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Il quotidiano Avvenire il 5 novembre ha pubblicato un articolo dal titolo "Il meteorologo: colpa del clima cambiato. Alluvioni-lampo peggiori degli uragani", a firma di Lucia Bellaspiga. Stavolta ad essere intervistato non è più Luca Mercalli (di cui già abbiamo scritto), ma il volto noto della RAI Francesco Laurenzi: comun denominatore dei due meteorologi la passione per il farfallino e per l'imminente catastrofe climatica.
Della tragica alluvione di Genova già si è scritto sulla Bussola Quotidiana, ma andiamo a verificare alcune affermazioni del meteorologo. Ecco la prima:
«E in particolare quest'anno si registra il picco di "alluvioni lampo", le cosiddette flash flood, violente e improvvise, causate dall'ottobre caldissimo[…] fuori dal normale».
Bene, se andiamo a controllare sul sito del CNR, la temperatura media di ottobre ha avuto un'anomalia di +0.13°C (circa una linea per chi era abituato con i vecchi termometri della febbre) rispetto alla media del periodo 1800-2010; messi in ordine è al 72° posto rispetto all'ottobre più caldo che è relativo all'anno 2001, con un'anomalia di +2.85°C, mentre quello più freddo è relativo al 1974 con -3.80°C. In natura, secondo Avvenire, non essere esattamente pari al valore medio, senza neanche tener conto degli errori, significa essere fuori dal normale? Un tragico concetto se fosse esteso anche in altri campi.
Passiamo alla seconda affermazione: «Che il clima è cambiato è evidente dai numeri degli ultimi disastri», dice Laurenzi presentando i dati delle ultime alluvioni dimenticandosi i vecchi, anche di quello - impossibile da non citare - del 1970. «Le alluvioni classiche, invece, come quella famosa del Polesine nel 1951, facevano 5 o 6 morti. Come mai? Il fatto è che un tempo pioveva per una settimana intera, i torrenti pian piano s'ingrossavano, il fiume saliva e si vedeva, quindi c'era il tempo di reagire, anche di andarsene. Qualcosa è cambiato con l'alluvione di Firenze».
Purtroppo, a differenza di quanto affermato da Laurenzi, l'alluvione del Polesine causò 84 morti e più di 180mila senzatetto. Per quanto riguardo il fatto che "i torrenti pian piano s'ingrossavano" Laurenzi dovrebbe domandarsi perché a Roma la prima opera che si fece nel 1870 furono gli argini del Tevere; o come mai nel 1868, tanto per fare un esempio, lo straripamento del torrente Parma causò morti e devastazione e vide l'intervento della Famiglia religiosa delle Piccole Figlie per aiutare i tanti poveri e disastrati; o anche come mai nel 1822 proprio a Genova si ebbe quella che finora è la maggiore precipitazione misurata in Italia in 24 ore. La Gazzetta di Genova del 30 ottobre 1822 non descrisse un fenomeno lento:
«Nella maggior parte delle botteghe di detto borgo Pila l'acqua si innalzò a dieci palmi e nella parte più bassa dirimpetto alla via che conduce al cantiere fino a undici palmi. Né questa é ancora l'altezza maggiore; perché nella strada dritta verso Albaro presso la casa di Steria, ov'è di confluente di molti rigagnoli e fossi, si alzò fino a dodici palmi e mezzo. I danni prodotti da questo funesto accidente sono immensi. Il borgo della Pila è tutto formato da fondachi, botteghe e magazzini, ove sono ricchi depositi di olio, di vino, di farine, di panni, ed ogni altro genere. L'irruenza delle acque fu così rapida che ebbe appena il tempo di trasportare qualche cosa nei piani superiori e di mettere in salvo le persone. Insomma a dieci ore di mattina non vi era alcuna apparenza di pericolo e a un'ora tutto il male era fatto. Molte di dette botteghe avranno un danno di due o tre mila lire; una fabbrica di cordami avrà una perdita di otto o nove mila lire, ecc. La perdita di bestiame è stata poco considerabile: la più forte è di settanta circa in una stalla di Sant'Agata. Che se da questo borgo si passi ai proprietari degli orti i danni sono forse anche più gravi per l'estensione delle muraglie abbattute e per la grande quantità di sabbia e di rottami trascinati sul terreno coltivato. I danni maggiori però diconsi quelli accaduti nel fossato di Sturla, ove alcune ville sono state affatto devastate. I guasti sono tali che per alcuni proprietari ascenderanno, dicesi, a lire ventimila».
Ma andiamo avanti con Laurenzi: "Lei pensi che Genova ha una media di 100 millimetri di pioggia al mese, ma che oggi ha raggiunto la punta di 90 mm in un'ora. Con gli ultimi fatti di Roma e di Genova stiamo superando i quantitativi di pioggia degli uragani, che portano in media 40/50 mm di pioggia l'ora".
Ancora una volta il meteorologo RAI ci trascina in quel fenomeno detto "dittatura della media" in cui apparentemente si fa credere che sia possibile descrivere la complessità e dinamicità della realtà semplicisticamente dando il solo valore medio. Cento sarà pure il valore medio mensile, non si sa calcolato su quale periodo, ma tutti sanno che i mesi autunnali sono i più piovosi. Ad esempio, riprendendo le statistiche dell'Istituto idrografico del trentennio 1921-1950, a Genova il valore medio di ottobre è 151 mm, ma va fatto anche osservare che il minimo del 1948 è 3 mm mentre il massimo del 1926 è ben 733 mm. Il valore medio non offre alcuna idea della variabilità del dato.
Inoltre è completamento sbagliato far paragoni con gli uragani, per i quali - basterebbe leggere la scala Saffir-Simpson per la loro classificazione - sono importanti i valori dell'intensità del vento, dell'onda e della pressione, mentre i valori di precipitazione misurati con il pluviometro al passaggio di un uragano sono inattendibili essendo affetti da enormi errori, in quanto i venti spirano a 200 Km/h modificando continuamente la traiettoria delle gocce (effetto Jevons).
Ma non è finita: «La cultura occidentale pensa di poter vivere al di fuori della natura, abbiamo la presunzione di volerla dominare, non proviamo quel rispetto innato, misto a timore di altre culture».
Questa è la solita frottola autodenigratoria di una società sazia che crede di far bella figura ponendo l'attenzione sugli aspetti generalmente ritenuti negativi dagli altri, senza comprendere che sta parlando di se stessa. Non esiste paese al mondo dove non accadono catastrofi naturali, caro Laurenzi. La invitiamo ad illuminarci con i nomi di qualche nazione dove non accadono.
La verità, purtroppo, è che in tutto il mondo le catastrofi naturali colpiscono i più poveri e i più deboli. Anche se qualcuno cerca di farci credere che la causa siano fenomeni climatici globali, i morti invece sono tragicamente sempre localizzati, spesso in gruppo, in scantinati o seminterrati dove vivono i poveri o cercano rifugio i più deboli. Le città nascono sui colli, come i famosi sette di Roma, per poi estendersi, per l'interesse economico/egoismo di pochi, a macchia d'olio coprendo tutto il possibile. Sono le maggiori o minori disponibilità economiche a portare le persone a vivere in aree più o meno rischiose, non la cultura o la presunzione di voler dominare la natura. Avendone la possibilità, tutti sceglierebbero di vivere in altura, un bell'attico vista parco, con un sicuro e comodo parcheggio, di vivere lontano dal pericolo di torrenti.
Avvenire anche stavolta preferisce alla semplice realtà che tutti conoscono e vivono, la favola del tempo "malvagio" che grava sui nostri cieli, dei fenomeni ormai mostruosi. La cultura occidentale, quella che affonda le radici nel pensiero cristiano, fortunatamente non vede con ammirazione chi teme la natura come se fosse una Dea pagana, ma preferisce in ogni scelta porsi il problema del discernimento della giusta misura nel "custodire e coltivare" l'intero Creato.
"Non abbiate paura di andare controcorrente!" invitava il Beato Giovanni Paolo II: purtroppo se la paura vince non rimane che essere solo "cassa di risonanza" delle idee del meteo-farfallino, credendo per questo di essere più tolleranti e buoni.
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