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Una luce improvvisa dall'alto ha lacerato l'oscurità della campagna palestinese, una voce inattesa - la voce di un angelo - ha rotto il silenzio opaco che avvolgeva ogni cosa e propiziava il sonno di poveri pastori affaticati. Una luce dal cielo e una voce sovrumana: questo è ciò che di insolito si è manifestato a Betlemme due millenni fa, e ha cambiato la storia del mondo.
L'abbiamo rievocato nei riti della scorsa notte; ed è qualcosa che non vogliamo più dimenticare. Il significato più semplice e il guadagno più prezioso del giorno di Natale è appunto quello di farci recuperare la memoria. La festa odierna ci ridona, con il garbo e il fascino dei messaggi poetici, la memoria pungente e viva di un evento che nella vicenda umana è centrale: il solo evento che è davvero inedito, davvero rivoluzionario, davvero redentivo per l'uomo.
Noi cristiani - noi che celebriamo il Natale - siamo essenzialmente un "popolo che ricorda"; un popolo che però vive in mezzo a un'umanità smemorata. E' smemorata perché è tutta presa e quasi ossessionata dalla preponderanza di ciò che è attuale; attuale, quindi effimero e senza un consistente futuro. Proprio per questo, noi che celebriamo il Natale riceviamo contestualmente l'impegnativa missione di salvare i nostri contemporanei - con la nostra testimonianza, col nostro annuncio, con la nostra gioia - dalla sventura della dimenticanza.
La dimenticanza della propria origine e del proprio destino è alla radice di ogni insensatezza e di ogni sottile alienazione umana. Che in sostanza è "dimenticanza di Cristo", se è vero (come è vero) che tutti dall'inizio siamo stati in lui pensati e voluti dal Dio creatore; se è vero (come è vero) che l'intera nostra esistenza, giorno dopo giorno, è un procedere fatale incontro a lui, incontro al Signore della storia, incontro all'ispiratore, al vindice e al premio di ogni giustizia.
Questa sia allora la grazia che oggi tutti dobbiamo implorare dal Padre: che riaccenda in noi la "memoria di Cristo"; la memoria di colui che "era in principio presso Dio, e tutto è stato fatto per mezzo di lui" (cfr. Gv 1,2-3); di colui che è "la luce vera, quella che illumina ogni uomo" (cfr. Gv 1,9); di colui che è il Verbo eterno che per noi "si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (cfr Gv 1,14). Come abbiamo ascoltato dalla splendente pagina iniziale del vangelo di Giovanni.
LE PREFERENZE DEL CREATORE
Ciò che è avvenuto nella notte di Betlemme - ed è un altro dono del Natale - ci svela quanto siano inaspettati e originali i disegni divini, ci notifica le preferenze del Creatore e ci fa intravedere lo stile imprevedibile del suo agire.
Che cosa dice l'angelo ai pastori attoniti e stupefatti: "Troverete un bambino" (Lc 2,12). E' tutta qui la grande notizia, che con tanta solennità il cielo ha comunicato alla terra? E' tutto qui l'intervento risolutivo dei nostri guai, al quale gli ebrei da secoli sospiravano? E' questo dunque il "Messia"? "Troverete un bambino".
Negli antichi testi profetici lo si paragonava a un leone: il "leone della tribù di Giuda" (cfr. Ap 5,5), e invece quel piccolo essere che vagisce da una mangiatoia sembra piuttosto un agnellino sperduto; si parlava di lui come di un eroe che avrebbe schiacciato sotto il torchio i suoi nemici (cfr. Is 63,1-6), ed ecco è il più indifeso e insidiato delle creature; lo si preannunciava ammantato del fasto magnifico della regalità (Sal 2,6; 110,1-3), e i pastori lo vedono rivestito soltanto di povere fasce (cfr. Lc 2,7.12). Perché questo è da notare: l'unico agio e l'unico onore a cui egli non ha voluto rinunciare è il segno disadorno ma affettuoso di una premura materna.
Come si vede, il Signore fa il suo ingresso nel mondo, non d'altro avvalorato che della naturale attrattiva dell'innocenza e della tenerezza dei bimbi. E' veramente sconcertante questa "umiltà divina", nella quale però palpita il più grande mistero d'amore: un'ondata d'amore che investe l'umanità, detergendola dalle sue insipienze e dai suoi egoismi, e dischiudendola all'attesa certa del Regno di Dio.
TROVERETE UN BAMBINO
"Troverete", dice anche a noi l'angelo del Natale. Voi che anelate a qualcosa che dia ragione e senso all'enigma dell'esistenza; voi che in fondo al cuore - nonostante le debolezze e le trasgressioni - aspirate a una vita redenta, perdonata, resa più degna; voi che, almeno per un istinto confuso, siete in attesa di Qualcuno che sul serio vi salvi, abbiate fiducia: troverete! Un'immensa carica di coraggio il Natale infonde in quanti almeno un poco cedono alla sua antica seduzione e alla sua gioia.
Nessuno di noi quindi si perda d'animo: troveremo. Purché non ci aspettiamo che siano la potenza, la ricchezza, il sapere mondano a dare alla nostra ricerca appassionata e incerta la luce, la liberazione dal male, la speranza. Non sono queste le strade sulle quali arriva il Signore a salvarci: "Troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia" (Lc 2,12). Questa è la strada di Dio.
LA FORTUNA DI ESSERE CRISTIANI
L'appuntamento natalizio, così caro a tutti e suggestivo, ci porta un terzo regalo. Ed è quello di risvegliare in noi una consapevolezza più acuta, più aperta, più ardimentosa della nostra identità di discepoli del Signore Gesù. E' un invito che specialmente di questi tempi nessuno può disattendere.
Il papa san Leone Magno - che insegnava negli stessi anni difficili e tormentati del nostro san Petronio (difficili e tormentati per l'irruzione di gente straniera e prepotente nelle nostre terre e per l'imperversare delle eresie) - così faceva riflettere su questo tema i fedeli di Roma: "La festa di oggi - egli diceva - rinnova per noi i sacri inizi di Gesù che nasce dalla Vergine Maria. Ma, adorando la nascita del nostro Salvatore, ci ritroviamo a celebrare la nostra stessa nascita. L'origine di Cristo è insieme l'origine del popolo cristiano, il natale del Capo è anche il natale di tutto il Corpo" (Discorso VI per il Natale).
L'esultanza, che in questi giorni fiorisce nei nostri cuori, è anche la felicità di essere stati conquistati dalla verità del Vangelo, l'unica verità irrefragabile ed eterna; è anche l'incanto di sapersi assimilati al Figlio di Dio fatto uomo e inseriti vitalmente in lui mediante il battesimo; è anche la lieta fierezza di appartenere alla santa Chiesa Cattolica, cioè al "popolo che Dio si è acquistato, perché proclami le opere meravigliose di lui che ci ha chiamato dalle tenebre alla sua mirabile luce" (cfr. 1 Pt 2,9), come si esprime entusiasticamente l'apostolo Pietro.
Nessun doveroso rispetto alle credenze altrui, nessun volonteroso impegno di dialogo interreligioso, può velare ai nostri occhi e censurare sulle nostre labbra la nostra impareggiabile fortuna: la fortuna di essere cristiani; vale a dire: di "aver ottenuto misericordia" (cfr. 1 Pt 2,10) e di essere stati raggiunti, trasformati, radunati in una realtà nuova e imperitura da quel Bambino che oggi contempliamo nato a Betlemme. "Se qualcuno è in Cristo - ci informa sinteticamente san Paolo - è una creazione nuova" (2 Cor 5,17).
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