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E' segreta come la formula della Cherry Coke. Come la ricetta della Eight Hour di Elizabeth Arden. Non renderò nota per nessun motivo al mondo la mia lista dei buoni propositi per l'anno 2012 – che credo prenda il nome dal tacco 12 al quale è intitolato, per ricordare a tutte le donne dell'assoluta necessità di indossare scarpe che ne siano dotate, almeno quattro ore e un quarto ogni settimana – perché già so che riuscirò a realizzarne circa la quindicesima parte, ma solo a patto che elimini quel fastidioso problemuccio di dover ogni tanto appoggiare la testa su una qualsivoglia superficie, e chiudere gli occhi per due ore.
Sono in effetti piuttosto esigente con me stessa, e anche così poco umile – cioè realistica, come insegna santa Teresa d'Avila – da presumere di avere capacità e forze che non ho.
In questo momento scrivo dalla cameretta di quando ero ragazza, guardando i campi gelati che hanno fatto da spettatori, credo divertiti, a decine di liste come questa. Sono una veterana dei manifesti di inizio anno, e dovrei sapere che fine fanno ogni volta. [...]
Intanto, in molti anni di inutili buoni propositi, ho imparato un piccolo principio pratico della vita spirituale: è molto utile non aspettare che l'anno finisca, ma fare una revisione periodica, per esempio mensile, del proprio piano di vita.
Ma la cosa più importante che ho capito in anni di inutili liste di buoni propositi, è che senza lo Spirito Santo "nulla è nell'uomo, nulla senza colpa". Questo solo ci permette di non rimanere schiacciati guardando la sproporzione tra quello che vorremmo fare e quello che facciamo, tra come vorremmo essere e come siamo. Nella vita spirituale la comprensione, vera, sincera, leale, non affettata, della propria povertà è segno che si sta andando dalla parte giusta. Perché alla fine il perfezionismo, l'idea di poter aspirare a qualcosa che si avvicini anche di striscio alla perfezione altro non è che l'idea che l'uomo valga qualcosa da se stesso, e quindi possa fare a meno di Dio: l'idea madre di tutte le aberrazioni, il peccato, le eresie.
Al numero uno, dunque, quest'anno, forse sarebbe bene mettere la decisione di accogliere la realtà, la realtà che viene incontro e provoca con le sue richieste. A volte insopportabilmente esigenti, a volte solo faticose, a volte belle e basta.
A chi gli chiede come essere perfetto Gesù dice di amare il prossimo, e il prossimo è il samaritano che incontra il ferito, lo raccoglie e lo affida a un locandiere, pagandolo perché si occupi di lui. Non stravolge la sua vita, ma fa quello che può, con generosità e buon senso, deviando dal suo percorso ma mantenendo la sua rotta. Accogliere le occasioni di fare il bene, con senso di realtà e misura, sempre tenendo presenti e primi i propri doveri di stato: una madre non può aprire la sua casa ai barboni, un padre non può trascorrere tutte le sue sere tra ritiri, incontri ed eventi religiosi che gratificano, risultando una sorta di lussuria spirituale (più diffusa di quanto si pensi). E' più faticoso stare a casa, amare più "banalmente" i propri familiari, i parenti, i colleghi, quelli magari di cui in questi giorni di incontri per le feste ci siamo anche un po' lamentati. Anche nel banale pranzo coi parenti si può amare come Dio ci chiede di fare, soccorrere una povertà che nessuno vede, avvicinare una solitudine che nessuno sfiora. Io personalmente non ho mai messo questa forma banale e quotidiana, quasi "obbligata" di amore tra i buoni propositi di inizio anno.
C'è una piega di eterno possibile in ogni azione, perché non è quello che facciamo, ma lo Spirito Santo a rendere feconde e "senza colpa" le nostre opere. Quelle che compiamo sapendo che senza Gesù non possiamo fare nulla.
Domani è la festa del santo nome di Gesù, il nome che vuol dire Dio salva. Il nome al quale "ogni ginocchio si pieghi, nei cieli, sulla terra e sotto terra", e che ci rende figli di Dio; il nome di colui che ride ai nostri progetti e che raccoglie le nostre briciole per trasformarle in pane per il mondo.
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