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La Camera dei Deputati ha approvato il progetto di legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento apportando notevoli modifiche al testo già licenziato dal Senato della Repubblica.
Il Comitato Verità e Vita ha già espresso un giudizio sintetico, ribadendo la propria contrarietà all'approvazione di qualunque legge sul testamento biologico e riaffermando che una legge di questo tipo, se approvata definitivamente, sarebbe il secondo passo verso la legalizzazione dell'eutanasia, dopo il primo costituito dall'uccisione di Eluana Englaro autorizzata dai Giudici.
Occorre però un'analisi approfondita del testo del provvedimento: è probabile, infatti, che si tratti del testo definitivo della futura legge (difficilmente il Senato apporterà ulteriori modifiche). Il giudizio deve essere meditato e non affrettato o emotivo; dobbiamo cogliere il contenuto effettivo del progetto (in parte nascosto da coloro che lo promuovono) e capire gli effetti pratici prodotti nell'ordinamento giuridico e sulla vita delle persone e della società.
QUALI TIMORI?
Da questo progetto non temiamo solo una legalizzazione dell'eutanasia consensuale (quella richiesta da colui che vuole morire), ma soprattutto di quella non consensuale: ci opponiamo ad una legge che permetterà (di diritto o di fatto) l'uccisione (anche mediante omissione di cure e terapie) di persone che non hanno chiesto di morire e che non sono in grado di opporsi alle decisioni che possono portarle a morte.
Le leggi o le decisioni contro la vita, fino ad ora, hanno legittimato uccisioni di questo tipo: dall'aborto volontario, alla fecondazione extracorporea, alla decisione dei giudici nei confronti di Eluana Englaro. Non solo: queste leggi e queste decisioni hanno fatto emergere i criteri per individuare le vittime: la malattia o le malformazioni (aborto "terapeutico" e fecondazione in vitro con selezione degli embrioni), lo stato di salute al di sotto di una "qualità della vita" accettabile, "degna di essere chiamata vita" (il caso Englaro). È facile individuare le ulteriori "categorie" di potenziali vittime, già colpite in altre parti del mondo: i neonati malati o disabili, gli anziani in stato di demenza, i disabili in stato di incoscienza, i malati di patologie inguaribili e progressive.
I PRINCIPI PROCLAMATI
L'articolo 1, intitolato "Tutela della vita e della salute" è rimasto quasi immutato rispetto al testo approvato al Senato: l'articolo proclama principi generali e ha lo scopo evidente di rassicurare coloro che difendono il diritto alla vita.
Ma ancora una volta si deve ribadire che le leggi ipocrite contengono sempre affermazioni di principio di contenuto opposto al loro reale contenuto: ben sapendo come la legge 194 del 1978 sull'aborto "tutela la vita umana dal suo inizio", così come proclama, non possiamo certo esultare se il progetto di legge sulle DAT promette di garantire e tutelare la vita umana "anche nella fase terminale dell'esistenza e nell'ipotesi in cui la persona non sia più in grado di intendere e di volere"!
Davvero definire la vita umana "diritto inviolabile e indisponibile" è un argine alle uccisioni fondate sul rifiuto di terapie salvavita? Sì, perché, che fosse un diritto inviolabile e indisponibile era un dato da sempre pacifico, ma dottrina e decisioni giudiziarie hanno ripetutamente affermato che il rifiuto espresso contro una terapia salvavita non è superabile dai medici, cosicché la morte può giungere su richiesta dell'interessato sulla base del principio della disponibilità della salute, mantenendo fermo il principio dell'indisponibilità della vita... (vi sembra una distinzione da azzeccagarbugli? Beh, questo è lo stato dell'arte...).
E perché dovremmo rallegrarci se la legge ribadisce la vigenza delle norme del codice penale che vietano l'omicidio, l'omicidio del consenziente e l'aiuto al suicidio("La presente legge ... vieta ai sensi degli articoli 575, 579 e 580 del codice penale ogni forma di eutanasia e ogni forma di assistenza o di aiuto al suicidio")? Sappiamo bene che quelle norme penali – ingiustamente interpretate da giudici civili e penali, che le hanno svuotate dall'interno – non hanno impedito il suicidio assistito di Piergiorgio Welby, né hanno fatto argine alla volontà di Beppino Englaro di far morire la figlia.
Quanto al "divieto di ogni forma di eutanasia" (ribadito una volta di più nel testo approvato alla Camera dei Deputati): che efficacia ha se, nella legge, non si rinviene nessuna definizione di "eutanasia"? La morte procurata mediante sospensione di terapie o cure pretesa dal soggetto interessato oppure dai suoi legali rappresentanti deve considerarsi eutanasia?
IL DIVIETO DI ACCANIMENTO TERAPEUTICO
La prima norma che giustifica i timori si trova nell'articolo 1 lettera f: "La presente legge ... garantisce che in casi di pazienti in stato di fine vita o in condizione di morte prevista come imminente, il medico debba astenersi da trattamenti straordinari non proporzionati rispetto alle condizioni cliniche del paziente o agli obiettivi di cura".
Sembra una norma innocua, di buon senso, ma non lo è affatto: cerchiamo di capire perché.
In primo luogo: la legge stabilisce un divieto per il medico e, quindi, un diritto del paziente a non subire trattamenti "straordinari non proporzionati".
Dove si farà valere questo diritto? Davanti ad un Giudice civile. Quando i radicali minacciano che, una volta approvata la legge, i Tribunali saranno pieni di cause intentate contro i medici, essi hanno in mente anche questa norma.
Quale sarebbe l'oggetto di questa causa? Il medico curante verrà citato in giudizio per contestare una terapia ancora in corso e per costringerlo a cambiarla o a farla cessare. Un giudice dovrà decidere sulle terapie erogate ai pazienti! Questo è l'effetto di avere trasformato una regola deontologica (quella che ciascun medico deve seguire in base ai principi della sua professione) in regola giuridica, stabilita per legge.
Chi potrà intentare la causa? Ovviamente il paziente, titolare del diritto; ma anche i suoi legali rappresentanti se si tratta di incapace: genitori di minori o tutori di interdetti. Come non ricordare Piergiorgio Welby (i giudici civili respinsero la sua domanda di sospendere le terapie, affermando che il suo diritto non era tutelato: ecco, ora lo sarà...) e Beppino Englaro (egli agiva come tutore della figlia interdetta, sostenendo che ogni terapia o cura prestata ad Eluana integrava un accanimento terapeutico...)? La legge normalizza due tipi di azione che molti avevano ritenuto al di fuori dell'ordinamento.
Non basta: chi sono i pazienti in stato di fine vita? La legge non fornisce alcuna definizione. Facciamola breve: è pacifico che i soggetti in cd. stato vegetativo (la condizione in cui si trovava Eluana Englaro) rientrano nella categoria; e come negare, ad esempio, che un anziano colpito da demenza non si trovi in stato di fine vita (in ogni caso morirà tra qualche anno...)?
Emerge una gravissima discriminazione: alcune categorie di pazienti non devono essere curati al meglio: le "condizioni cliniche" o gli "obbiettivi di cura" comportano il divieto di terapie straordinarie – quelle, cioè, che permettono alla medicina di avanzare ogni anno, scoprendo nuove terapie e raggiungendo nuovi risultati! E quali sono gli obbiettivi di cura per un soggetto in stato vegetativo persistente ("non tornerà mai più alla coscienza") o per un vecchio malato di Alzheimer?
Concludiamo, quindi, su questo punto: lo scenario prevedibile è che altri Beppino Englaro promuovano cause contro i medici che curano altre Eluana Englaro, sostenendo che le terapie erogate sono sproporzionate, straordinarie, non adeguate agli obbiettivi di cura, tenuto conto delle condizioni cliniche.
In queste cause (sicuramente ammissibili, alla luce del testo di legge) si tenterà, tra l'altro, di scardinare il divieto di sospensione dell'alimentazione e idratazione artificiali (di cui parleremo nei prossimi post), sostenendo che si tratta di terapie, se del caso mediante apposite eccezioni di costituzionalità (pensate che non si troveranno Giudici civili pronti a sollevarle?).
L'effetto sui medici volenterosi si avrà, comunque, già prima: basterà la minaccia di promuovere una causa ...
Il tutto – si noti bene – non ha niente a che vedere con il divieto dell'accanimento terapeutico, che riguarda soltanto i pazienti terminali, prossimi alla morte.
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