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Chiudere gli spazi aerei è stata senz’altro cosa saggia viste le possibili conseguenze per la sicurezza, eppure tra noi tutti prevalgono generalmente incredulità e sgomento per un fatto che appare incomprensibile: come mai le nostre tecnologie così sofisticate, le nostre potenti e ramificate infrastrutture si dimostrano così vulnerabili? Del resto, su scala ben più ridotta, è una questione che si ripropone spesso: lo scorso dicembre l’eccessivo freddo provocò il blocco di quattro treni nel tunnel della Manica; in marzo 50 navi restarono bloccate tra i ghiacci del Mar Baltico; e anche in Italia episodi di treni bloccati dal ghiaccio o dall’eccessivo calore non sono rari. Per non parlare dell’incidente accaduto la scorsa settimana al treno in Val Venosta o del ciclico riproporsi di terremoti e alluvioni che in pochi istanti spazzano via vite e strutture. In questi casi è poi diventata usuale la caccia al responsabile e all’incompetente di turno.
In realtà il problema non sta nella tecnologia e neanche, salvo alcuni casi, in chi la maneggia. Il problema sta piuttosto nella nostra concezione di natura che è andata sviluppandosi in coincidenza del grande progresso scientifico e tecnologico del ventesimo secolo. Siamo pervasi di uno strano senso di onnipotenza che ci dà l’illusione di poter governare la natura a nostro piacimento, fino a pensare di poter decidere il clima per decreto legge. Così ad esempio è diffusa l’idea che la natura sia sostanzialmente statica, che abbia un suo equilibrio normale. E solo fattori esterni, ad esempio l’intervento umano, possono provocare cambiamenti di questo equilibrio. L’equilibrio della natura viene così fatto coincidere con le medie e le probabilità, al punto che ogni discostamento dalla media genera allarme.
È un errore di prospettiva che costò caro anche ad Adolf Hitler – un altro che di onnipotenza se ne intendeva –, il quale attaccò la Russia perché i meteorologi del Terzo Reich, in base agli studi statistici del passato, gli avevano garantito che dopo due inverni freddi consecutivi sarebbe stato impossibile averne un terzo. E invece il 1941 fu l’anno più freddo del secolo e quell’inverno si rivelò particolarmente rigido oltre che in anticipo. Così la natura ricordò alla sua maniera che non è la probabilità a guidarla.
Allo stesso modo terremoti e vulcani accadono perché la natura è dinamica, e la crosta terrestre è da sempre in continuo movimento. Un evento come quello di questi giorni può essere allora 'provvidenziale' perché ci ricorda che lo stesso sviluppo tecnologico ha la radice nel riconoscimento della superiore potenza della natura, le cui caratteristiche fondamentali sono l’unicità e la variabilità. Per questo nel corso dei millenni l’uomo, con la sua intelligenza, ha tentato di sviluppare dei sistemi di adattamento alle diverse condizioni climatiche e ambientali, a cominciare dal riparo: dalla grotta si è passati alla palafitta e via via lungo i millenni fino alle attuali abitazioni costruite con sistemi anti-sismici.
Le nostre sofisticate infrastrutture tecnologiche sono utilissime in questa opera di adattamento, ma guai a dimenticare il nostro limite. Chi pensa, o induce a pensare, di poter «normalizzare» la natura e, più in generale, di poter controllare la realtà, prepara solo tragedie: non possiamo imprigionare i fiumi, fermare le coste, costruire sui vulcani e lungo le rive, far crescere città prevedendo solo asfalto e cemento, stabilizzare il clima e il livello dei mari, impedire terremoti ed eruzioni vulcaniche.
Accettare qualche giorno di disagio (e anche perdite economiche che vanno messe nel conto) per gli aerei costretti a terra è il primo passo per ritrovare la giusta prospettiva. Cioè, quella più aderente alla realtà.
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