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A casa nostra, per carità, di sacro c’è solo Dio.
Molto distanziati, diversi gradini sotto ma sempre in posizione ampiamente sopraelevata sulle cose ordinarie ci sono diversi pilastri della nostra esistenza. Uno è l’aesseRoma, come dicono i tifosi patologici di cui ho almeno due esemplari tra le mura domestiche. Un altro è la mensola delle creme cosmetiche. Uno è senz’altro la Lego.
L’intoccabile casa danese è proprietaria di un’ala della nostra abitazione, la pervade sotto ogni forma possibile. Abbiamo basi, castelli, pedane e poi cassettoni pieni di mattoncini base e cassettini pieni di minuscoli accessori, teste, mani, cappelli, armi, utensili di ogni tipo, la cui preziosità cresce in proporzione alla piccolezza e all’attitudine ad annidarsi negli angoli più impervi e polverosi del pavimento, causando crisi di sconforto, aperture frenetiche del sacco dell’aspirapolvere, spostamenti di librerie monumentali.
E’ per questo che nei giorni scorsi leggendo l’attacco in massa fatto alla Lego dalle femministe inglesi, mi è scattato una sorta di orgoglio familiare. Cioè, come con i fratelli che solo tu li puoi picchiare, io dei mattoncini che mi feriscono i piedi scalzi e mi costringono a ricerche minuziose posso anche dire male, ma le femministe no, mi dispiace.
Invece le signore hanno raccolto ben cinquantamila firme per protestare contro la nuova linea, che si chiama Lego friends. Le preziose bamboline femminili in Italia non si trovano ancora nei negozi, ma dopo solerte segnalazione di un amico noi, cioè voglio dire Gesù bambino si era affrettato a ordinare online un primo esemplare da recapitare sotto l’albero. Stephanie e Emma sono così venute ad arricchire il nostro parco omini, anzi finalmente anche donnine, e hanno allietato il Natale delle mie bambine.
Le femministe però si sono arrabbiate perché le bamboline sarebbero formose (hanno un accenno di seno appena abbozzato), e soprattutto perché hanno accessori femminili, e sono poche le parti da montare.
Allora: le nostre eroine del Natale hanno rispettivamente una piccola piscina con lettino e cocktail, beata lei, e una cucinetta da giardino. Le parti da montare, è vero, non sono molte, ma comunque di quelle si è incaricato il fratello maschio che si diverte ad assemblare, mentre noi tre femmine, pur non essendo disabili all’impresa, preferiamo dedicarci alla vita sociale. Così Stephanie e Emma si sono subito abbandonate a una conversazione piena di "o cara" e "signora mia", intanto che l’uomo di fatica (il fratellino) montava.
Noi non ci abbiamo trovato niente da ridire. Le mie figlie come hanno visto le Lego friends se ne sono innamorate, e contano i giorni che mancano al loro compleanno (purtroppo in agosto) per avere qualche altra scatola della preziosa serie.
Ora, o io e mio marito abbiamo diabolicamente plagiato la mia prole, cercando silenziosamente di coltivare in loro discriminazioni di genere, oppure semplicemente ai maschi piacciono giochi da maschi, alle femmine giochi da femmine.
Noi amiamo i mattoncini perché a parte i pupazzetti, per il resto permettono di costruire praticamente qualsiasi cosa, basta un po’ di fantasia. Io per esempio ho un figlio della cui permanenza in vita mi devo ogni tanto sincerare. A volte, e sin da quando è molto piccolo, sprofonda con i suoi mattoncini nel mondo della fantasia, e io gli urlo da due stanze di là "Bernardoooo, sei vivooo?". "Sì, sto giocando", fa lui, pure un po’ scocciato per il disturbo, mentre vive chissà quali meravigliose avventure nel mondo della sua multiforme fantasia (ha preso da suo padre). Con i Lego, per dire, c’è stato anche chi ha illustrato il Nuovo e l’Antico Testamento, in scenette incredibilmente minuziose e fedeli che possono servire come ripasso anche per i bambini molto piccoli.
Non vedo dunque niente di strano se finalmente sono a nostra disposizione anche piatti, cucinette, cagnolini, cocktail, studi da stilista. Non ci vedo niente di offensivo nei confronti delle donne, non stiamo mica parlando di bamboline accessoriate per il bondage, o siliconate. Anzi, se proprio uno non avesse avuto niente da fare nella vita, ci sarebbe stato da protestare prima, quando gli accessori in vendita erano quasi esclusivamente maschili.
Il problema è che ormai tutto quello che rimanda in qualche modo allo specifico maschile e femminile scatena reazioni scomposte e a volte persino isteriche. Sembra un nervo scoperto, ipersensibile, che in nome della correttezza non si può neanche sfiorare. Non si può dire che uomini e donne sono diversi. Anzi, bisogna dire che sono uguali. E’ obbligatorio. In nome della libertà si diventa tirannici. Non so come altro definire l’atteggiamento di chi si arrabbia perché esiste un gioco che si attaglia a un sesso più che a un altro. Se sei una madre convinta delle tue idee basta che non compri le bamboline a tua figlia (poverina). Ma fare campagne di protesta, a cui è stato dato ampio rilievo anche sui nostri giornali, ovviamente Repubblica in testa, è qualcosa che con la libertà non c’entra davvero niente. E’ vero, lo specifico femminile va oltre i piatti e la cucina e il gusto per i vestiti, ma che volevamo, una pupazzetta di santa Teresa d’Avila? Una Virginia Woolf?
La questione ancora più fondamentale è: perché tanto livore nel negare lo specifico maschile e femminile?
Maschio e femmina li creò, dice la Genesi, a immagine e somiglianza di Dio. Io credo che nella differenza sia celato un grande mistero che dice qualcosa di molto profondo sulla natura dell’uomo. Di profondo e sostanziale. Dice che l’uomo e la donna non possono stare soli, perché c’è un’incompletezza che sarà per sempre la loro qualità distintiva. Dice che l’uomo e la donna esistono in relazione. Dice che questa relazione profonda e vera con una persona dell’altro sesso può anche non esserci, ma allora deve essere Dio che diventa lo sposo o la sposa di quella creatura, che da sola non è piena. Non è bene che l’uomo sia solo.
Chi nega la differenza nega che l’uomo è creatura, e quindi figlia di un Padre. Chi nega la differenza nega quindi Dio. E allora la posta in gioco è ben più alta del pupazzetto della Lego. E val bene la raccolta di firme e la campagna sui giornali, che del negare la fragilità, l’incompiutezza, la povertà e il bisogno dell’uomo hanno fatto evidentemente la loro ragione di esistere.
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