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Si sovrappongono all'inizio di quest'anno due anniversari: il ventesimo del Trattato di Maastricht, che fu stipulato nella cittadina olandese l'11 dicembre 1991, ma fu ufficialmente ratificato dai Capi di Stato e di Governo della Comunità europea il 7 febbraio 1992; e il decimo anniversario dell'euro, entrato in vigore il 1 gennaio 1999, ma circolante in monete e biglietti dal 1 gennaio 2002.
L'euro è un elemento portante del Trattato di Maastricht, presentato all'opinione pubblica come un accordo di natura economica, che avrebbe visto, in fasi successive la caduta delle barriere doganali, l'istituzione di una Banca Centrale Europea e poi quella di una moneta unica. Tutto questo per ridurre il debito e risanare l'economia europea.
Il vero obiettivo della complessa operazione in realtà non era economico, ma politico. Il progetto prevedeva la liquidazione degli Stati nazionali, sostituiti da nuovi organismi sovranazionali controllati da poteri oligarchici di carattere non solo finanziario, ma soprattutto ideologico, con la "missione" di imporre in Europa la nuova filosofia relativista e i nuovi diritti "postmoderni".
A vent'anni di distanza, il progetto è fallito sul piano economico, ma rischia di riuscire sul piano politico. I fatti sono eloquenti. Sul piano economico l'euro è fallito perché globalmente il debito pubblico della zona euro è aumentato del 26,7% negli ultimi cinque anni. Non si può imporre una moneta unica a Paesi che hanno strutture economiche e produttive diverse, con differenti tassi di crescita e di sviluppo.
Il rischio che ciò che è fallito sul piano economico si realizzi però sul piano politico è dimostrato dai casi recenti dell'Italia e dell'Ungheria, dove due Capi di governo dalle molte analogie, Silvio Berlusconi e Viktor Orban, si sono trovati sotto il medesimo fuoco concentrico. Eletti entrambi con un largo appoggio popolare i due uomini politici hanno cercato di realizzare programmi economici sgraditi agli eurocrati.
Il leader italiano ha subito una serie di attacchi giuridici, mediatici e politici che ne hanno progressivamente eroso il potere. Berlusconi si è debolmente difeso, anche a causa dei suoi interessi aziendali, e la BCE, tra l'estate e l'autunno del 2011, gli ha dato il colpo di grazia, negandogli l'aiuto economico necessario a sopravvivere. Il presidente Napolitano ha chiamato a sostituirlo il prof. Mario Monti, uomo di fiducia delle oligarchie finanziarie ed eurofanatico della prima ora.
Orban, da parte sua, è stato più coraggioso di Berlusconi, perché ha osato affrontare di petto la nomenklatura europea, rivendicando alcuni temi, dalle radici cristiane al diritto alla vita, che Berlusconi si era ben guardato dall'affrontare. L'ira nei suoi confronti è stata maggiore e l'offensiva sarà nei prossimi mesi più violenta.
Gravi tempeste economiche e sociali attendono però i Paesi aderenti all'Unione Europea che, dopo essersi privati dello strumento della politica monetaria, hanno compiuto, nel vertice del 2 marzo, a Bruxelles, un'ulteriore rinuncia alla loro sovranità. Essi infatti, come sottolinea il Andrea Bonanni su "Repubblica" del 3 marzo, «non avranno più veramente voce in capitolo sui saldi di bilancio».
Il compito di sorvegliare il loro debito pubblico è stato affidato alla Corte di Giustizia Europea, le cui sentenze, che prevedono dure sanzioni finanziarie, prevalgono su quelle delle magistrature nazionali. L'unica via di uscita percorribile sarebbe quella di eliminare le cause che hanno prodotto i mali. E le massime responsabilità di questi risalgono proprio a quel Trattato di Maastricht e a quella moneta unica che Mario Monti è stato chiamato a salvaguardare in Italia.
Il caso italiano costituisce un laboratorio in cui i poteri forti sperimentano il futuro dell'Europa. Ma la bancarotta della Grecia è solo una pallida prefigurazione di ciò che ci attende se non si cambierà radicalmente la sciagurata strada fin qui percorsa.
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