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L’opinione pubblica italiana è sotto choc di fronte alle notizie provenienti dall’ospedale calabrese di Cosenza, dove un neonato di 22 settimane è morto dopo essere sopravvissuto per due giorni a un aborto volontario avvenuto all’ospedale di Rossano.
Il clamore è ovviamente più che giustificato, e se possibile amplificato dai particolari raccapriccianti che arricchiscono la cronaca di questa morte così poco naturale. Tuttavia, occorre dire con chiarezza che di fronte a una vicenda come questa non ci si può fermare al guscio del problema, non si può vivere di emozioni e di sensazioni epidermiche. Se è giusto e doveroso indignarsi per questa particolare vittima dell’aborto volontario, è allora altrettanto doveroso e giusto provare la stessa indignazione per tutti quei bambini invisibili che vengono uccisi prima della nascita. La triste storia di Rossano si inserisce dentro una cornice che noi di Verità e Vita conosciamo molto bene. E questa cornice si chiama legge 194. E’ in nome di questa legge che l’aborto è diventato un diritto nel nostro Paese, ed è in forza di questa legge che negli ospedali pubblici dello Stato in questi anni sono stati soppressi milioni di innocenti che non hanno avuto spazio sulle pagine dei giornali, semplicemente perché erano più piccoli di un feto di 22 settimane.
Di più: il bambino di Rossano era destinato a esser eliminato sulla base della stessa legge 194, che prevede la legittima soppressione di esseri umani handicappati, fatto salvo il caso in cui essi possano sopravvivere fuori dal corpo della madre. La magistratura accerterà se nel caso specifico la legge sia o non sia stata rispettata. Ma il punto è un altro: e cioè che nel nostro Paese l’uccisione sistematica dei nascituri è cruenta e violenta sempre, ma non fa più notizia. Il caso di Rossano è solo la punta di un iceberg, è il disvelamento fulmineo e parziale di una tragedia di gigantesche proporzioni, che si consuma quotidianamente nei nostri ospedali.
La legge 194 è un albero malefico che ha prodotto i frutti coerenti: ha alimentato una cultura di morte; ha giustificato una mentalità eugenetica; ha introdotto l’aborto chimico (RU486); ha ormai ottenuto una pacifica accettazione delle norme ingiuste. Anche in queste ore alcuni autorevoli commenti confermano questo imbarazzante allineamento alla 194: qualcuno, ad esempio, si è chiesto se il bambino fosse davvero malformato, come se da questo derivasse una legittimazione alla sua soppressione.
Purtroppo si conferma la tesi che da tempo Verità e Vita va pubblicamente sostenendo: se non si difende la vita umana tutta e sempre, senza compromessi con la verità, la cultura di morte non può che avanzare, inesorabilmente, cavalcando abilmente i nostri silenzi e le nostre ambiguità. Non si può difendere la vita tacendo l’iniquità di ogni fecondazione artificiale, anche omologa, e difendendo a spada tratta e acriticamente la legge 40, che la permette. Non si può invocare la 194 come una “buona legge”, e poi sperare di impedire la commercializzazione della pillola del giorno dopo o della RU486.
Il caso di Rossano, nella sua clamorosa e palese drammaticità, è un messaggio in bottiglia lanciato nel mare dell’indifferenza. A spedircelo sono i 5 milioni di bambini abortiti in Italia in questi anni: a loro deve rivolgersi il nostro sguardo, a loro dobbiamo dare voce.
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