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«I sospetti su quella Fiorentina degli anni ’70 in cui ho giocato (dal 1973 al ’77 n.d.r.), li comunicai in forma epistolare al giudice Raffaele Guariniello che mi convocò alla Procura di Torino. Gli confermai che mi sembrava strano ci fossero state tutte quelle morti e quei malati in una sola squadra...».
Questa è stata l’ultima pubblica accusa di Massimo Mattolini - ad Avvenire - che a 56 anni l’altra notte se ne è andato per sempre. Il portiere viola non aveva mai nascosto di aver paura per via di quei farmaci assunti «inconsapevolmente» in carriera e che potrebbero avergli provocato le insufficienze renali che nel 2000 lo costrinsero a sottoporsi al trapianto. «In quegli anni prendevamo farmaci da tutte le parti. Quando a primavera avevo un calo atletico, era normale che mi facessero iniezioni di Cortex (corteccia surrenale) per 7-10 giorni. Ora, che tutto questo mi abbia fatto perdere la funzionalità dei reni non posso dirlo con certezza, ma sarei contento se qualcuno lo facesse. Ciò che posso dire è che l’Epo a me lo davano quando ero in dialisi, e mi sembra grave, come è stato dimostrato, che lo somministrassero a calciatori sani...».
Un’amara considerazione quella di Mattolini, la stessa che da oltre vent’anni ogni giorno è costretta a fare Gabriella Bernardini, la vedova di Bruno Beatrice morto nel 1987, a 39 anni, stroncato da una leucemia linfoblastica acuta, causata da un incauto ciclo di raggi Roentgen, per guarire da una pubalgia. Gabriella è rimasta l’ultima “pasionaria” di una battaglia per la verità, intorno al mistero di questa Fiorentina. Con i figli Alessandro e Claudia hanno fondato l’Associazione vittime del doping, ma anche nel giorno della morte di Mattolini si rende conto che il suo grido d’allarme è sempre più isolato. «Nessuno in questi anni ha avuto il coraggio di denunciare insieme a noi per tutte quelle pratiche mediche assurde che sono state fatte a quei ragazzi - dice la vedova di Beatrice - . La moglie di un altro calciatore e vittima di quella Fiorentina, si era quasi convinta a seguirci, ci aveva chiesto quanto le sarebbero costate le spese legali, ma poi preferì non andare avanti con la causa...».
Il processo Beatrice, al pm Luigi Bocciolini non è stato possibile aprirlo in sede penale, ma sta per partire quello civile in cui, tra gli altri responsabili, è citato per omicidio preterintenzionale, anche l’ex allenatore di quella Fiorentina Carlo Mazzone. «Io ho la certezza che mio marito - prosegue Gabriella Beatrice - è stato ucciso dalla Roentgen-terapia e nessuno mi toglie dalla testa il dubbio che tutti quei farmaci che hanno preso alla Fiorentina hanno potuto causare la morte e la malattia degli altri giocatori».
Ma non è tutto: «Non posso sopportare che personaggi autorevoli come il ct Marcello Lippi si permettano di escludere a priori qualsiasi tipo di connessione, arrivando alla conclusione che il calcio non c’entra niente con le morti e le malattie come la Sla. E trovo offensivo e mi fa rabbia che un Fabio Cannavaro, capitano della Nazionale, dopo essersi fatto riprendere dalle telecamere anni fa mentre faceva una flebo di Neoton, adesso dica “sono una persona seria” per difendersi dall’ultima accusa di doping, subito archiviata dalla Procura. Ma perché, forse Beatrice e gli altri, anche se avessero assunto quelle sostanze indotti dalla società non erano persone serie?».
Era una persona serissima il bomber viola Nello Saltutti. Il suo cuore indebolito dalle dosi massicce di farmaci che gli davano, ha ceduto alla stessa età di Mattolini, a 56 anni: «Ci riempivano di Micoren, un farmaco che tanto bene non faceva visto che nel 1985 l’hanno tolto dal commercio -ricordava Saltutti-. Prima della partita, c’era sempre un “caffè speciale” che non si sapeva di cosa fosse fatto, ma in campo ci faceva andare il doppio degli altri. Sul tavolino fuori dello spogliatoio trovavamo sempre i flaconi delle pillole, le boccette con le gocce, flebo modello damigiane e punture a volontà...».
I Nas di Firenze che partendo dal “caso Beatrice” hanno indagato su tutti i componenti di quella Fiorentina degli anni ’70, al termine dell’inchiesta hanno riscontrato l’«abuso di farmaci». Nel “giallo viola” c’è spazio poi anche per il mistero delle cartelle cliniche scomparse. Scandagliando gli oltre cento scatoloni dell’archivio della Fiorentina - la società fallita di Cecchi Gori - quelle dei viola degli anni ’70 non si sono mai trovate, mentre la documentazione riparte dalle cartelle cliniche dei tesserati dall’80 in poi. Qualcuno molto potente, si dice forse in orbita massonica, avrebbe interesse a che non si arrivasse mai alla verità. Una verità scomoda, quella dello spogliatoio di una squadra di calcio che ha lo stesso odore di una corsia d’ospedale.
Mattolini, già nel 2004, ci disse: «Io chiedo alla giustizia che faccia giustizia... Se davvero qualcuno ci ha dato delle sostanze sapendo che avrebbero nuociuto alla nostra salute è giusto che paghi. Così come non devono farla franca quelli che oggi praticano il doping sulla pelle dei giovani».
GLI ALTRI: LE MORTI “BIANCHE” DI UGO FERRANTE E GIUSEPPE LONGONI
Il mistero del “giallo viola” si infittisce perché con Massimo Mattolini le vittime di quella Fiorentina degli anni ’70 salgono a cinque. Non aveva giocato nella stessa formazione di Mattolini, Ugo Ferrante viola dal ’63 al ’72, morto a 59 anni per un calcinoma spinocellulare. Testimone di nozze di Ferrante fu il compagno di squadra Giancarlo De Sisti detto “Picchio” che nell’84 quando era allenatore della Fiorentina rischiò di morire per un ascesso frontale al cervello. De Sisti non vuole più sentire associare il suo nome a quello delle altre vittime viola e malati come Mimmo Caso che ha vinto la sua sfida al tumore al fegato e Giancarlo Antognoni che qualche anno fa durante una partita tra vecchie glorie fu colpito da infarto. «Certo che mi sia accaduto mentre giocavo a calcio un po’ mi fa pensare...», ha detto Antognoni. E qualche pensiero è venuto anche alla signora Grazia, vedova di Giuseppe Longoni - alla Fiorentina dal ’69 al ’73 - morto a 63 anni per una vasculopatia. «Non accuso nessuno - dice la vedova Longoni - ma a me sembrano coincidenze piuttosto strane tutte queste morti dei compagni del mio Giuseppe».
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