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Studiare storia non è solo un soffermarsi sulle pagine di un manuale. Spesso bisogna avere il coraggio di raccontare un'altra storia, che non è quella ufficiale, ma che deve comunque essere raccontata. Se di manuale si vuole parlare, è d'obbligo dire che ci sono alcune pagine da riscrivere.
Il prof. Viglione, storico, conduce questa ricerca da oltre 25 anni e attualmente insegna Storia Moderna e Storia del Risorgimento presso l'Università Europea di Roma. Il suo ultimo libro (Le due Italie, uscito a marzo per le edizioni Ares) ha diversi meriti, ma uno principale. È un testo che si basa sui fatti, su uno studio meticoloso delle fonti. Un metodo, questo, su cui dovrebbe basarsi ogni storiografia.
Non è assolutamente uno studio di parte, non potrebbe esserlo, proprio per il suo approccio multiprospettico.
IL PROBLEMA STORICO
Partiamo da una frase, forse la più conosciuta del Risorgimento: "Abbiamo fatto l'Italia, ora dobbiamo fare gli italiani". Di solito, viene erroneamente attribuita a Cavour, l'anima critica e intelligente di quegli anni. Fu invece Massimo D'Azeglio a dirla, durante una burrascosa seduta del Parlamento Italiano. L'intenzione era polemica. Già, perché con un blitz fortuito, fatto di audacia e fortuna, in 18 mesi si fece a livello istituzionale ciò che in 14 secoli si era sempre tentato di fare. E allora per quale motivo quello stesso governo decise di mandare (proprio nella seduta in cui polemizzò D'Azeglio) 105mila soldati in Meridione per falcidiare ogni resistenza?
Per contrastare il "brigantaggio", il governo piemontese aumentò la propria presenza militare da 50 mila soldati nel dicembre del 1861 a 105 mila nel 1862, fino a toccare il picco di 120 mila nel 1863. perché fu necessaria una repressione così dura?
Una prima risposta potrebbe essere: i meridionali non volevano essere italiani. Ma questa ne porta un'altra: gli italiani non c'erano, prima del 1861? Un popolo "si fa" o esiste da sempre?
In realtà l'élite culturale e politica che ha unificato l'Italia, lo fece non gradendo o facendo finta di non osservare quella che era il quadro reale dell'Italia di allora.
UN PROCESSO STORICO NON NATURALE
Gli italiani di quegli anni probabilmente non sentivano la necessità dell'Unificazione. Non è un caso se gli ultimi due grandi Stati europei a raggiungere l'unità furono l'Italia (1861) e la Germania (1866). E comunque, nel caso dell'Italia, bisogna sottolineare che solo dal 1870 fu inserito anche il cospicuo territorio dello Stato Pontificio.
Come mai solo questi due stati erano ancora divisi? Le risposte potrebbero essere molte, ma quella di Viglione coglie un aspetto interessante: la storia procede naturalmente, quando gli uomini non si mettono in testa di forzarla. La storia naturale dell'Italia e della Germania era quella di non-essere uniti. Entrambe erano le terre in cui sono sorte e si sono sviluppate le due grandi idee universali della storia: il Papato e l'Impero. Come a dire: erano queste le idee che potevano tenere salda una nazione, laddove dappertutto era necessario ricercare altre motivazioni.
LE DUE GUERRE D'INDIPENDENZA, CON DUE IDEOLOGIE DIVERSE
Nella seconda guerra d'Indipendenza del 1859-'60 si unificò l'Italia. Secondo Viglione, questo fu fatto senza la minima presenza italiana. Si parla di una spedizione "dei Mille", ma furono proprio solo mille.
Invece, nel 1848, nella prima guerra d'Indipendenza, insieme a Carlo Alberto partecipò tutta l'Italia. Si vide l'armonica partecipazione di tutti gli stati contro uno "straniero"; non fu come nel '60 una conquista interna. E se non ci fu proprio un esteso consenso popolare, almeno presero parte, collettivamente, tutti gli eserciti. Ferdinando II e Pio IX si ritirarono in un secondo momento perché capirono che il re piemontese non era intenzionato ad unificare la penisola, ma solo di prendere possesso del Lombardo-Veneto. Per questo venne abbandonato.
L'Italia della prima guerra d'Indipendenza, qualora si fosse unita in quel momento, avrebbe potuto essere molto diversa. Il progetto, infatti, era quello di una confederazione di stati, e non un livellamento, o una conquista da parte di uno stato (quello sabaudo) su tutti gli altri.
"Mille persone," precisa Viglione "non possono conquistare un Regno. Bastava una cannonata per fermare lo sbarco. I grandi generali borbonici tradirono". Avvenne invece esattamente il contrario. Non solo non arrivò mai la cannonata, ma alcune fortezze, pur ben munite e approvvigionate, si arresero persino senza combattere.
UN'UNIFICAZIONE CONTROVERSA
Il compito dello storico è simile a quello del medico: deve curare delle ferite, non ignorarle. Solo comprendendo pienamente le patologie del passato, si possono risolvere le difficoltà contemporanee. Quello che il libro Le due Italie sottolinea a più riprese è una lotta deliberata e strenua contro lo Stato Pontificio. Cavour fece imprigionare, con le motivazioni più varie, 8 cardinali, 66 vescovi e centinaia di sacerdoti. Mons. De Filippis fu recluso per circa 6 anni, con la semplice (e bizzarra) accusa di essere un "prete non cantante". E per tutto il periodo dell'incarcerazione nessuno lo venne mai a trovare, se non Don Bosco.
Anche per questo motivo, Viglione distingue nettamente fra Unificazione e Unità, dove la prima è soltanto un processo amministrativo e militare e la seconda qualcosa che non è mai avvenuto. Per riprende la frase di D'Azeglio, se l'Unificazione è stata realizzata nel 1861, l'Unità probabilmente deve ancora realizzarsi adesso.
"Il problema non è tanto sentirsi o non sentirsi italiani, ma essere tutti quanti italiani. Siamo l'unico popolo che negli ultimi due secoli ha avuto tre guerre civili". La prima è quella del 1799 fra filo-napoleonici e antifrancesi, la seconda quella "meridionale" seguita all'Unità e che causò oltre 50.000 morti. L'ultima seguì l'8 settembre 1943, con "sole" 6.000 vittime.Questo qualcosa vorrà pur dire.
L'Italia non è nata 150 anni fa, ma 27 secoli fa e ha ospitato la Chiesa per quasi 2000 anni. Se si fosse realizzata l'Unificazione con più lentezza, probabilmente il processo sarebbe stato meno doloroso e più coerente. E si sarebbe evitato di giungere a quella che Viglione chiama una "Unità in affitto", una situazione tipica dell'Italia, costantemente bisognosa di aiuti e approvazioni da parte di potenze estere. Un "affitto" nel quale la Sovranità Nazionale è stata, fino ai governi attuali, sempre in discussione.
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