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RU486 NELLE REGIONI
Lo sterile dibattito sulle dichiarazioni dei neo eletti presidenti di Piemonte e Veneto
da Corrispondenza Romana
 

Il recente polverone scatenato dalle dichiarazioni dei neo eletti presidenti Cota e Zaia, rispettivamente alle regioni Piemonte e Veneto, sulla somministrazione della pillola Ru486 nelle strutture sanitarie pubbliche, getta luce sulla vera posta in gioco nel dibattito politico sull’aborto volontario.
I governatori leghisti hanno promesso battaglia nei confronti della pillola abortiva, la cui commercializzazione è stata recentemente autorizzata dall’Aifa, facendo chiaramente intendere che utilizzeranno tutti gli strumenti legislativi a loro disposizione per impedirne l’arrivo negli ospedali delle loro regioni e dunque la somministrazione. Curiosamente, le reazioni del mondo pro-life alla coraggiosa iniziativa sono state fredde se non ambigue, quando addirittura ostili. Interpellata al riguardo, il sottosegretario alla salute ed esponente di spicco dei pro-life italiani Eugenia Roccella, non ha pensato di meglio che rimproverare gli esponenti della lega di tirare in ballo l’autonomia regionale solo quando fa loro comodo, ed auspicare che si giunga ad un protocollo di utilizzo della Ru486 condiviso da tutte le regioni.
Pier Ferdinando Casini, leader dell’Udc, pur dichiarandosi schierato sempre dalla parte della vita, condanna le esternazioni dei governatori leghisti, colpevoli di agire in contrasto con una legge dello stato che, secondo il suo giudizio, gli uomini delle istituzioni devono applicare (“Avvenire”, 3 aprile 2010).
L’iniziativa anti Ru486 dei neo presidenti, sebbene non sia rivolta a contrastare l’aborto legale ma a tutelare la salute della donna, mette in discussione, sfiorandolo appena, il vero fondamento dell’ideologia abortista, ossia il principio di autodeterminazone della donna.
Solo l’idea che la “libera” scelta di decidere se terminare o proseguire una gravidanza possa subire delle limitazioni (in questo caso la possibilità di optare per l’aborto chimico anziché per quello chirurgico), costituisce un autentico attentato al dogma dell’autodeterminazione che scatena immediate reazioni, sia da parte del mondo femminista, laicista ed anticattolico, che da quello istituzionalmente più vicino alle posizioni in difesa della vita; mentre le prime assumono i contorni di una protesta rabbiosa e scomposta, le seconde risultano più “felpate” e apparentemente meno aggressive.
Pur tuttavia, entrambe contengono il veleno mortifero dell’ideologia che imprigiona il dibattito politico in uno sterile e penosissimo “chiacchiericcio”, avente come scopo il ripristino del minacciato equilibrio. Cosicché, mentre ogni giorno negli ospedali italiani si consuma sotto silenzio l’olocausto di centinaia di esseri umani innocenti sacrificati sull’altare dell’autodeterminazione femminile, gli esponenti politici e di spicco del mondo cattolico e pro-life polemizzano con la parte avversa circa l’opportunità di somministrare la pillola Ru486 in regime di ricovero ordinario oppure in day hospital, avendo come obiettivo il corretto equilibrio tra la salvaguardia della salute psicofisica della donna ed il rispetto della intoccabile legge 194.

 
Fonte: Corrispondenza Romana, 17/4/2010