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Ci sono cascati in molti, soprattutto in Italia, sparando la notizia con parecchi punti esclamativi: Gesù era gay e lo era anche san Paolo, lo dimostrano rotoli ritrovati in Giordania più importanti di quelli di Qumran, che contengono fra l'altro una nuova epistola di san Paolo agli Ateniesi. Associazioni gay hanno diffuso comunicati estasiati, e blogger atei hanno previsto imminenti disastri per la Chiesa Cattolica. Peccato che fosse un pesce d'aprile, e che non ci volesse neppure molto per accorgersene.
Il pezzo è uscito sul quotidiano inglese The Guardian del 4 aprile e ne è autore il biologo darwinista inglese, che insegna in Florida, Michael Ruse. Si tratta di un tipo curioso, ironico e litigioso. Ha dedicato la vita a combattere il creazionismo ma si definisce un ateo classico molto diverso dai Dawkins di questo mondo, i "nuovi atei" che - scrive - rendono un pessimo servigio all'ateismo. Gli autobus atei e le chiassate militanti secondo Ruse rafforzano solo la reazione religiosa.
L'articolo di The Guardian aveva un occhiello sfuggito a molti che spiegava come Ruse "immaginasse" uno scenario ipotetico: un pezzo di fiction, insomma, nella forma letteraria del sogno a occhi aperti. Di vero c'è solo una disputa, che va avanti dal 2007, tra i governi giordano e israeliano su a chi appartengano certi documenti ritrovati nel 2005 da un beduino in una zona di frontiera fra i due Paesi, documenti di cui si afferma che "potrebbero" essere testimonianze della prima comunità cristiana. Ma anche no, perché in attesa che si risolva la disputa legale nessuno studioso ha potuto esaminarli, Il sogno a occhi aperti del provocatore Ruse - incredibilmente preso per vero da tanti commentatori - non è neppure così originale. Ruse ha costruito il suo articolo attingendo ampiamente a Morton Smith (1911-1991), il famoso e controverso storico della Chiesa, docente alla Columbia University di New York, secondo cui Gesù Cristo era il capo di una conventicola esoterica in cui si entrava con un rituale d'iniziazione segreto che comprendeva elementi chiaramente omosessuali.
Morton Smith si era conquistato fama e onori accademici annunciando nel 1958 - e non era un pesce d'aprile - di avere scoperto nella biblioteca del monastero di Mar Saba, in Palestina, inserita in un libro del 1646, la copia scritta a mano da un monaco circa un secolo dopo di un frammento di una lettera asseritamente scritta da San Clemente di Alessandria (?-215) a un certo Teodoro.
Nella lettera – oltre a parlare male degli gnostici – si fa stato dell'esistenza di una versione segreta del Vangelo di Marco, e se ne cita in particolare un brano parallelo al noto episodio della resurrezione di Lazzaro. "Il giovane che Gesù amava" un personaggio che assomiglia a Lazzaro, in questo "Vangelo Segreto di Marco" è chiaramente un amante omosessuale di Gesù, precisamente il punto ripreso dal furbo Ruse.
È vero che per alcuni anni un buon numero di studiosi ha creduto all'esistenza del "Vangelo Segreto di Marco" sulla base della testimonianza di Morton Smith, delle fotografie da lui scattate della presunta lettera del monaco settecentesco, e delle autentiche di una serie di specialisti greci cui Smith mostrò a suo tempo le fotografie e che certificarono che si trattava in effetti di un testo scritto nel Settecento e su carta dell'epoca. Naturalmente, che il monaco del Settecento avesse copiato fedelmente un testo perduto di san Clemente non si poteva provare direttamente, ma Morton Smith e i suoi seguaci assicuravano che lo stile era così tipicamente di Clemente da rendere la tesi dell'autenticità praticamente certa. E Clemente era abbastanza vicino ai tempi apostolici per dovere sapere di che cosa stava parlando: se affermava che esisteva un "Vangelo Segreto di Marco", questo doveva esistere.
Dal momento che molte ipotesi di Morton Smith su insegnamenti esoterici di Gesù Cristo, diversi da quelli pubblici a tutti noti, erano piuttosto spericolate, molti storici e teologi si rifiutavano di seguirlo fino in fondo. Ma fino a qualche anno fa i più si limitavano a sostenere che il "Vangelo Segreto di Marco" citato da Clemente era in realtà un testo gnostico posteriore al Vangelo di Marco che tutti conosciamo, imitato da questo e da collocare nella categoria dei Vangeli apocrifi, dove storie più o meno bizzarre su Gesù sono – come sa bene chi ha seguito le controversie sul "Codice da Vinci" – più o meno comuni, ancorché del tutto prive di valore storico.
C'era anche, per la verità, chi sosteneva che la lettera di Clemente fosse falsa, e che il fatto che il manoscritto fotografato da Morton Smith fosse andato perduto nel monastero di Mar Saba e non si trovasse più per sottoporlo a ulteriori esami era davvero un po' troppo comodo. Ma queste voci erano messe a tacere: si rischiava di passare da bigotti, che volevano soffocare la voce scomoda di un professore progressista gettando dubbi indegni sulla integrità di un illustre docente.
Ma questo avveniva prima del 2005, quando Stephen C. Carlson, uno specialista di contraffazioni e documenti falsi, ha pubblicato una ricerca condotta per la prestigiosa Baylor University, dove ha dimostrato in via definitiva che quella di Morton Smith era una bufala. Carlson ha provato che, per arrivare a questa conclusione, le fotografie sono più che sufficienti. Applicando tecniche d'investigazione forense non note negli anni 1950 Carlson ha mostrato persuasivamente non solo che il testo è stato prodotto nel XX secolo, non nel XVIII, ma anche che l'autore dello scritto è lo stesso Morton Smith. Le prove calligrafiche, estremamente tecniche, sono di per sé sufficienti. Ma – come molti falsari – Smith non ha resistito alla tentazione di lasciare una firma e ha inserito un'allusione a un metodo di produzione del sale assolutamente ignoto nel XVIII secolo – per non parlare dell'epoca di san Clemente – noto come "metodo Morton", e altri riferimenti alla parola "Smith". Inoltre la famosa prova costituita dall'"inconfondibile" stile di san Clemente tradisce ancora il falsario, perché esagera. Ci sono stilemi e modi di esprimersi unici utilizzati da Clemente, ma nelle sue opere ricorrono una volta ogni due o tre frasi. Qui in un solo breve testo ce ne sono decine.
Dopo lo scandalo letterario del "Codice da Vinci", interamente costruito su documenti noti da vent'anni come falsi, dovremmo essere tutti vaccinati a non prendere sul serio panzane su Gesù, specie quando arrivano dal mondo anglosassone. Ma nella storia del pesce d'aprile di Ruse - che rimanda a quella, con maggiori pretese di serietà, del "Vangelo Segreto di Marco" di Morton Smith - c'è una morale. Si crede facilmente alle bufale perché ci si vuole credere. Ci si crede non solo perché è politicamente corretto ritrovare l'omosessualità fra i primi cristiani, ma perché i presunti nuovi documenti sarebbero utilissimi a provare un punto centrale (ma falso) dell'esegesi biblica più ostinatamente progressista, denunciata da Benedetto XVI nella sua opera su Gesù: l'instabilità della tradizione apostolica e la coesistenza di tradizioni molto differenti fra loro, che sarebbero però ugualmente autorevoli, sulla vita del Salvatore. Che i sostenitori di questa tesi si affidino tanto facilmente a documenti falsi non è un buon indizio della serietà della tesi stessa.
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