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Una donna extracomunitaria, cristiana, finisce di scontare la sua pena in prigione in Italia e rischia l'espulsione nel proprio paese d'origine, la Nigeria, di cui si sente parlare soltanto in occasione di scontri e di rapimenti di lavoratori stranieri del settore petrolifero. Se tornerà nel suo paese andrà incontro alla lapidazione, un supplizio tremendo prima di trovare la morte, perché dieci anni fa rifiutò di sposare un vecchio uomo musulmano che voleva anche convertirla all'islam. Gli ingredienti di una bella storia ci sono tutti: il paese ricco ma chiuso nei confronti degli stranieri, un paese povero e insicuro, vecchie leggi tribali, una povera cristiana contro arroganti islamici, anche il probabile errore giudiziario in Italia, dove ha scontato quasi 5 anni per detenzione di droga che lei dice essere delle sue coinquiline. E c'è anche l'eroe solitario italiano che sfida tutto e tutti per portare in salvo la vittima predestinata.
Insomma una bella storia che vende. E così i giornali si riempiono di paginate che invitano alla mobilitazione per fermare la perversa macchina burocratica che rischia di mandare a morte una donna che ha avuto il solo torto di far prevalere la propria dignità sulle usanze tribali. E dietro ai giornali ecco subito i politici: interrogazioni in Parlamento, dichiarazioni pubbliche di fuoco, anche una mozione a Bruxelles degli europarlamentari italiani; scendono in campo anche alcuni ministri, e poi ancora vescovi e intellettuali. Per giorni in Italia la vicenda sembra prevalere perfino sulla crisi economica, eppure a nessuno viene in mente di verificare la notizia; neanche di fronte alla genericità delle informazioni e ad alcune palesi contraddizioni che provengono dall'unica fonte, la stessa donna attraverso la voce di Franco Corbelli, presidente del movimento Diritti Civili.
A parte, nei due articoli di Primo Piano, spieghiamo nei dettagli tutta la vicenda e perché ci sono molti motivi per credere che Kate, la nigeriana di 34 anni di cui stiamo parlando, in realtà non sia affatto destinata alla lapidazione nel caso di un ritorno in Nigeria. Ma non è questo il punto che maggiormente ci sta a cuore: non abbiamo in mente di chiedere che venga espulsa, anche perché di fronte a un ragionevole dubbio meglio andare sul sicuro ed evitare che una vita sia messa a rischio. Semplicemente abbiamo voluto palesare i tanti buchi in questa storia che consigliano un approfondimento e una verifica seria. Perché la realtà è più importante di qualsiasi emozione.
Qui però ci interessa soprattutto mettere in evidenza un meccanismo mediatico inquietante, che arriva a coinvolgere anche le istituzioni, e non è neanche la prima volta che accade. Ovvero la leggerezza con cui si lanciano notizie soltanto perché si tratta di storie intriganti, se non vere almeno verosimili; che fanno vendere, come si dice in gergo. E che, come in questo caso, diventano bandiere di battaglie umanitarie, a cui poi ognuno si accoda per portare l'acqua al proprio mulino. Come nel caso di Kate: accanto a chi si è mosso per sincero spirito umanitario, credendo in buona fede a chi ha dato la notizia, c'è chi ha colto la palla al balzo per mettere sotto accusa la politica del governo in fatto di immigrazione (come se il rischio di lapidazione fosse dovuto all'Italia e non, caso mai, alla Nigeria), chi per garantirsi qualche attimo di celebrità, chi per guadagnarsi il favore dell'opinione pubblica in momenti poco felici per i politici. La verità non importava: chi sia davvero Kate, quale la situazione effettiva in Nigeria. Prevale il messaggio.
Nessuno infatti, nelle redazioni dei grandi giornali, si è preoccupato di verificare seriamente l'attendibilità del racconto, se davvero c'era stata o no la sentenza di un tribunale islamico: molto spesso ci si è limitati a copiare le dichiarazioni ufficiali e i comunicati stampa di Franco Corbelli, senza neanche fare caso a contraddizioni e mancanza di informazioni dettagliate. Non fa niente, la storia è bella così. Palesando in questo modo anche un disinteresse vero nei confronti della protagonista di questa storia, basta che sia utile per farne una bandiera. Ma palesando anche, oltre all'ignoranza della realtà di paesi lontani, un certo razzismo nel descrivere questi stessi paesi che evidentemente – se appena si gratta sotto il "politicamente corretto" - nell'immaginario collettivo sono tutti abitati e governati da selvaggi.
In Nigeria, come in altri paesi africani e asiatici, certamente ci sono molti problemi legati alla sopravvivenza di arcaiche usanze tribali o vecchie credenze, spesso disumane, che tengono bloccata la società e rendono difficile la convivenza. Ma non si può ridurre tutta la realtà a questo schema, né si aiutano i cristiani perseguitati se si sceglie come loro bandiera un testimonial o una situazione poco credibile. E peraltro, esaurito il caso Kate, nessuno si preoccupa oltre della situazione dei cristiani in Nigeria. A dimostrazione di quanto detto finora.
Ma ancora più grave, se possibile, è l'atteggiamento di alcuni rappresentanti delle istituzioni. In particolare ha molto colpito che il ministro degli Esteri Franco Frattini sia subito sceso in campo con dichiarazioni su dichiarazioni assicurando la veloce concessione dell'asilo politico: non solo si è esposto su decisioni che, fino a prova contraria, spettano al ministro dell'Interno e alla commissione che deve valutare la documentazione, ma come ministro degli Esteri ha palesato una preoccupante ignoranza della situazione in Nigeria. Il fatto che mai nessuna donna cristiana sia stata condannata alla lapidazione, la vaghezza degli elementi forniti da Kate o da chi per lei (la Nigeria è grande e la situazione è diversa da stato a stato, da etnia a etnia), avrebbero dovuto almeno consigliare un po' di prudenza nel fare dichiarazioni. Seguire l'onda delle emozioni o l'umore della folla non è proprio una bella dote per un uomo politico.
E comunque per il futuro forse sarebbe meglio che la Farnesina si attrezzasse in modo da avere una banca dati aggiornata su tutti i paesi del mondo, facilmente consultabile in casi di necessità come questo. Servirebbe a risparmiarsi qualche figuraccia e ad evitare incidenti diplomatici.
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