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«Le donne non si fermano: la vittoria dell’approvazione della Ru486 è parte di un progetto non scritto di affermazione del loro futuro ruolo». L’incipit dell’articolo del professor Umberto Veronesi su Repubblica è uno squillo di tromba; come l’annuncio di prossime certe e trionfali vittorie da parte di un condottiero, o un generale. Alla definizione della pillola abortiva come ulteriore tappa della liberazione femminile non erano arrivati, almeno apertamente, i più accesi fautori dell’aborto da bere. A dirla tutta, a uscir fuori al naturale, ci ha pensato il maestro di pensiero della medicina politicamente corretta.
La pillola dell’aborto, «metodologia meno traumatica», come un’altra pietra d’inciampo sgomberata da un vittorioso storico cammino femminile. In cui bisognerà, dice il professore, «ridisegnare gli spazi» fra procreazione e impegno pubblico delle donne: senza dimenticare una «superiorità» femminile, quella per cui una donna può fare un figlio senza un uomo, solo con una provetta di seme. Quella per cui una donna potrà un giorno clonare se stessa, e un uomo no.
È lo scenario di una egemonia femminile superomistica, quella tratteggiata da Veronesi. E in questo radioso avvenire la pillola abortiva è un passo avanti. Verso il futuro Dominio delle Donne. O delle Superdonne. Fantastico. Peccato che questo disegno sia un evidente esempio di delirio di onnipotenza maschile. Pensateci: il famoso oncologo, nell’immaginare la rivoluzione femminile, altro non fa che disegnare il mondo come sarebbe, quando lo comandassero delle donne con un cervello assolutamente maschile.
Donne educate da una cultura di potere, per le quali il sogno è liberarsi agevolmente di 'ostacoli' quali un figlio per essere più pronte a inseguire carriera o successo. Ora, è vero che di donne così ce ne sono sempre di più; aggressive, abili, perfettamente omologate al modello socialmente vincente. Ma che questa sia davvero rivoluzione femminile, è ciò che potrebbe dire un osservatore molto superficiale. Uno che, delle donne, non conosca la radicale, spesso tacita alterità. Scritta nei geni, nel corpo, perfino in quel ritmo che ogni mese scandisce il tempo dell’età feconda, come una domanda: vuoi che un altro viva? Come una profonda vocazione all’altro, che non si contenta degli idoli o balocchi del potere maschile. L’immaginazione di Veronesi di un mondo di Amazzoni autosufficienti è pura deriva di onnipotenza maschile. E solo un uomo può pensare mondi simili: clonando, con antica arroganza, la sua misura del vivere e sovrapponendola alle donne. Ma le autistiche Amazzoni che fanno figli da sole, sono fortunatamente un orizzonte futuribile e lontano.
Drammaticamente attuale invece è la questione della pillola abortiva. E il messaggio dell’oncologo delle donne, del medico 'democratico', è: è un passo avanti nella vostra liberazione. Un veleno che annienta un figlio, è un pezzo di liberazione conquistata. Pare di risentire gli echi della battaglia, quando alle ragazze degli anni Settanta l’aborto legalizzato venne raccontato come una conquista e quasi una promozione sociale. Rieccoci: dai giornali giusti i maestri giusti conducono i loro corretti sermoni. Mia figlia ha dodici anni: è della generazione che crescerà nella nuova vulgata.
Con una pillola che educa a pensare che quel problema è, in fondo, un problema da poco. Solo una pillola: fra qualche anno sarà possibile non mancare neanche un giorno al lavoro. Così vi vogliono, bambine: produttive, efficienti, competitive. Concrete, e senza rimpianti. Dei veri uomini. È questa, la rivoluzione millantata.
Dimenticarsi di sé, di una propria natura, di un’accoglienza all’altro come scritta addosso: nella generosità del grembo, nello sguardo.
Dimenticarsi di sé nel radioso, livido Mondo Nuovo del professor Veronesi.
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