sente depositario di un'idea universale e chi non lo sa lo intuisce – continuava –. La scienza e l'arte italiana sono piene di quella idea grande. Ebbene, che cosa ha fatto il conte di Cavour? Un piccolo regno di secondo ordine, che non ha importanza mondiale, senza ambizioni, imborghesito".
Dal canto, Soloviev nell'Opravdanie dobra (La giustificazione del bene) elenca i contributi che l'Italia ha dato al mondo, tra cui "il primo europeo a penetrare in Mongolia e in Cina" e cioè "l'italiano Marco Polo. Un altro italiano scopre il Nuovo mondo (Cristoforo Colombo) e un terzo estendendo questa scoperta, gli lascia il proprio nome (Amerigo Vespucci)".
"L'influenza della letteratura italiana – aggiungeva Soloviev – resta predominante per diversi secoli; gli italiani vengono imitati nell'epica, nella lirica, nei romanzi; Shakespeare prende da loro i soggetti e la forma dei propri drammi e delle proprie commedie, (...) la lingua e i costumi italiani dominano dappertutto nelle sfere superiori della società".
L'Arcivescovo emerito di Bologna sottolinea che l'identità nazionale dell'Italia non è frutto solo di ciò che è avvenuto nel XIX secolo e ricorda che "molti tra i frutti più nobili e preziosi maturati tra noi dallo spirito umano in tutti i campi (del pensiero, della poesie, dell'arte) portano incancellabili i segni della loro dipendenza dalla visione cristiana".
Detto ciò il Cardinale Biffi afferma che l'unificazione "è indubbiamente un valore" che "non deve essere messa in pericolo né da ideologie senza apprezzabile fondamento né da particolarismi egoistici" (...).
Nelle conclusioni il Cardinale Biffi affronta anche il tema della immigrazione e della identità culturale italiana, affermando che "ai forestieri si fa spazio non demolendo la nostra casa, ma ampliandola e rendendola ospitale sì, ma nel rispetto della sua originaria architettura e della sua primitiva bellezza".
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