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«La leggenda nera del 'Papa che tace' ha una data di nascita ben precisa. Fu il momento in cui sulla stampa internazionale comparvero le immagini del processofantoccio al Primate di Ungheria, cardinale Mindszenty, incarcerato e drogato. Era il febbraio 1949. Quattro anni dopo la caduta del nazismo, il principale avversario di Pio XII era diventato il comunismo». Sta qui – secondo lo storico tedesco Michael Hesemann – la chiave per capire come una figura da tutti (tranne i nazisti) apprezzata in vita abbia poi subito l’oltraggio della memoria con epiteti che vanno dal «Papa di Hitler» al pontefice che «taceva» sull’Olocausto. La questione Pio XII, soprattutto quella affrontata da una certa pseudo storiografia – vedi i libri di John Cornwell e Daniel J. Goldhagen – trova nuova luce nel saggio di Hesemann. Il quale, basandosi su un’ampia rassegna bibliografica e testi dell’Archivio Segreto vaticano, ricostruisce il profilo di Pacelli scrostandone la figura dalle insozzature che una certa ricerca gli ha gettato addosso. L’abilità di Hesemann consta nello smontare le affermazioni di Cornwell e Goldhagen appoggiandosi sulla diaristica, l’archivistica, i testimoni dell’epoca. In modo che la qualifica di «Papa che si oppose a Hitler» si fondi sulla forza delle fonti, e non su un pio desiderio. Peter Gumpel, gesuita e storico di vaglia, relatore per la causa di beatificazione di Pacelli, certifica nella prefazione che tale obiettivo è stato raggiunto nel presente testo, da lui definito «serio e attendibile». Padre Gumpel indica nell’opera di Heseman un esempio di quel «processo di revisionismo su Papa Pacelli» che lui stesso è «lieto di poter constatare». Hesemann ricostruisce l’opemare razione Vicario del 1963, dal nome del dramma teatrale di Rolf Hochhuth, ovvero il tentativo (riuscito) del Kgb, tramite agenti rumeni, di creare una reputazione filo-nazista di Pio XII. La consultazione dell’archivio del Vaticano sugli anni 1922-939, compiuta dai docenti dell’università di Münster, ha smascherato questa fama; afferma Hesemann: «Il professor Thomas Brechenmacher doveva confessare che 'la tesi della grande alleanza', come la chiamano Hochhuth, Cornwell e Goldhagen, cioè la tesi di un silenzio colpevole o di un patto satanico tra Pio XII e Hitler, può ormai essere 'respinta con ancora più sicurezza di quanto si sia fatto finora'». Hesemann smonta il cliché di un Pio XII viscerale antisemita raccontando diversi episodi filo-ebraici che ne punteggiano la vita. Quando rievoca il positivo incontro tra l’allora braccio destro del segretario di Stato Gasparri e Nahum Sokolow, personalità di spicco del Congresso sionista mondiale, su una «patria ebraica» in Medio Oriente, Hesemann arriva ad affermare che fu proprio Pacelli «quel 6 maggio 1917 a porre le basi per la costituzione dello Stato di Israele» . Già agli albori della furia nazista anti-ebraica il nunzio Pacelli si adoperò per salvare la vita ad ebrei perseguitati: «Si rivolse a Pacelli il direttore d’orchestra Bruno Walter, pupillo di Gustav Mahler. Nella sua autobiografia Thema und Variationen, Walter racconta come il nunzio lo avesse aiutato a fare scarcerare un suo amico. Si trattava del musicista ebreo Ossip Gabrilowitsch». Da rappresentante vaticano a Berlino, Pacelli comprese il vero volto del nazismo: «Il 1° maggio 1924 – scrive Hesemann – nel rapporto a Gasparri relativo al processo Ludendorff, Pacelli descrisse il nazismo come 'la più pericolosa eresia dei tempi nostri' ». Già prima del conflitto, da segretario di Stato, il futuro pontefice venne additato dall’opinione pubblica internazionale come fiero avversario di Hitler: nel 1935, a Lourdes, Pacelli, «per la prima volta in pubblico, definì i nazisti 'maestri di eresia', gente che 'si abbevera a una sorgente inquinata' » . «Da Lourdes un avvertimento ai nazisti, titolò il New York Times.», annota Hesemann. E anche il viaggio negli Stati Uniti del 1936 aveva uno spiccato intento antinazista: «Il segretario di Stato vaticano cercava di dare vita a una coalizione internazionale contro il nazismo» afferma l’autore, citando lo storico Thomas Brechenmacher. Allo scoppio della guerra Pio XII non si tirò indietro: il New York Times del 14 marzo 1940 sintetizzava così il suo atteggiamento: «Con parole di fuoco, il Santo Padre difese gli ebrei tedeschi e la Polonia». Per confutare l’accusa di «silenzio» sulle stragi naziste, Hesemann cita ancora il quotidiano Usa: «In questo Natale (1943, ndr) è la sua, più che mai, l’unica voce che si leva a protestare in mezzo al silenzio di un intero continente». E riguardo alla presunta inerzia del Vaticano rispetto alla persecuzione nazista verso gli ebrei, Hesemann rimanda allo storico israeliano Pinchas Lapide: «Dopo aver consultato gli Archivi dello Yad Vashem e dell’Autorità per la Memoria di Israele, l’Archivio centrale del sionismo e quello generale per la storia ebraica, egli poté affermare, nella sua eccellente raccolta di documenti Roma e gli ebrei del 1967: ' Pio XII, la Santa Sede, le nunziature apostoliche e la Chiesa cattolica nel suo insieme hanno salvato da morte certa da 700.000 a 850.000 ebrei' » .
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