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Vent'anni fa, l'idea di poter girare l'Europa senza continuare a rivolgersi all'ufficio cambi sembrava meravigliosa; quindici anni fa, dopo l'attacco contro la lira organizzato dallo speculatore George Soros, l'idea di un un'unica valuta europea sembrava mettere al riparo da futuri attacchi della finanza internazionale. Nove anni fa, dopo dodici mesi di euro che di fatto si era imposto con il cambio a mille lire e non a 1930,27, con un conseguente aumento dei principali beni di consumo di quasi il 100%, molti entusiasmi iniziarono a smorzarsi. Ai nostri giorni il gradimento della moneta unica, vista dai più come fonte di sacrifici non ripagati, è al minimo storico.
Roberto de Mattei non ha dovuto aspettare tutto questo tempo per rendersi conto dei problemi che la nuova moneta avrebbe comportato: euroscettico della prima ora, già nel 1992 inviò ai parlamentari europei una lunga lettera aperta in cui sottolineava vari punti negativi del Trattato di Maastricht (1991). Ora tale lettera, di drammatica attualità, è riproposta dall'editore Solfanelli assieme ad altri scritti di Roberto de Mattei sullo stesso argomento (L'euro contro l'Europa. Vent'anni dopo il Trattato di Maastricht (1992-2012), Solfanelli, Chieti 2012, p. 72, € 8).
La principale domanda che lo studioso si pone è: di quale Europa parliamo? Naturalmente – purtroppo – siamo lontani da quell'Europa sinonimo di Cristianità: l'Europa dei burocrati, anzi, è fondata su radici nichiliste (come ben sappiamo, la semplice menzione delle radici cristiane del nostro continente è stata addirittura rifiutata nella Costituzione europea del 2003 proprio per l'opposizione di due Paesi che al cristianesimo – ed al cattolicesimo in particolare – debbono la propria nascita ed il proprio sviluppo: la Francia ed il Belgio), su una concezione puramente mercantilistica dell'uomo.
Paradossalmente, questo tipo di unione rischia di portare, anziché all'unificazione, ad un «processo di disgregazione degli Stati nazionali: e poiché l'Europa non può prescindere dagli Stati nazionali, che ne costituiscono l'ossatura, la liquidazione di questi Stati equivale alla distruzione dell'Europa condotta in nome dell'Europa stessa!» (p. 13)
Parimenti, l'esproprio della sovranità monetaria postula il successivo esproprio della sovranità politica e giuridica (pensiamo solo al famigerato mandato di cattura internazionale, in base al quale si può essere arrestati ed estradati per un atto commesso nel proprio Paese, dove non costituisce reato, ma che è considerato perseguibile dalla legislazione di un altro Paese aderente). Il fine sarebbe quello di realizzare un «megastato europeo» al cui interno si esistono tanti «microstati regionali», come ha teorizzato da anni la sinistra postmoderna.
Il progetto prevede anche di facilitare la concessione della nazionalità agli extracomunitari, in particolar modo a quelli di religione musulmana, con la conseguente trasformazione dell'Europa in "Eurabia", come l'ha definita la saggista Bat Ye'or.
Ma il volume proposto da Solfanelli non raccoglie solo interventi del passato – quasi a formare un nostalgico «ve l'avevo detto!» – bensì si spinge fino ai nostri giorni, sottolineando come proprio nell'anno che ha visto le celebrazioni del 150° anniversario dell'Unità italiana, il suo principale incensatore, Giorgio Napolitano, abbia contribuito, con la nomina di Mario Monti, perfetta espressione dei "poteri forti", all'abbattimento della sovranità politica italiana: «gli stessi "poteri forti" che, per liquidare i sovrani legittimi diedero nell'Ottocento il loro sostegno ideologico e finanziario all'unificazione, oggi vedono nello smantellamento dello Stato nazionale una nuova tappa per realizzare l'utopia della mazziniana Repubblica universale» (p. 51).
Insomma, non c'è via d'uscita dal tunnel che ci porta verso la dissoluzione dell'Europa? La via esiste, se si ci rende conto che è possibile rinunciare a certi dati che la stragrande maggioranza di noi ritiene (a torto) irreversibili: dal Trattato di Maastricht alla stessa moneta unica.
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