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La sconfitta di Berlusconi non deve meravigliare più di tanto e non è addebitabile solo agli errori politici del Premier. La regola corrente in Europa è che ogni competizione elettorale registri la vittoria dei partiti all'opposizione. Anche in questo caso si tratta innanzitutto di un voto di protesta espresso contro il partito di turno al potere. Lo conferma l'altissima percentuale degli astenuti che, a Napoli e a Milano, si sono affermati come il primo partito.
Il vero problema, semmai, è quello di capire le ragioni di questa protesta che investe la politica europea successiva al Trattato di Maastricht del 1992, quando si decise di avviare l'unificazione politica del continente attraverso l'istituzione di una moneta comune. Le ragioni della protesta riguardano, anche se in maniera inconsapevole, le conseguenze di quella scelta sulla vita quotidiana dei cittadini. Oggi la vera disfatta, prima che di Berlusconi o di Zapatero, è anche dell'euro, che ha portato a un massiccio trasferimento di risorse finanziarie a Bruxelles, per far funzionare il complesso meccanismo dell'Unione. L'abolizione della variabilità dei tassi di cambio con la conseguente creazione della moneta unica non ha eliminato, ma accentuato, le forti differenze strutturali tra le economie dei 27 Paesi che fanno parte dell'UE e sta conducendo alcuni di essi, come la Grecia, a un vero e proprio regime di colonizzazione da parte delle economie più forti. Non va poi dimenticato il crollo demografico che è anch'esso causa di impoverimento, ma che ha profonde ragioni psicologiche e culturali e che non può trovare nell'immigrazione il suo contrappeso.
Ciò non significa che Berlusconi non abbia le sue colpe. Le principali, però, sono proprio quelle di non avere accompagnato alla discontinuità politica segnata dalle vittorie del Pdl una parallela discontinuità sul piano culturale. Il Pdl ha continuato infatti la politica democristiana, limitandosi a una pura gestione di potere, senza operare alcuna svolta nella mentalità e nei costumi, rispetto alla cultura devastante del '68. Negli ultimi quarant'anni, la deriva morale avviata da quella pseudo-cultura è continuata, sotto i diversi governi, così come nel primo secolo di unità nazionale non era mutata l'impostazione hegeliana e immanentista della cultura nazionale, sotto i diversi regimi, liberali, fascisti e resistenziali.
Oggi la direzione culturale e morale del Paese è nelle mani di una classe sessantottina che trasmette linee di direzione, parole d'ordine e modelli di comportamento improntati al più radicale relativismo e a un'utopia di decostruzione dell'ordine naturale e cristiano. Basti pensare al prossimo svolgimento, nella capitale, dell'Europride, culminante in un'oscena parata omosessualista, il prossimo 11 giugno. Per ora non si conosce nessuna reazione politica contraria, ma anzi la calorosa accoglienza espressa dal sindaco di Roma Alemanno.
Il silenzio o la timidezza del mondo ecclesiastico aggravano la situazione. Eppure in questo quadro che non inclina all'ottimismo, qualcosa si muove e alimenta la speranza. Sabato 28 maggio, ad esempio, si è svolta, con enorme successo, a Desenzano, la prima "Marcia Nazionale per la Vita" a cui hanno partecipato una galassia di associazioni e di movimenti pro-life, senza l'appoggio né delle gerarchie ecclesiastiche, né dei partiti politici, né dei mass media. I partecipanti, per lo più giovani, sono portatori di un pensiero forte che non trova ospitalità e protezione in alcuno schieramento politico. Sta in questa società civile, che oggi affiora con forza al di fuori dei partiti, il futuro della nostra nazione.
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