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Dei 23 paesi dell'Europa post-comunista (quella che va da Praga al Kazakistan) l'Ungheria è cronologicamente l'ultimo che ha deciso di darsi una nuova costituzione, che entrerà in vigore lunedì dopo che il capo dello Stato Pál Schmitt l'avrà controfirmata. Ma anziché rallegrarsi per l'uscita di scena dell'ultima costituzione stalinista d'Europa, entrata in vigore nel 1949 sotto il governo di Matyas Rakosi, "il miglior discepolo ungherese di Stalin", come usava definirsi, l'uomo che fece incarcerare 100 mila oppositori politici (fra i quali il cardinale József Mindszenty condannato all'ergastolo) e giustiziarne 2 mila, politici, giornalisti ed osservatori europei e non solo stanno facendo a gara nell'accusare il nuovo testo, approvato da una maggioranza schiacciante di parlamentari (262 voti a favore e 44 contari, più una sessantina che hanno abbandonato l'aula al momento del voto), delle peggiori nefandezze.
Autoritarismo, sciovinismo, omofobia, fondamentalismo religioso, intolleranza, discriminazione, estraneità ai valori europei: non c'è insulto politico che non sia stato affibbiato al nuovo testo e alle forze politiche che l'hanno prodotto: il partito Fidesz del premier Viktor Orban e il Kdnp (Partito popolare cristiano-democratico), che in coalizione hanno conquistato i due terzi dei seggi. Caratteristica della maggioranza dei critici della nuova costituzione è però quella di affermare che l'Europa si trova davanti a una costituzione «varata e progettata da un solo partito di nome Fidesz» (Giorgio Pressburger sul Corriere della Sera del 20 aprile), una palese falsità che fa subito nascere sospetti sulle reali intenzioni di questi critici.
A fianco infatti di alcune critiche che un minimo di fondamento ce l'hanno, si innalza una montagna di accuse terribili ma pretestuose che sembra essere stata scatenata da puro odio ideologico per il fatto che la costituzione esalta l'identità nazionale ungherese e mette in evidenza le sue radici cristiane: due temi che vanno di traverso alle élites intente a produrre un'Europa senza radici e senza identità, fondata sul relativismo etico e culturale che permetta alle burocrazie politiche di Bruxelles e ai potentati finanziari di tutto il continente di dominare incontrastati.
La nuova costituzione abbassa l'età del pensionamento dei giudici da 70 a 62 anni, stabilisce che le Leggi cardinali che potranno essere approvate dal parlamento su alcune materie potranno essere modificate solo con maggioranze dei due terzi, prolunga i termini di alcune nomine, come quella del Procuratore generale o del Presidente del consiglio fiscale, riduce i poteri della Corte costituzionale sottraendogli i giudizi su materie finanziarie e fiscali. Chiari indizi di una maggioranza politica che vuole lasciare la propria impronta sulle istituzioni. Sta di fatto che la "rivoluzione costituzionale" era stata un cavallo di battaglia della coalizione Fidesz-Kdnp durante la campagna elettorale, e che i socialisti avevano ammonito l'elettorato che Orban, se vincitore, avrebbe fatto seguire i fatti alle parole. Dunque gli ungheresi hanno consegnato i due terzi del parlamento alla coalizione di centrodestra in piena coscienza: le leggi modificabili d'ora in poi solo con maggioranze qualificate sono il prodotto di un parlamento che per l'appunto le sta votando con maggioranza qualificata. Quanto ai poteri della Corte costituzionale, torneranno pieni quando il disavanzo pubblico, che attualmente è pari all'80 per cento del Pil, scenderà sotto il 50 per cento: una disposizione costituzionale che attirerà sull'Ungheria investimenti e investitori.
Poi ci sono tutte le accuse pretestuose. Secondo il Corriere della Sera, «la costituzione abolisce il nome di Repubblica Ungherese e conferisce quello di Paese Magiaro (Magyarorszag). Questo forse per ammonire certe minoranze tra le quali zingari ed ebrei?». Peccato che Magiaro e Ungherese siano la stessa cosa: infatti il nome abolito era Magyar Köztársaság. Quanto alle minoranze, nel preambolo della nuova costituzione si legge: «Consideriamo le nazionalità e i gruppi etnici che vivono in Ungheria parti costituenti della nazione Ungherese». Poi l'articolo H protegge le lingue delle minoranze etniche nel paese, l'articolo XIV dettaglia che nessuno può essere discriminato per la razza, il colore, ecc.
Sempre secondo il Corriere della Sera (un altro articolo), e secondo Amnesty International, i socialisti e i liberaldemocratici dell'Europarlamento, la nuova costituzione ungherese mette in pericolo il diritto delle donne all'aborto legale, perché in essa sta scritto: «La vita del feto sarà protetta dal momento del concepimento». Magari. In realtà si tratta quasi della stessa frase contenuta nella legge che regola l'interruzione delle gravidanze in Ungheria, in base alla quale dal 1953 ad oggi sono stati effettuati milioni di aborti: «La vita del feto dovrà essere rispettata e protetta dal momento del concepimento». Quella ungherese non è l'unica legge abortista nell'Europa dell'Est a contenere un articolo che serve solo da foglia di fico, col quale lo Stato si mette a posto la coscienza dichiarando che farà qualcosa per prevenire il ricorso all'aborto legale. Francamente preoccuparsi per la restrizione del diritto all'aborto in un paese dove le interruzioni di gravidanza equivalgono a quasi il 50 per cento delle nascite (attualmente 40 mila aborti procurati all'anno contro 90 mila nascite) suona sinistro.
Discorso simile sulla presunta "omofobia" della Costituzione: solo perché c'è scritto che «l'Ungheria proteggerà l'istituzione del matrimonio inteso come l'unione coniugale di un uomo e di una donna». Budapest, come molti altri paesi europei, dispone di una legge che riconosce le "unioni civili", comprese quelle fra persone delle stesso sesso. I paesi europei che hanno formalizzato il "matrimonio omosessuale" sono solo sette su 47. Se c'è qualcosa che non va, non è nella costituzione ungherese, ma nella testa di chi formula questa critica.
Molto inchiostro è stato speso sul carattere ultranazionalista della costituzione. Dimenticando (ma guarda che strano) che l'unico partito di estrema destra presente in parlamento, lo Jobbik, ha votato contro. Tutto questo perché nel preambolo sta scritto: «Guidata dalla nozione di una singola nazione ungherese, l'Ungheria sentirà responsabilità per il destino degli ungheresi che vivono fuori dai suoi confini, contribuirà alla sopravvivenza e allo sviluppo delle loro comunità, sosterrà i loro sforzi per preservare la loro identità ungherese e promuoverà la cooperazione fra loro e con l'Ungheria». Peccato che la vecchia costituzione stalinista del 1949, contro la quale nessuno in Europa aveva finora obiettato, dicesse le stesse cose con parole diverse: «La Repubblica d'Ungheria si sentirà responsabile per il destino degli ungheresi che vivono fuori dai suoi confini e promuoverà il rafforzamento dei loro legami con l'Ungheria».
La verità è che tutte queste critiche denigratorie sono la punizione per il fatto che gli ungheresi hanno osato evocare nella nuova costituzione la loro storia cristiana: «Noi siamo orgogliosi del fatto che mille anni fa il nostro re, Santo Stefano, ha fondato lo stato ungherese su solide fondamenta, e reso il nostro paese parte dell'Europa cristiana. […] Riconosciamo il ruolo che il cristianesimo ha svolto nella conservazione della nostra nazione». Un riconoscimento che non va a danno dei credenti di altre religioni o dei non credenti, perché subito dopo il preambolo afferma: «Rispettiamo tutte le tradizioni religiose del nostro paese», e l'articolo VI recita: «Ognuno avrà diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Questo diritto darà a ciascuno la possibilità di scegliere liberamente o cambiare la propria religione o convinzione, a manifestarla o ad astenersi dal manifestarla, a praticare o insegnare la propria religione o credo attraverso atti e cerimonie religiosi, o in qualunque altro modo». Non sembra fondamentalismo cristiano. Ma pretendere un po' di informazione obiettiva e completa su argomenti come questi, nell'Europa d'oggi è diventato difficile.
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