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In casa vostra ci sono di certo quadri, soprammobili e suppellettili che ormai sono così comuni al vostro sguardo che non li vedete più, non vi accorgete più della loro presenza. Roberto Benigni ha avuto il sicuro merito di metterci sotto il naso per risvegliare la nostra attenzione alcuni vecchi soprammobili – certi di pregio ed altri assai meno – della tradizione culturale italica, talmente presenti nella coscienza collettiva tricolorata che ormai erano stati dichiarati desaparecidos tanto erano scontati. Ci riferiamo alla Divina Commedia di Dante e all'Inno di Mameli. Ha ripulito la prima delle incrostazioni della noia accumulata negli anni di liceo e in merito all'inno nazionale ha tentato – senza troppo successo – di sfrondarlo dalla stantia retorica risorgimentale.
Questa sera si cimenterà con la Costituzione italiana e i suoi principi fondanti con la prima di una serie di puntate dal titolo "La più bella del mondo". Cimento che si merita il plauso? Non crediamo. La Costituzione italiana è ormai diventata nell'immaginario collettivo il nuovo Decalogo. Come Mosè è salito sul Monte Sinai per poi ridiscenderne con in mano le Tavole della Legge date da Jahvè, così anche Benigni l'altro giorno è salito al Colle per ricevere da Napolitano la Costituzione. E come il Papa è in un certo qual modo garante nella Chiesa di quel Decalogo dettato da Dio in persona, così anche lo Stato italiano ha il suo pontefice, Giorgio Napolitano, garante anch'egli della Carta costituzionale nata nel '47 per opera dei padri costituenti. Il Sommo Sacerdote dello Stato laico è zelante come un finanziere montiano nel far rispettare la Costituzione (a fasi alterne visto il caso Eluana), tanto quanto fu zelante nell'approvare l'invasione dei carri armati dei suoi compagni comunisti a Budapest affermando che "l'intervento sovietico in Ungheria […] ha contribuito […] a salvare la pace nel mondo". Al modico prezzo di circa 25.000 vittime. Ma non divaghiamo.
Dunque nell'iconografia laica del politicamente corretto abbiamo uno Stato che come una chiesa ha i suoi dogmi irriformabili, cioè le norme costituzionali, e un Sommo Sacerdote, il Presidente della Repubblica, a guardia e tutela di questi ultimi. Costituzione e Capo dello Stato sono veneratissimi e intoccabili, quanto la mamma per l'italiano medio. Tutto questo ha un nome: statolatria. L'idolatria per lo Stato.
Intendiamoci bene: la Costituzione di per se stessa non è strumento giuridico da condannare. In particolare la nostra Costituzione in più parti è degna di rispetto perché in molti sui articoli rimanda ai diritti naturali ed a istituzioni propri della legge naturale (es. il matrimonio). Parimenti il ruolo del Capo dello Stato di suo non è da abolire perché intrinsecamente malvagio, anzi i governanti per la dottrina sociale della Chiesa sono da rispettare se questi ovviamente rispettano il bene comune. Ciò che è da censurare è la sovrastima quasi fanatica che circonda sia la Costituzione che il Presidente della Repubblica, la dorata aura celestiale che adorna entrambi nella coscienza collettiva. Il titolo scelto per la trasmissione del comico toscano – "La più bella del mondo" – forse testimonia proprio questo atteggiamento d'eccesso nel tributare onori e gloria a realtà sì importanti, ma al fin fine meramente umane.
Il profumo di incenso che Benigni concorrerà a spargere questa sera sulle pagine della Carta costituzionale tenterà forse di mitigare alcuni miasmi che invece da questa stessa Carta si elevano intensi.
Primo: ma chi l'ha detto che la Costituzione anche nei suoi principi primi non si possa cambiare? Si tratta in fin dei conti sempre di opera di uomini e di certo non assistiti dallo Spirito Santo, quindi assai fallaci. Tutto è dunque riformabile. Un esempio? Prendiamo l'articolo 1 che tutti conosciamo: "L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro". Perché l'Italia dovrebbe essere fondata solo sul lavoro? Non potrebbe essere fondata altrettanto, se non ancor più legittimamente sulla famiglia? Oppure sulla solidarietà, sul bene comune, sul rispetto della dignità della persona? Perché – vedi il caso di Grecia e Irlanda – non sulla Santissima Trinità? La scelta a favore del lavoro – che in questo articolo 1 si tinge di rosso – è quindi assolutamente opinabile perché arbitraria.
Secondo punto: ci viene ripetuto sin da quando avevamo le braghette corte che i nostri diritti sono tutelati dalla Costituzione. E chi dovrebbe tutelarli nello specifico? Lo Stato. E se – metti caso – lo Stato italiano fosse proprio lui a violarli? Se fosse il controllore – come ebbe a scrivere il filosofo del diritto Francesco Gentile – ad indossare i panni di chi viola questi diritti? A chi ricorrere? Fandonie, dirà seccato qualcuno, viviamo in uno Stato moderno, occidentale e democratico, mica siamo sotto una tirannia. Eppure il nostro Stato ha violato eccome i principi fondamentali della Costituzione, continua a farlo e non di nascosto ma alla luce del sole del diritto. Infatti che dire della legge dello Stato italiano n. 194/78 che, legittimando l'aborto, dal 1978 al 2011 ha permesso la soppressione di 5.329.000 bambini, in barba all'art. 2 (vita), 3 (uguaglianza) e 32 (salute) della Costituzione? Stessi articoli ha violato la legge statale n. 40/2004 sulla fecondazione artificiale che ha provocato nell'ultimo anno censito la distruzione di 113.000 embrioni. Che dire poi della legge sul divorzio che ha colpito a morte l'art. 29 della Costituzione che tutela la famiglia cumulando nel 2010 ben 142mila fallimenti matrimoniali tra separazioni e divorzi?
Terzo punto: ma siamo proprio sicuri che al di sopra della Costituzione ci sia il vuoto cosmico? Oppure possiamo azzardare l'ipotesi che prima della sacra Costituzione esistano principi valoriali che, seppur non codificati nero su bianco, siano ben impressi nel cuore di ogni uomo? Quei principi non negoziabili su cui tanto insiste Benedetto XVI e che – loro sì – sono davvero irriformabili e intoccabili? Principi più importanti di quelli costituzionali e a cui ogni legislatore sulla faccia della terra dovrebbe ispirarsi.
Domande leziose, lo sappiamo bene, e non conciliabili con lo spirito di un certo populismo massmediatico a cui questa sera Benigni renderà omaggio – ne siamo certi – con estrema fascinazione.
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