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Uno dei temi del prossimo referendum del 12 giugno è quello dell'acqua. E ancora una volta ideologia, astrattezze e pregiudizi stanno facendo la parte del leone, con l'aiuto consistente dell'ecologismo arcobaleno. Vogliono privatizzare l'acqua, gli interessi delle multinazionali non devono prevalere, l'acqua è di tutti, non si specula sulla sete: frasi di questo genere le abbiamo sentite e lette tutti. Su di esse sono stati tenuti convegni, costruite campagne, organizzate marce, firmate petizioni, convocate perfino veglie di preghiera. Senza contare, però, che il problema è diverso.
Che l'acqua sia un fondamentale bene pubblico, che su di essa non si debba speculare, che debba essere usata a vantaggio di tutti è assolutamente vero. Che dal punto di vista cristiano l'acqua vada salvaguardata e bene adoperata, in quanto è un elemento che il Creatore ha messo a disposizione di tutti i suoi figli è ancora più vero. Che occorra riflettere sul futuro dell'acqua, soprattutto per certe aree povere del pianeta è certissimo. Che questo però significhi automaticamente che una gestione privata sia considerata a priori come un "mostro" e quella degli enti pubblici come la più efficiente non è per niente vero. "Gestione" dei tubi, dico, non proprietà né controllo.
Non si può pensare che privato da un lato e pubblico dall'altro siano o due mostri o due paradisi in terra. Se la municipalizzata dell'acqua funziona bene, tiene bassi i prezzi e investe nella rete idrica non è il caso di privatizzare la gestione. Se la municipalizzata, invece, deve mantenere uno stuolo di raccomandati, serve per collocare nei consigli di amministrazione i trombati alle elezioni, tiene bassi i prezzi solo perché scarica sul fisco i costi eccessivi, permette che le tubazioni perdano il 40 per cento dell'acqua perché non investe sugli impianti e non fa manutenzione, allora è lecito pensare a nuove forme di gestione, anche in collaborazione con il privato. Qui non ci sono il Bene e il Male, ma solo scelte di buon senso fatte di volta in volta. In giro per il mondo ci sono mille situazioni di collaborazione pubblico-privato, secondo mille modulazioni diverse a seconda dei luoghi e della loro storia. Da noi, invece, aut aut: o pubblico o privato, salvezza o perdizione, egoismo e sfruttamento oppure solidarietà e bene comune. Non è così.
Nel nostro Paese gli investimenti sono fermi ormai da molto tempo e i livelli della fornitura e della depurazione sono insoddisfacenti. Il sistema, inoltre, non potrà più scaricare le sue perdite sulla fiscalità generale, ossia sulle tasse dei cittadini, dovrà finanziarsi da sé e questo vale sia che si apra ai privati sia che no. Se il sistema non funziona, i cittadini o pagano di più la bolletta o pagano di più di tasse: non c'è scampo.
Ha un bel dire la Dottrina sociale della Chiesa che bisogna costruire un sistema a tre: privato, Stato e società civile. Poi, invece, molti ancora pensano che il privato sia il babau e la municipalizzata sia il tutore del bene comune. Non riusciremo a garantire l'acqua ai nostri figli se non supereremo questi moralismi, che con «sor'Aqua, la quale è molto utile et humile et pretiosa et casta» di San Francesco non hanno niente a che fare.
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