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Nichi Vendola è davvero impagabile. Da abilissimo comunicatore, l'ha annunciato egli stesso il suo rinvio a giudizio per concorso in abuso di ufficio continuato. E' accusato da tre pubblici ministeri requirenti di aver favorito la nomina di un primario.
I giornali riportano la frase messa a verbale dall'ex Direttore generale della ASL di Bari, che il Governatore le avrebbe rivolto tra settembre 2008 e aprile 2009 - "Non ti preoccupare di questa cosa! Ti copro io!", in ragione della preoccupazione di aderire alla richiesta del Presidente della Regione Puglia di riaprire i termini di presentazione delle domande per l'incarico di Direttore medico della Struttura complessa di Chirurgia toracica dell'Ospedale San Paolo di Bari. Vendola premeva - secondo l'accusa - perché venissero riaperti i termini del concorso in modo che potesse parteciparvi un medico che egli intendeva favorire. Di fama europea, egli afferma. E che poi effettivamente vinse.
Come si difende Vendola? Sostiene che l'unico elemento d'accusa proviene dalle dichiarazioni contenute in un memoriale dell'ex Direttore generale, non suffragate da nessuna altra prova, nessuna altra documentazione. Alla domanda se intende dimettersi, Vendola risponde: "Mi dichiaro assolutamente sereno, come sempre in passato. Perché ogni mia azione è stata sempre improntata a garantire la trasparenza".
Sarà così anche, immaginiamo, per il secondo avviso di garanzia che il Governatore ha ricevuto nello spazio di poche ore. E' accusato di peculato, abuso d'ufficio e falso in relazione ad una vicenda che riguarda una transazione da 45 milioni di euro tra la Regione Puglia e l'ente ecclesiastico Miulli, che gestisce un ospedale ad Acquaviva delle Fonti. Nel marzo del 2010, qualche settimana prima delle elezioni di rinnovo del Consiglio Regionale, la Regione effettuò una transazione con l'ospedale ecclesiastico. Il Miulli aveva chiesto circa 42,6 milioni di euro per crediti che avrebbero vantato dal 2002 al 30 giugno del 2007. La clinica sosteneva di essersi indebitata per realizzare la nuova sede con fondi propri (76 milioni fino a fine 2008) perché i costi per mandare avanti l'ospedale sarebbero stati maggiori rispetto ai rimborsi della Regione. Il problema riguarda la delibera, poi annullata in autotutela dalla stessa giunta Vendola e che oggi, dopo un contenzioso col Miulli finito davanti al Consiglio di Stato, sta costringendo la Regione a restituire all'Ente di Acquaviva differenze tariffarie per 150 milioni di euro.
Saranno i procedimenti aperti a stabilire come siano andate effettivamente le cose. Qui interessa fare qualche riflessione di carattere politico.
Il "capolavoro" di questi anni del Presidente della Regione Puglia, non è quello di aver cumulato un debito colossale sulla sanità - quasi il 90% del bilancio regionale, come del resto avviene in molte altre regioni - o quello di aver utilizzato in minima parte i fondi messi a disposizione dall'Unione europea, sottraendo quindi risorse essenziali per lo sviluppo della regione. Men che meno è quello di illudere i giovani con posti di precariato o di spendere milioni di euro per l'effimero o di aver concorso a determinare, con la sua politica, il dramma di una famiglia pugliese su cinque che vive in condizioni di povertà. Il vero, grande, sottaciuto capolavoro del Governatore uscente, è quello di aver costruito un'immagine pura della sua azione politica. La sua abilità in questo è stata straordinaria.
Nel giugno di tre anni or sono, dalla sera mattina, decise che i suoi assessori dovevano tutti dimettersi, spazzando via il vero dibattito, quello sulla sanità - e delle tante inchieste pugliesi su questo settore - per sostituirlo con un "colpo di teatro". Un atto definito libero, responsabile, ineccepibile. "Nonostante gli sforzi giganteschi compiuti dalla giunta regionale di centrosinistra - dichiarò il Governatore - il sistema sanitario si conferma permeabile agli interessi delle lobby, delle corporazioni e anche a spinte corruttive". Vendola si accorse del "casino" - come lo definì - dopo oltre quattro anni. Non pensò neanche allora di dover rassegnare le dimissioni, essendo lui stesso il maggiore responsabile politico, perché avrebbe dovuto vigilare nel corso del suo mandato.
Zittì tutti in quel momento e si erse a moralizzatore, non avendo neanche bisogno di spiegare agli assessori da lui nominati e poi fatti fuori, le ragioni dell'epurazione.
Qualche settimana dopo, avvenne un secondo, magnifico "colpo di teatro": alla maniera di George Simenon, Vendola scrisse una "lettera al suo giudice", titolare di una delle inchieste sulla sanità pugliese, con la quale - invece di rispettare, in quanto politico in servizio permanente effettivo, la divisione dei poteri - egli, che può tutto, si prese la libertà di fare insinuazioni contro il giudice che stava indagando. La purezza del Governatore, che al pari di Robespierre, non fa "prigionieri", dilagò nell'opinione pubblica, che lo confermò nel suo mandato l'anno successivo.
Il resto, è storia di questi giorni, raccontata in maniera blanda dall'informazione televisiva e stampata, che invece si accanisce rispetto ad altri casi, come ad esempio quello della Lega. Vendola è indagato. Due volte. E non pensa alle dimissioni. Anche i suoi avversari, peraltro, le chiedono in maniera tiepida e timida o non le chiedono proprio. "Sono cattolico, comunista e omosessuale", disse il Governatore nel 2009. Un bel pout porri, per uno che, come ama dire, "non segue gli schemi". Il guaio è che sono schemi che affascinano, ammaliano e seducono un po' tutti.
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