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Se non ora quando? Ma soprattutto, perché? Come? Ma che volete? In breve, "ma che state a di'?"
Davvero, ho letto con attenzione i resoconti, numerosi e copiosi, della manifestazione che avrebbe dovuto invadere Siena e mettere a fuoco l'Italia (ma non basta andare nella città di santa Caterina per assimilarne la capacità di condottiera e infiammatrice degli animi), e, lo assicuro, non ho capito quale sia il punto. Ho letto gli editoriali di Michela Marzano, li ho fatti i compiti, ho ascoltato una trafila di slogan, luoghi comuni a chili, frasi fatte come se piovesse, ma quale sia la vera richiesta del movimento delle donne, in verità, non l'ho capito.
Anzi, assistendo ai resoconti, ho avuto come l'impressione di essere vittima di una lunghissima supercazzola (quello scherzo tipo Amici miei in cui si dicono una serie di parole, la maggior parte dotate di senso, ma abbinate in modo insulso, al fine di non dire assolutamente niente di sensato). Includere, fare rete, organizzarsi, ognuna di noi cerca le altre, per costruire insieme il suo se non ora, quando? Adesso!
Ma adesso che? Che vogliono le donne, insomma?
Vogliamo l'uguaglianza nella differenza, dice la Marzano. Qualcuno mi può cortesemente fare un esempio? C'è una che dice: "io voglio essere avvocato, e anche mamma". Ora, io capisco la necessità di semplificare e sintetizzare per bucare lo schermo, è anche il mio lavoro, lo so. Ma una proposta concreta io, da casa, non l'ho sentita. Neanche mezza. Idee per permettere a una lavoratrice di fare la mamma non ne ho sentite; solo mamme che vogliono invece lavorare, mi sembra.
Non ho sentito qualcuna che invitasse, per esempio, a pretendere una legge che costringa tutte le aziende a dare il part-time, obbligatoriamente, a una mamma che lo chiede. Non ho sentito chiedere aspettative retribuite, per dirne un'altra. La possibilità di stare a casa adesso e di rimanere al lavoro più a lungo visto che una donna a sessanta anni di solito è nel fiore delle capacità, soprattutto se non fa un lavoro fisico. Insomma, strumenti che consentano alle mamme di seguire i figli senza perdere completamente i contatti col mondo del lavoro, e senza essere costrette a vendere una cornea per mantenersi.
Infatti quelle donne non rappresentano i veri problemi delle vere donne del vero Paese, di donne che quando lavorano si pongono il problema di come seguire i figli, piuttosto che di come fare carriera. La vita di una donna ha fasi diverse, molto più che quella di un uomo, non c'è femminismo che tenga. La donna si fa carico, non perché sia una vittima del sistema, ma perché è così, le piace, le viene naturale e lo fa bene (la Marzano avrà figli?). Questi sono i nostri problemi veri, e infatti da quel poco che è dato intuire dai giornali, tutti allineati a favore della manifestazione, la due giorni di Siena a occhio e croce è stato un mezzo flop.
In pratica, se ho ben capito, le donne si lamentano di non essere uomini.
Giulia Bongiorno, per esempio. "Io ho dovuto (dovuto?) fare il primo figlio (primo?) a quarantacinque anni", ha detto arrabbiata a la Repubblica. "Se fossi stata un uomo l'avrei fatto a trenta". Sorvolando sul fatto che per la biologia una donna a trenta anni non è comunque una ragazzina, ci chiediamo: di chi è la colpa? Se una vuole - scelta libera e legittima, ci mancherebbe - investire così tanto sul lavoro, diventare uno degli avvocati più quotati d'Italia, difendere Giulio Andreotti nel processo del secolo, con chi se la vuole prendere se poi i figli li fa ben oltre il limite massimo? Di chi è la colpa? Della cattiveria degli uomini che si ostinano a non avere l'utero?
Non si può essere madri presenti e professioniste ai vertici assoluti nazionali. Non è possibile, e non è colpa di nessuno. È colpa di quella bizzarra e stravagante cosa chiamata realtà.
Una persona più caritatevole di me saluterebbe con gioia una simile presa di posizione: magari l'onorevole si è accorta che avere un figlio è una cosa meravigliosa oltre ogni aspettativa, e forse, chissà, si potrebbe ravvisare un po' di rammarico nelle sue parole? Magari, parlando di primo figlio, lascia intendere che le piacerebbe, le sarebbe piaciuto, averne altri?
Ma per quanto riguarda quelle che non sono le numero uno, di che stiamo parlando? Vorrei sentire piuttosto proposte concrete sulla flessibilità del mondo del lavoro, che sia capace di guardare al risultato, di valorizzare le capacità delle multimamme, perché una che ha fronteggiato pidocchi e vomiti e convulsioni non si smuoverà di un centimetro al presentarsi di quisquilie lavorative.
Infatti erano in pochissime. Duemila donne (a lume di naso direi più o meno gli spettatori di una oscura partita di serie D), comunque, hanno catalizzato l'attenzione di tutta l'informazione. Pochissime ma super rappresentate. Forse perché quasi tutti i giornali stanno dalla parte di quelle battaglie: contro la famiglia, sessi indifferenziati, tutti al lavoro allo stesso modo, sempre meno figli e sempre più delegati ad altri. Uomini senza famiglie, sempre più soli, liberi da condizionamenti, autodeterminati. Questa storia l'ho già sentita. È la solita vecchia ribellione al fatto di avere limiti, di essere creature. Non mi pare che abbia mai portato un gran bene all'uomo. Per cui direi: se non ora, quando? Mai, possibilmente.
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