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Vi do una notizia che farà tremare le vene al grande capo indiano Estiqatsi. Ho finito di scrivere il libro. Quello che doveva essere per gli uomini ma forse non lo è più tanto. Soprattutto quello che segnerà il mio definitivo declino, la scomparsa dalla scena pseudoletteraria, l'ostracismo da tutti i luoghi che contano qualcosa, l'esclusione dalla società. Quello che indurrà tante persone a dire: "però, poverina, aveva cominciato abbastanza bene... pazienza!"
Credo di essere stata colta da un attacco di insicurezza acuta, ma d'altra parte soffro da sempre del ben noto morbo di Cokkinson (Coky era il mio soprannome da piccola) che mi fa immancabilmente avere il desiderio di sprofondare nel nulla ogni volta che consegno un compito, un servizio, un lavoro (anche con il primo libro è stato così).
Alla produzione di un simile disastro ho dedicato tutte le – pochissime – energie lasciate da figli e lavoro, e ho saltato un numero incredibile di ore di sonno. Per mesi sono andata a dormire alle prime luci dell'alba, e mi sono trovata la mattina alle conferenze stampa ad alzare la mano e chiedere "chi va a prendere le mie bambine all'asilo?", perché ho trovato davvero impegnativo rispondere alle sfide del quotidiano, tipo radunare i figli a casa e dare loro, saltuariamente, qualcosa di commestibile. Ammetto che anche la qualità della mia preghiera ne ha leggermente risentito, ma ho brevettato un nuovo tipo di rosario, quello detto camminando velocemente di notte nella sala da pranzo adibita a studio, in casi di sonno estremo procedendo a zoppa gallina per evitare di chiudere gli occhi.
A questo punto mi trovo con delle energie in eccesso (ieri ho messo a soqquadro la stanza delle bambine per riordinarla) e ho già invitato una cinquantina di persone a pranzo per domenica (comunione di un figlio), mentre srotolavo il lungo papiro della to-do-list che si era accumulata negli ultimi mesi, dalla a di amica Marina alla z di zanzare (comprare candele alla citronella), passando per la m di mammografia.
Tutto questo, lo so, attende un commento del grande capo indiano di cui sopra, ma ve ne metto a parte perché proprio ieri, srotolando il papiro riflettevo su quanto sia importante, e per me difficile e doloroso, scegliere bene a cosa dedicare le nostre energie. Paradossalmente quando abbiamo meno da fare è ancora più difficile.
Con i bambini piccoli, per esempio, o con una scadenza da rispettare è quasi più facile, basta dire di no a tutto quello che non è necessario. Quando avanza qualche ora intanto si diventa un po' più egoisti, ci si attacca come cozze a difendere quel piccolo fazzoletto di tempo per sé. Inoltre a me capita di distrarmi terribilmente, di perdere tempo in cose inutili quando non dannose. Mi sembra di riflettere troppo poco su questo. Dovremo rendere conto di come avremo speso il nostro tempo, soprattutto noi laici che abbiamo maggiore libertà nel mondo, e che dobbiamo dare tempo a Dio, nello stesso momento in cui lo diamo alla nostra vocazione specifica, e anche a noi stessi (ogni tanto è necessario), imparando a impastare di Dio il quotidiano, anche quello apparentemente più estraneo.
Credo che il nemico esulti moltissimo quando ci distraiamo, eppure distrarsi è l'imperativo del mondo. L'industria occidentale più fiorente è appunto quella dell'entertainment, come se avessimo bisogno di essere intrattenuti, mentre invece dovremmo vivere. Credo anche che il nemico lavori spesso più sulla distrazione che sulla tentazione, sapendo che è difficile mantenere il cuore in Dio quando si è trascinati da mille stimoli. Io personalmente trovo difficilissimo gestire il flusso continuo di informazioni alle quali abbiamo accesso, per esempio anche da qui, dalla rete, anche quando sono cose buone, stimoli positivi. Se non sbaglio anche san Filippo Neri, per dire, invitava ad essere cauti nello scegliere per noi delle devozioni, per non finire poi per abbandonarle (io a volte faccio anche shopping di devozioni).
E ora scusatemi, vado a tagliare i tre quarti del mio papiro.
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