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Ventiquattro anni fa, dopo l'esplosione della centrale di Chernobyl, fu la paura scatenata da una campagna ideologica a indurre l'Italia – unico Paese al mondo - alla decisione di dire no all'energia nucleare. La conseguenza fu lo smantellamento delle centrali allora in funzione, salvo poi - negli anni successivi, fino ad oggi - acquistare una quota assai rilevante di energia prodotta dalle centrali francesi e perfino esportare all'estero la tecnologia occorrente per la realizzazione di centrali nucleari, mediante società a capitale pubblico.
Oggi, è ancora la paura a dominare le scelte e far propendere il Governo alla decisione di soprassedere sul programma nucleare, inserendo nella moratoria già prevista nel decreto legge omnibus l'abrogazione di tutte le norme previste per la realizzazione di impianti nucleari nel Paese.
La paura è di carattere multiforme. C'è stata, probabilmente, quella derivata dalla prospettiva di perdere consensi. Le cronache raccontano che sembra fosse in circolazione un sondaggio per il quale il referendum sul nucleare previsto per il 12 e 13 giugno avrebbe riscosso almeno il 54% dei consensi, trainando probabilmente gli altri referendum previsti, quello sull'acqua e sulla legge sul legittimo impedimento. Ma c'è un'altra paura molto più insidiosa, che coinvolge l'intero ceto dirigente del Paese, incapace – sul tema dell'energia e su innumerevoli altri temi – di incardinare un dibattito sereno, pubblico, serio e non ideologico. Costruttivo, per il bene comune e per la crescita consapevole, umana e civile dei cittadini. E' chiedere troppo? No, è il minimo che si possa chiedere a chi governa le sorti di un Paese – che si fa trascinare dall'onda emotiva, irrazionale suscitata dalle vicende giapponesi – e da chi sta all'opposizione, che in questo caso esulta rispetto ad una scelta improvvida ed irragionevole.
Analisi serie e documentate, hanno dimostrato, in queste settimane, due fatti: la centrale giapponese era obsoleta ed era sottoposta – questo è quel che più conta – ad un sistema di sicurezza gestito dalla stessa società che deteneva l'appalto per produrre energia. Controllato e controllore convergevano nella medesima responsabilità.
Di questi fatti, non si è tenuto conto nella scelta adottata dal Governo italiano e si è assecondata una paura diffusa, che produrrà in Italia – è più che probabile, perché è già avvenuto in queste settimane in altri Paesi – il risorgere di un ambientalismo d'accatto, pronto a gridare solo "al lupo, al lupo" e a non prendere in considerazione alcuna la realtà.
Nel 2014, in Francia, ai 59 reattori nucleari ad uso civile ora esistenti - che contribuiscono ad avere un costo dell'energia elettrica del 50% in meno rispetto ad altri Paesi, quali ad esempio l'Italia – se ne aggiungerà un altro. Nell'Unione europea e in Svizzera sono in esercizio 148 reattori nucleari, che generano quasi il 30% dell'elettricità prodotta nel continente. Quindici dei 27 membri dell'Unione europea hanno impianti nucleari. Gli Stati Uniti hanno 104 impianti in funzione. Nel mondo, sono in costruzione 34 impianti nucleari: 1 in Argentina, la centrale Atucha, vicino alla capitale Buenos Aires; 2 in Bulgaria, vicino a Belene; 1 in Finlandia, a Olkiluoto; 6 in India, che si aggiungeranno ai 17 esistenti; 1 in Iran, a Bushehr; 1 in Giappone; 3 in Corea del Sud; 1 in Pakistan, in Kundian, nel Punjab; 5 in Cina, due dei quali a Taiwan; 7 in Russia, in aggiunta ai 31 già operanti; 2 in Ucraina.
L'80% circa dell'energia consumata nell'Unione europea deriva dai combustibili fossili: petrolio, gas naturale e carbone. Di questa percentuale, una parte consistente proviene da Paesi terzi e questo fatto rende l'UE vulnerabile alle riduzioni degli approvvigionamenti o all'aumento dei prezzi. Se non si riuscisse a controllare il consumo energetico e a diversificare le fonti energetiche, si stima che di qui al 2030 la dipendenza dalle importazioni potrebbe salire al 93% per il petrolio e all'84% per il gas.
L'Italia compra più dell'80% dell'energia dall'estero, di cui il 54% è costituto da petrolio, il 30% da gas, l'8% da carbone e il 7% da elettricità, in massima parte acquistata da centrali nucleari francesi.
In questo contesto si situa la scelta di annullare le procedure sul nucleare in Italia, con l'aggravante – così come è stata enunciata dal Ministro per lo Sviluppo Economico – di puntare sulle energie rinnovabili, eludendo un piccolo, ma significativo particolare. Queste forme di energia, a cominciare dall'eolico, forniscono meno dell'1% del fabbisogno mondiale di energia ed attualmente non possono considerarsi un'alternativa all'uso del petrolio, nonostante la pubblicità che viene fatta per la loro promozione. Che corrisponde, peraltro, agli interessi economici, di enorme portata, che questo business mondiale produce, alimentando, nel nostro Paese – ed anche questo è ampiamente documentato da numerose inchieste giudiziarie – gli interessi di interi settori della criminalità organizzata.
Allo stato attuale, l'unica, seria e credibile alternativa alle fonti fossili di energia, è costituita dall'uso del nucleare per scopi civili. In questa materia, occorre prudenza, ma non si comprende perché, anche in Italia - assicurata la sicurezza degli impianti e dei depositi e regolati la produzione, la distribuzione e il commercio di energia nucleare, sulla base degli standard internazionali - non si dovrebbe aprire un dibattito sereno, pubblico, che affronti in maniera pragmatica la questione dell'energia e che soprattutto risponda solo al bene per la nostra società.
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