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Per non urtare la suscettibilità di Pechino, gli Stati Uniti hanno esercitato pressioni sui rappresentanti tibetani per rinviare l’incontro tra il Dalai Lama ed il presidente americano Barack Obama a dopo il vertice con il leader della Repubblica Popolare Cinese Hu Jintao, che Obama ha in agenda per novembre. Lo riferisce il “Washington Post” (John Pomfret, Obama’s Meeting With the Dalai Lama Is Delayed, “Washington Post”, 5 ottobre 2009), citando diplomatici, funzionari governativi ed altre fonti.
Il leader spirituale tibetano – in esilio dal 1959, dopo la violenta occupazione del “Paese delle Nevi” attuata dal regime comunista cinese – ha visitato Washington durante la settimana ma, per la prima volta dal 1991, non ha incontrato il presidente.
Il Dalai Lama era stato a Washington già dieci volte e ogni volta era stato ricevuto alla Casa Bianca. Nel 2007 il presidente George W. Bush lo ha incontrato per la prima volta pubblicamente, durante una cerimonia in cui lo ha insignito del più alto riconoscimento conferito dal Congresso degli Stati Uniti per meriti civili, la Congressional Gold Medal. L’insolita decisione dell’amministrazione Obama sembra rientrare nel più ampio disegno volto a migliorare le relazioni con la Cina anche abbassando i toni della polemica con Pechino sulle questioni dei diritti umani e della politica finanziaria.
Un progetto – scrive Pomfret – che i funzionari dell’amministrazione definiscono di «rassicurazione strategica» in cui rientrerebbero pure le dichiarazioni rilasciate in febbraio dal segretario di Stato Hillary Clinton, secondo la quale la difesa dei diritti umani non può «interferire con la crisi economica globale, con la crisi derivante dai cambiamenti climatici, e la crisi in materia di sicurezza», affermazioni molto apprezzate a Pechino. Per motivare la decisione, i funzionari americani hanno detto ai rappresentanti tibetani che intendono lavorare con la Cina su temi importanti, tra cui la proliferazione nucleare in Corea del nord e Iran.
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