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Sta alimentando dissensi e polemiche un recente intervento dell'arcivescovo di Trento, reo di aver rammentato l'immoralità del piacere sessuale al di fuori del matrimonio. Che poi è notoriamente l'argomento preferito per accusare la Chiesa d'essere fuori dal mondo. Tutto si può dire, quindi, tranne che questo genere di polemiche siano sorprendenti.
Sorprende, invece – e parecchio -, l'atteggiamento di coloro che puntualmente liquidano come sessuofobico l'insegnamento della Chiesa senza in realtà conoscerlo.
Non è infatti vero, tanto per sbugiardare un mito duro a morire, che la Chiesa consideri l'astinenza dal piacere sessuale alla leggera, come se fosse un percorso semplice e banale. Al contrario, il Catechismo chiarisce senza equivoci che i fidanzati che vivono «la castità nella continenza» risultano effettivamente messi «alla prova». Il punto è che non si tratta di una prova fine a sé stessa, bensì volta ad accrescere «il reciproco rispetto», ad allenare «alla fedeltà e alla speranza di riceversi l'un l'altro da Dio» (CCC, 2350).
Non per nulla viene caldeggiato il ricorso alla preghiera come sostegno costante e fondamentale anche per la vita di coppia, diversamente in balia di sole forze ed umori umani, spesso troppo umani.
Un secondo equivoco – probabilmente il più diffuso e grave – riguarda il fatto che la Chiesa proibirebbe il sesso prima del matrimonio. Il che non solo è falso, ma è addirittura impossibile.
Infatti, come può intuire anche l'uomo della strada, la sessualità è ben più ampia di quella che si può consumare tra le lenzuola dal momento che descrive l'intera esistenza di ciascuno di noi, soprattutto nella dimensione relazionale. A meno che non si voglia considerare il rapporto sessuale unitivo la sola manifestazione di sessualità: in tal caso si dimostrerebbe non solo di ignorare la morale cristiana, ma persino la sessualità in quanto tale, riducendola alla sola fase orgasmica.
Un po' deprimente, non vi pare?
Il terzo equivoco sulla presunta sessuofobia della Chiesa riguarda le ragioni dell'astinenza dal piacere sessuale in vista del matrimonio. Che non sono solo ragioni confessionali ma anche, per così dire, "laiche".
Anzitutto per la salute stessa del matrimonio: esiste, in proposito, una lunga tradizione di ricerca che mostra come le coppie che scelgono di andare a convivere prima del matrimonio – e che quindi esperimentano prima e con una certa continuità anche la dimensione sessuale – abbiano una probabilità dal 50 al 100% maggiore di divorziare rispetto a quelle che non hanno convissuto prima del matrimonio (Cfr. «Demography» (1992); 29 (3): 357-374), oltre che maggiori rischi di depressione (Cfr. «Health Soc Behav» (2000); 41(3):241-55); e anche quando il matrimonio "regge" viene comunque dichiarato – da quanti prima hanno convissuto, rispetto agli altri – meno appagante (Cfr. «Journal of Family Psychology» (2009) 23 (1): 107-111).
C'è poi una ragione più "affettiva" che depone a favore dell'astinenza pre-matrimoniale: la ragione che – per usare un'espressione molto di moda ma poco compresa – potremmo chiamare del "Vero Amore".
Si vuole qui alludere al fatto che solamente coloro che trovano la forza – e la fede! – per attendere il matrimonio prima di donarsi totalmente uno all'altro possono sinceramente dirsi: «Tu per me sei l'unico/a». Quanti invece scelgono altre strade possono naturalmente promettersi amore eterno allo stesso modo, ma di certo non potranno farlo con la stessa carica che solo l'unicità di un rapporto tanto sospirato può conferire.
Un ultimo aspetto poco ricordato ma decisivo della castità è la sua intrinseca natura trasgressiva. Infatti, l'obiezione secondo cui l'attesa del matrimonio sarebbe da rifiutare perché «non lo fa più nessuno» è da rovesciare: proprio perché «non lo fa più nessuno» è un percorso interessante, nuovo, da esplorare.
Diversamente si consuma il paradosso – assai ricorrente, a dire il vero – secondo cui le coppie da un lato insistono con la ricerca di esperienze "diverse" (viaggi in posti lontanissimi, vacanze esclusive, ecc.), salvo poi, d'altro lato, amarsi all'insegna del più palese conformismo, senza farsi tentare da qualcosa di davvero grande come la castità integralmente vissuta – tanto più oggi – può essere.
E poi diciamoci la verità: cosa c'è di più bello, esaltante ed alto che amare il proprio fidanzato o la propria fidanzata fino a donargli/le il futuro?
Perché la castità, in fondo, è proprio questo: il desiderio di allargare le pareti del fidanzamento, di dilatare l'anima in vista di un obbiettivo stupendo e comune, da desiderare senza tregua.
Ecco che allora quell'attesa impegnativa e così spesso oggetto di irrisione assume i contorni di una gioiosa gradinata verso la felicità coniugale. Che non è affatto – come abbiamo detto – cosa a portata di mano, bensì premio che richiede la pazienza di amarsi giorno dopo giorno, passo dopo passo, fino a che non si è arrivati abbastanza in alto da potersi dire pronti ad una promessa di eternità.
Nella consapevolezza tutta cristiana di non essere soli. E che il meglio deve ancora venire.
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