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La federazione internazionale del badminton, quello che da noi si gioca sulla spiaggia con racchette tipo tennis e un cono detto volano, ha escluso dalle Olimpiadi di Londra quattro coppie del badminton femminile che sono state ritenute colpevoli di aver “combinato” dei risultati. Il biscotto in salsa cinese non va giù agli organizzatori dei Giochi: le otto giocatrici sono state accusate di “aver violato lo spirito olimpico e la morale sportiva”, dopo che hanno aggiustato i loro incontri per qualificarsi a scapito di altre squadre. Nel mirino, in particolare, è finito un match di doppio tra le cinesi Yu Yang e Wang Xiaoli contro le sudcoreane Jung Kyung e Kim Ha Na. Le cinesi, già qualificate, hanno perso contro le meno quotate avversarie in una partita che non ha visto scambi più lunghi di quattro colpi oltre che a battute direttamente a rete o volutamente fuori dal campo di gioco.
In questo modo, Yu e Wang hanno evitato l’incontro nelle eliminatorie con le connazionali Tian Qing e Zhao Yunlei. Il pubblico non ha però gradito e le giocatrici hanno lasciato il campo tra i fischi. Oltre alle cinesi, sotto accusa sono finite anche due squadre di doppio della Corea del Sud ed una dell’Indonesia che oltre all’esclusione dai giochi potrebbero incorrere in ulteriori sanzioni disciplinari. Sullo sfondo, anche se non vi è alcuna dichiarazione ufficiale, c’è l’ombra delle scommesse clandestine. Prima dei Giochi era stato lanciato un allarme per verificare puntate sospette nel sudest asiatico, dove il badminton è particolarmente seguito. Questa bomba è esplosa prima ancora che si smorzasse l’eco delle polemiche per l’oro olimpico di Ye Shiwen, 16enne rivelazione cinese, che ha trionfato nei 400 misti stabilendo il nuovo primato mondiale con il tempo di 4’28″43. Oro olimpico e record, grazie soprattutto all’incredibile 58″68 fatto segnare nella frazione finale in stile libero, nuotando più veloce di quanto abbiano saputo fare gli statunitensi Ryan Lochte e Michael Phelps nella omologa gara maschile, una prestazione non credibile secondo i tecnici della spedizione USA. Riappaiono ancora una volta i fantasmi dello scandalo dei mondiali di nuoto di Roma del 1994, quando la Cina si impose all’attenzione generale come miglior nazione, conquistando 16 titoli mondiali, 12 dei quali nel nuoto femminile.
Nuotatori e nuotatrici cinesi misero a segno una raffica di record attribuiti al miracoloso sangue di tartaruga, ma poi si scoprì che i cinesi facevano uso di una serie di prodotti dopanti. A seguito di queste evidenze, la federazione internazionale di nuoto squalificò i sette atleti atleti trovati dopati. Questo scandalo e l’introduzione di più efficaci sistemi antidoping demolirono la nazionale cinese di nuoto e due anni dopo, alle olimpiadi di Atlanta, i cinesi riuscirono ad ottenere solo una delle numerose medaglie d’oro che si ripromettevano di conquistare prima che si scoprisse la loro malafede farmacologica. La sensazione è che la Cina non riesca a rassegnarsi a cercare di vincere regolarmente in nessuno sport, e che sia alla continua ricerca di sistemi di doping sempre più sofisticati ed in grado di sfuggire a tutti i vari metodi di controllo, per quanto questi siano sempre più attenti e perfezionati.
Tutto cominciò all’inizio degli anni Ottanta quando, per mettere fine alle continue umiliazioni che subiva nell’atletica leggera e nel nuoto, il regime comunista cinese pianificò l’inizio di una nuova era che prevedeva di reclutare una generazione di futuri campioni da allenare in una delle 3.000 strutture create a questo scopo. L’obiettivo era semplice ed imperativo: vincere ; ad ogni costo e con ogni mezzo, ma vincere.
L’ex-capo medico della squadra cinese di ginnastica negli anni ‘80, la dottoressa Xue Yinxian, che ora vive in Australia, ha rivelato al Sidney Morning che la somministrazione di steroidi e Gh agli atleti di vertice cinesi era pratica corrente negli anni Ottanta e Novanta come versante “scientifico” per la costruzione della potenza sportiva della Cina, una pratica che bisognava “accettare” da parte di tutti, pena pesanti ritorsioni.
È la prima volta che un ex responsabile medico rivela che la Cina attuò un vero e proprio “doping di stato” analogo a quello adottato a suo tempo nell’ex Repubblica Democratica Tedesca, dove gli atleti erano dopati come cavalli ed addirittura si arrivava a mettere batterie elettriche nei pattini del bob o delle ragazze del pattinaggio per vincere tutte le medaglie in tutte le gare di tutte le specialità sul ghiaccio. Prima delle ammissioni della dottoressa Xue Yinxian, i casi di doping a carico di atleti cinesi negli anni ‘90 furono bollati dalle autorità sportive del paese asiatico come “complotti di allenatori e atleti truffaldini orditi dagli imperialisti”. Xue indicò anche la data di inizio del programma di doping sistematico, il 1978 quando tutto il personale medico sportivo della Cina fu “avvisato” che “gli ormoni della crescita erano un metodo scientifico di allenamento e chiunque li avesse rigettati sarebbe stato punito”.
Chi è riuscito ad entrare in queste strutture alla base della potenza sportiva cinese in veste di osservatore olimpico, come Sir Matthew Pinsent, ha definito l’esperienza come inquietante. Ginnaste troppo giovani per tollerare gli esercizi che vengono loro richiesti di eseguire. Altri avrebbero anche confessato di aver visto bambine piangere, picchiate dagli allenatori perchè opponevano resistenza per non voler lasciare la casa dei genitori. In molti avrebbero paragonato i posti dove le giovani atlete si allenano a vere e proprie carceri, senza spazio per giochi e distrazioni e la sottomissione a diete da campo di concentramento per quanto riguarda le ginnaste, ad esempio. A gennaio sono state pubblicate delle fotografie strazianti su internet che mostrano bambini cinesi che piangono di dolore durante la preparazione atletica. Questo a riprova che la situazione non sarebbe ancora cambiata. Questi bambini, oltre all’allenamento ed a duri esercizi al limite del disumano, subiscono anche un forte condizionamento psicologico mirato ad inculcare in loro la vittoria, a tutti i costi, sugli occidentali in genere, ma contro gli americani in particolare.
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