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Domani, sabato 15 ottobre, si svolge la giornata internazionale di mobilitazione degli "indignaods", e la manifestazione di Roma sarà il suo fulcro in Italia.
Ma chi sono gli "indignados" che scendono in piazza in Spagna, in Gran Bretagna, negli Stati Uniti, in Italia e la cui protesta sembra inarrestabile? Il nome viene da un libretto pubblicato nel 2010 in Francia da un piccolo editore (Indigène éditions di Montpellier) che si è trasformato in successo mondiale, Indignez-vous ! (Pour une insurrection pacifique) - trad. it., Indignatevi!, Add editore, Torino 2011 -, del vecchio (novantatré anni) ex militante della Resistenza francese, ambasciatore e uomo politico Stéphane Hessel. Questo nuovo "libretto rosso" di una rivoluzione fai da te è ampiamente sopravvalutato. Hessel attacca quella che in Italia siamo abituati a chiamare la "casta" - politici, industriali, Chiesa - ma i suoi critici fanno notare che ne ha sempre fatto parte. E il suo legame politico con Dominique Strauss-Kahn è diventato fonte d'imbarazzo dopo gli incidenti a sfondo sessuale che hanno coinvolto l'ex direttore generale del Fondo Monetario Internazionale.
Il contenuto, poi, è di una povertà desolante. Un critico davvero insospettabile, il giornalista del quotidiano di sinistra Libération Pierre Marcelle, ha chiamato Hessel «il Babbo Natale delle buone coscienze». Le trenta paginette che si vorrebbero anticonformiste di Indignatevi! sono in realtà un inno al più vieto conformismo politicamente corretto, e lasciano l'impressione che per superare la crisi in atto non ci sia bisogno di fare sacrifici. Basterebbe che i cattivi che si sono impadroniti della politica e dell'economia siano sostituiti da "buoni" dalle caratteristiche molto vaghe: leali, generosi, un po' antiamericani e anti-israeliani, fedeli ai "valori della Resistenza" - ci mancherebbe altro - e capaci di emozionarsi per i "nuovi diritti" rivendicati dalle femministe e dagli omosessuali.
I primi "indignados" - di qui il nome spagnolo - si sono manifestati il 15 maggio 2011 a Madrid. Come ha fatto notare il teologo spagnolo don Javier Prades-López a un convegno organizzato dal cardinale Angelo Scola a Venezia, gli "indignados" se la sono presa per prima cosa con la Chiesa e hanno finito per contestare il Papa e la Giornata Mondiale della Gioventù. Questa è un'importante differenza sia con i vecchi no global, che non erano certo filocattolici ma che non avevano la Chiesa tra gli obiettivi principali, sia con le folle delle "primavere arabe", che anzi in parte, contestando dittature "laiche", chiedevano più e non meno religione.
L'aspetto anticattolico sottolineato da Prades-López e l'insistenza sui "nuovi diritti" non vanno in alcun modo sottovalutati. Ma ugualmente importante è la rivolta contro la politica in genere, contro la "casta" e l'idea che la crisi economica derivi da colpe individuali di singoli esponenti del mondo politico e finanziario, così che gli "indignados" non vogliono in nessun modo pagarne il costo. A Roma si è sentito rivendicare un «diritto all'insolvenza», a non pagare i debiti. A Londra si sono visti giovani sfasciare vetrine chiedendo non il pane - come in Tunisia -, ma il diritto al cellulare ultimo modello o all'abito di marca. A Parigi gli slogan contro tutti i partiti e gli inviti ad astenersi dal voto elettorale hanno turbato lo stesso Hessel, che ha sempre fatto politica di partito e che forse ora si è accorto di avere aperto un vaso di Pandora.
Ma per capire gli «indignados» non bastano gli analisti politici. Ci serve una teologia della storia. Papa Benedetto XVI ha parlato questo mese in Calabria della «mutazione antropologica» di una generazione che vive nella realtà virtuale di Internet e degli smartphone e rischia di perdere il contatto con il mondo reale. Il pensatore cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), nel suo grande affresco della scristianizzazione dell'Occidente, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione (cfr. Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Edizione del cinquantenario, a cura di Giovanni Cantoni, Sugarco, Milano 2009), vedeva la Rivoluzione, con la "R" maiuscola, come un processo di progressiva distruzione dei legami sociali che avevano fatto dell'Occidente cristiano quello che era. Prima i legami religiosi, con la rottura con Roma del protestantesimo; poi i legami politici organici fondati sulla ricchezza dei corpi intermedi, sostituiti da un freddo rapporto fra il cittadino e lo Stato moderno, con la Rivoluzione francese; infine i legami economici, con il comunismo e l'assorbimento di tutta la vita economica nello Stato. Più tardi, Corrêa de Oliveira aggiunse alle prime tre fasi quella che chiamava Quarta Rivoluzione, che aveva il suo momento emblematico nel 1968 e non attaccava più legami macrosociali, ma microsociali - la famiglia, il legame fra madre e figlio con l'aborto - e perfino i legami dell'uomo con se stesso con la droga, l'ideologia di genere, l'eutanasia.
Il 1968 era tutto questo, ma la Terza Rivoluzione - quella comunista - era ancora così forte da riuscire largamente a recuperarlo. I no global - in parte professionisti del disordine, in parte nostalgici di forme arcaiche di marxismo - rappresentano la transizione fra un movimentismo di Terza e uno di Quarta Rivoluzione. Gli "indignados" sembrano essere insieme la causa e l'effetto di una Quarta Rivoluzione che ha portato alle estreme conseguenze lo spappolamento del corpo sociale, la solitudine di tutti da tutti, e contro tutti, il rifiuto di ogni responsabilità - ben simboleggiato dalla rivendicazione del diritto a non pagare i debiti e dagli insulti al Papa, in quanto richiama all'esistenza di doveri -, la mancanza assoluta di prospettive e, in fondo, anche di speranza. Ci volevano oltre quarant'anni di Quarta Rivoluzione perché le piazze potessero riempirsi di "indignados".
Si tratta di movimenti che sono stati sempre manipolati e riassorbiti da qualche demagogo politico. Avverrà anche questa volta? Si è candidato Beppe Grillo, che si è affrettato ad accorrere anche a Madrid ai primi segni di vita degli "indignados". E abbiamo visto emergere partiti paradossali, del nulla, intitolati alla pirateria informatica o, com'è appena avvenuto in Polonia, a una collezione raffazzonata di «nuovi diritti» tenuti insieme dall'anticlericalismo. Questi partiti non vincono le elezioni, ma è già inquietante che ottengano seggi ed entrino nei parlamenti.
Quanto ai politici tradizionali - compresi quelli di sinistra - sperano talora di sfruttare gli "indignados" ma ne ricavano principalmente uova marce. L'incomprensione, e le uova marce, spiegano perché la politica non solo non sia in grado di rispondere alle poche rivendicazioni sensate degli "indignados" - che sono di carattere economico immediato, ovvero denunciano lo scandalo reale di classi dirigenti che chiedono sacrifici cui non sono disponibili a partecipare di persona -, ma anche perché, intimidita, non sia neppure in grado di garantire l'ordine pubblico come dovrebbe fare quando le proteste degenerano in intollerabili violenze.
La presenza degli "indignados" dà ragione a Benedetto XVI: siamo di fronte a un degrado antropologico che spesso inizia con il manifestarsi come ostilità alla Chiesa e al cristianesimo. È certo necessaria una risposta di ordine pubblico alle frange violente, che non si lasci intimidire da nessuna retorica buonista. Ma affrontare seriamente il problema degli "indignados" significa operare con pazienza per ricostituire i legami sociali e personali spezzati da una lunga Rivoluzione. Per gli uomini e le donne di buona volontà - lo ha detto il Papa al Parlamento Federale tedesco - questo si chiama ritorno al diritto naturale, all'idea che esistono doveri e non solo diritti, a una chiara nozione del bene e del male. Per i cattolici, si chiama nuova evangelizzazione.
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