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La Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF) ha reso pubblica il 16 maggio l'attesa «Lettera circolare per aiutare le Conferenze Episcopali nel preparare Linee guida per il trattamento dei casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici». Il documento contiene pure una breve storia della risposta della Chiesa alla cosiddetta crisi dei preti pedofili, a proposito della quale non sempre le informazioni che circolano sono precise. Si sente dire infatti spesso che la Chiesa fa troppo poco e che mancano norme precise per reprimere i casi di abusi su minori, che non sono peraltro tutti casi di «pedofilia», dal momento che per definizione medica e giuridica pedofilo è chi abusa di un minore prima della pubertà. Il parroco che scappa con la parrocchiana – o il parrocchiano – di diciassette o sedici anni è certo colpevole, ma non è un pedofilo.
Ma è vero che le norme della Chiesa sono insufficienti? Il documento non ricostruisce la storia precedente al 2001 – su cui pure ci sarebbe molto da dire – ma parte dal motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela del 2001 del beato Giovanni Paolo II (1920-2005), con il quale, come ricorda ora la Lettera, «l'abuso sessuale di un minore di 18 anni commesso da un chierico venne inserito nell'elenco dei delicta graviora riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede [CDF]. La prescrizione per questo delitto venne fissata in 10 anni a partire dal compimento del 18° anno di età della vittima». Attenzione: dieci anni non dal delitto, ma da quando la vittima compie diciotto anni. Ciò significa che un sacerdote che abusava di un bambino di cinque anni poteva essere perseguito secondo la norma del 2001 fino a quando la sua vittima avesse compiuto ventotto anni (diciotto anni più dieci), cioè fino a ventitré anni dopo il crimine, termine di prescrizione lunghissimo rispetto a quanto esiste nelle leggi penali degli Stati. L'intervento della Congregazione per la Dottrina della Fede mirava poi a rendere l'azione contro i colpevoli non più blanda, ma più rigida, superando un certo malinteso buonismo purtroppo diffuso in qualche diocesi.
Ricorda poi la Lettera che «nel 2003, l'allora Prefetto della CDF, il Card. Ratzinger, ottenne da Giovanni Paolo II la concessione di alcune facoltà speciali per offrire maggiore flessibilità nelle procedure penali per i delicta graviora, fra cui l'uso del processo penale amministrativo e la richiesta della dimissione ex officio nei casi più gravi». Questa precisazione non ha un puro valore storico, ma è importante a fronte di autentiche sciocchezze come quelle del documentario della BBC del 2006 Sex Crimes and the Vatican, lanciato in Italia nel 2007 dalla trasmissione Annozero di Michele Santoro, dove si sostiene che il cardinale Ratzinger si sarebbe adoperato per rendere la vita più facile ai preti pedofili. Come la Lettera ci ricorda, è precisamente il contrario. Come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, l'attuale Pontefice fu severissimo, e non cessò d'inasprire le misure repressive.
Un'opera, sottolinea ancora la Lettera, che ha continuato da Pontefice, con la «revisione del motu proprio approvata dal Santo Padre Benedetto XVI il 21 maggio 2010. Nelle nuove norme, la prescrizione è di 20 anni, che nel caso di abuso su minore, si calcolano a partire dal compimento del 18° anno di età della vittima. La CDF può eventualmente derogare alla prescrizione in casi particolari. Venne anche specificato il delitto canonico dell'acquisto, detenzione o divulgazione di materiale pedopornografico». Ci vuole sempre un po' di attenzione per capire bene il discorso sulla prescrizione. Ora gli anni non sono più dieci ma venti, sempre calcolati non dall'abuso ma dal giorno in cui la vittima compie diciotto anni. Chi abusa di un bambino di cinque anni nel 2011 potrà dunque essere perseguito ancora nel 2044, trentatré anni (tredici perché la vittima compia diciotto anni più venti) dopo i fatti, un termine non solo lunghissimo ma del tutto inaudito in altri ordinamenti, tranne quelli dove la prescrizione semplicemente non c'è. Anche nella repressione di chi scarica materiale pornografico con minori da Internet la Chiesa è più avanti di tanti Stati.
La Lettera non contiene in realtà una disciplina nuova rispetto alla normativa introdotta nel 2010. Vuole piuttosto fornire indicazioni pratiche, tenendo conto dell'esperienza maturata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e degli interventi di Benedetto XVI, in particolare della Lettera ai cattolici dell'Irlanda del 2010 e dei discorsi in occasione di diversi viaggi apostolici. La Lettera riprende le idee delle «Linee guida» che le Conferenze Episcopali dovranno mettere a punto per affrontare il problema nelle diverse situazioni locali – alcune, per esempio in Germania e negli Stati Uniti, lo hanno già fatto – e fissa una data precisa entro la quale questi documenti nazionali dovranno essere inviati alla Congregazione per la Dottrina della Fede: il 31 maggio 2012. La Lettera è però molto attenta nel ribadire più volte che le «Linee guida» non sono un incoraggiamento alle Conferenze Episcopali perché esautorino a favore di organismi burocratici nazionali i superiori degli ordini religiosi o i singoli vescovi. Nulla di tutto questo. Al contrario, il documento ribadisce che «la responsabilità nel trattare i delitti di abuso sessuale di minori da parte dei chierici appartiene in primo luogo al Vescovo diocesano».
Le «Linee guida», afferma la Lettera seguendo il Magistero di Benedetto XVI sul punto, dovranno coprire cinque diverse aree. La prima è quella dell'«assistenza spirituale e psicologica» alle vittime. La Lettera ricorda che «nel corso dei suoi viaggi apostolici, il Santo Padre Benedetto XVI ha dato un esempio particolarmente importante con la sua disponibilità ad incontrare ed ascoltare le vittime di abuso sessuale. In occasione di questi incontri, il Santo Padre ha voluto rivolgersi alle vittime con parole di compassione e di sostegno, come quelle contenute nella sua Lettera Pastorale ai Cattolici d'Irlanda (n.6): "Avete sofferto tremendamente e io ne sono veramente dispiaciuto. So che nulla può cancellare il male che avete sopportato. È stata tradita la vostra fiducia, e la vostra dignità è stata violata"».
Il secondo punto è la protezione dei minori. «In alcune nazioni – nota il documento – sono stati iniziati in ambito ecclesiale programmi educativi di prevenzione, per assicurare "ambienti sicuri" per i minori. Tali programmi cercano di aiutare i genitori, nonché gli operatori pastorali o scolastici, a riconoscere i segni dell'abuso sessuale e ad adottare le misure adeguate. I suddetti programmi spesso hanno meritato un riconoscimento come modelli nell'impegno per eliminare i casi di abuso sessuale nei confronti di minori nelle società odierne». Vi è qui l'importante notazione che i programmi – così come la normativa canonica – funzionano. A partire dallo scorso decennio in Paesi come gli Stati Uniti il numero di nuovi casi di abuso – da non confondere con casi precedenti che arrivano nei tribunali con tutte le lentezze della giustizia o sono «riscoperti», qualche volta maliziosamente, da inchieste giornalistiche – è diminuito in modo molto significativo.
Terzo: occorre prestare la massima attenzione alla formazione dei futuri sacerdoti e religiosi, «in vista di un corretto discernimento vocazionale e di una sana formazione umana e spirituale dei candidati. In particolare si farà in modo che essi apprezzino la castità e il celibato e le responsabilità della paternità spirituale da parte del chierico e possano approfondire la conoscenza della disciplina della Chiesa sull'argomento». Il riferimento alle «istruzioni dei Dicasteri competenti della Santa Sede» in effetti rimanda implicitamente all'Istruzione della Congregazione per l'Educazione Cattolica circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini sacri, del 4 novembre 2005, integrata con gli Orientamenti per l'utilizzo delle competenze psicologiche nell'ammissione e nella formazione dei candidati al sacerdozio, del 29 giugno 2008. Ci si può chiedere, al proposito, se sia sempre rispettata nei seminari l'indicazione ribadita nel documento del 2008 secondo cui nel caso di «identità sessuale incerta [o] tendenze omosessuali fortemente radicate» «il cammino formativo dovrà essere interrotto»: un'indicazione, sia chiaro, che non implica affatto che tutti i seminaristi omosessuali siano pedofili ma tiene conto di statistiche secondo cui la maggioranza dei sacerdoti pedofili abusano di bambini e non di bambine, e mira in ogni caso a ripristinare un corretto rapporto con la nozione, ora ribadita dalla Lettera, di «paternità spirituale» così come la intende la Chiesa.
Quarto: l'accompagnamento dei sacerdoti. Finito il seminario non sono purtroppo finiti i problemi. La Lettera ribadisce il dovere di vigilanza dei vescovi, ma – con una sottolineatura maggiore rispetto a precedenti documenti – dedica spazio anche ai sacerdoti accusati ingiustamente. Non solo ribadisce che «il chierico accusato gode della presunzione di innocenza, fino a prova contraria» e vuole che «l'indagine sulle accuse sia fatta con il dovuto rispetto al principio della privacy e della buona fama delle persone», ma chiede pure che «già in fase di indagine previa, il chierico accusato sia informato delle accuse con l'opportunità di rispondere alle medesime», che «in ogni momento delle procedure disciplinari o penali sia assicurato al chierico accusato un sostentamento giusto e degno», e che «si faccia di tutto per riabilitare la buona fama del chierico che sia stato accusato ingiustamente». La nuova sottolineatura appare opportuna a fronte, ormai, di centinaia di casi nel mondo – soprattutto nei Paesi dove la caccia al prete pedofilo,vero o presunto, è diventata per alcuni studi legali un'attività a tempo pieno e milionaria – di sacerdoti accusati ingiustamente e poi tardivamente riabilitati.
Il quinto punto, il più delicato, riguarda «la cooperazione con le autorità civili». Posto che «l'abuso sessuale di minori non è solo un delitto canonico, ma anche un crimine perseguito dall'autorità civile», la Lettera stabilisce che «sebbene i rapporti con le autorità civili differiscano nei diversi Paesi, tuttavia è importante cooperare con esse nell'ambito delle rispettive competenze. In particolare, va sempre dato seguito alle prescrizioni delle leggi civili per quanto riguarda il deferimento dei crimini alle autorità preposte, senza pregiudicare il foro interno sacramentale. Naturalmente, questa collaborazione non riguarda solo i casi di abusi commessi dai chierici, ma riguarda anche quei casi di abuso che coinvolgono il personale religioso o laico che opera nelle strutture ecclesiastiche».
Troppo poco? Parlando di «eventuale obbligo di avvisare le autorità civili», così che in alcuni Paesi le «Linee guida» potrebbero non prevedere o attenuare tale obbligo, la Lettera invita a «tener conto della legislazione del Paese della Conferenza». In alcuni Paesi riferendo incautamente informazioni private all'autorità civile i vescovi potrebbero addirittura violare la legge. In altri Paesi, regimi totalitari usano abitualmente il pretesto della pedofilia per colpire sacerdoti scomodi. La prudenza nell'adattarsi alle situazioni locali è dunque d'obbligo, ma non toglie che lo spirito e la lettera del documento prevedano come regime normale la collaborazione con le autorità civili. Questa collaborazione sta dando anch'essa frutti.
In Italia proprio in concomitanza con la Lettera è scoppiato il caso di Genova. Pensando male, in un Paese come il nostro che ha inventato l'espressione «giustizia a orologeria», si potrebbe dire che non è scoppiato proprio ora per caso: ovviamente quanto ai tempi dell'arresto in un'indagine che durava da mesi, non ai fatti in sé dove sul sacerdote arrestato sembrano purtroppo pesare gravi indizi che giustificano le accorate parole del cardinale Bagnasco. Guardando tuttavia al quadro generale, le misure prese dalla Chiesa si rivelano efficaci e nei Paesi un tempo più colpiti, a cominciare dagli Stati Uniti, i casi – come si è accennato – diminuiscono. Qualche sacerdote, e anche qualche vescovo che non interviene tempestivamente, continua a sbagliare. Come ha scritto Benedetto XVI nella Lettera ai cattolici dell'Irlanda è importante che i fedeli sappiano che gli errori e gli abusi derivano dalla violazione delle norme del diritto canonico, non dalle norme stesse, che sono spesso più severe di quelle delle leggi civili e che la Chiesa si sforza di migliorare e rafforzare continuamente.
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