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Davvero gli attacchi alla famiglia non incidono sullo stato di salute delle famiglie italiane? Il mio amico e maestro Rodney Stark ama dire che in sociologia "chi non conta non conta": chi non parte dai numeri di rado dice cose rilevanti. E la sociologia ai suoi albori ottocenteschi non si chiamava neppure sociologia: il nome usato era "statistica morale", a indicare fin da subito quanto fossero importanti i numeri, cui pure – certo – non bisogna fermarsi.
I DATI DELL'ISTAT
Oggi, però, siamo di fronte piuttosto a statistiche immorali. I numeri del 15° censimento generale dell'ISTAT, diffuso il 23 dicembre 2013, sono inesorabili, soprattutto se li integriamo con le proiezioni per il futuro dello stesso ISTAT e di istituti universitari specializzati. Il numero di residenti in Italia aumenta, sia pure lentamente: dagli attuali circa sessanta milioni viaggiamo verso i 62 milioni previsti per il 2036. Tuttavia, questo aumento è dovuto interamente all'immigrazione: pur calcolando la riduzione nel numero d'immigrati, già ora in corso, dovuta alla crisi economica, nei prossimi cinquant'anni si prevede che essi salgano da quattro a tredici milioni mentre gli italiani presenti sul territorio scenderanno di nove milioni. Tra qualche decennio, un abitante della penisola su cinque sarà uno straniero senza passaporto italiano, e molti detentori di passaporti italiani saranno immigrati nati all'estero e che avranno ottenuto nel frattempo la cittadinanza. Benché il numero degli stranieri che nascono nei nostri ospedali sia destinato a raddoppiarsi nei prossimi cinquant'anni, questo dato non basterà a compensare il calo di nascite tra gli italiani, e già oggi il nostro tasso di natalità è il più basso del mondo. I bambini italiani diventeranno una specie in via di estinzione, ancorché nelle nostre strade vedremo ancora un certo numero di bambini: stranieri.
TANTI ANZIANI
In compenso, vedremo tanti vecchi. Oggi ci sono in Italia più nonni che nipoti; dal 2028 ci saranno più bisnonni – cioè italiani con più di ottant'anni – che pronipoti, cioè bambini di età inferiore a dieci anni. La frazione di PIL destinata alle pensioni dovrà anch'essa raddoppiare, non essendo ipotizzabili, senza determinare sconvolgimenti sociali e politici, un ulteriore aumento dell'età pensionabile o tagli alle pensioni di chi oggi già fatica a sopravvivere. E' un'illusione ottica quella d'immaginare che le pensioni dei nostri vecchi le pagheranno gli immigrati. Infatti, non si considera che anche gli immigrati invecchiano. I primi immigrati cominciano ad arrivare alla pensione. Tra poco saranno una massa di pensionati, che per di più ha avuto un lavoro regolare solo in età matura, spesso con salario basso, così che i loro contributi certamente non pagheranno le loro pensioni, che dovranno essere sostenute da altri. A causa di questo che i sociologi chiamano "invecchiamento importato", il numero di pensionati raggiungerà il suo vertice nel 2030, quando andranno in pensione i figli del baby boom degli anni 1960, ma i pensionati totali non diminuiranno neppure in seguito. Cominceranno infatti ad andare in pensione gli immigrati, mantenendo il numero totale di chi fruisce di una pensione costante.
POCHI BAMBINI
Ma le cattive notizie non finiscono qui. Non bastasse la drastica riduzione, da record mondiale, del numero dei bambini – che ovviamente deriva anche dagli aborti – anche tra gli italiani che, superando un vero percorso a ostacoli, saranno riusciti a nascere, molti rappresentano solo un costo per il sistema Paese – occorre mandarli a scuola e curarli quando si ammalano prima di entrare nel mondo del lavoro – ma non daranno poi alcun contributo al PIL perché se ne andranno all'estero. Non si tratta di aneddoti – molti hanno un vicino il cui figlio è andato a lavorare a Londra o in America – ma di centinaia di migliaia di giovani, in gran parte laureati, che per mancanza di lavoro e soprattutto per sfiducia nell'Italia se ne vanno, e non torneranno più. Tranne pochi ricchi, sono costretti a rimanere in Italia invece i pensionati, di cui i figli – che non sono mai nati, o sono pochi a causa del "modello del figlio unico" – si prendono sempre meno cura, così che deve occuparsene lo Stato, con ulteriori costi per i contribuenti. Qualcuno obietta che queste previsioni non tengono conto che di qui a pochi anni a risolvere i problemi in Italia sarà intervenuta una legge sull'eutanasia. Ci sono troppi vecchi? Ammazziamone un certo numero. Ma, a parte ogni ovvia considerazione morale, la "soluzione" sarebbe di breve periodo. Presto arriveranno alla pensione altri vecchi, e altri ancora. Qualcuno proporrà di ucciderli tutti?
RILANCIARE LA FAMIGLIA, L'UNICA VERA
L'unica soluzione razionale - e morale - sarebbe il rilancio della famiglia. Ma qui, dice l'ISTAT, andiamo proprio male. Nei dieci anni intercorsi fra gli ultimi due censimenti, il numero di separati legalmente e divorziati è quasi raddoppiato, passando da 1.530.543 a 2.658.943. Un separato/divorziato su due ha un'età compresa tra i 35 e i 54 anni. Le famiglie, inoltre, sono sempre più piccole. Nel 1971 una famiglia era mediamente composta da 3,3 persone, nel 2011 da 2,4. Queste tendenze sono generalizzate e riguardano tutte le aree del Paese. Mi capita spesso, in dibattiti pubblici, di spiegare che queste statistiche c'entrano molto con il dibattito in corso sulle unioni omosessuali. Se si diffondono più modelli alternativi di famiglia – non lo dico io ma i numeri – diminuisce il numero di famiglie. Se si diffondono più modelli alternativi di matrimonio, la confusione sociale sull'idea stessa del matrimonio fa diminuire i matrimoni. Si cita al contrario uno studio del 2013 di Alexis Dinno e Chelsea Whitney, due ricercatori dell'Università di Portland - pubblicato su Plos One, che tra parentesi non è, come ha scritto qualcuno in Italia, una "rivista prestigiosa" ma un giornale online che afferma di sfidare le convenzioni accademiche pubblicando quello che le riviste universitarie rifiutano -, secondo cui negli Stati degli Stati Uniti che hanno introdotto il matrimonio omosessuale i matrimoni fra un uomo e una donna non sono diminuiti. Tuttavia se si legge bene lo studio, i cui autori sono peraltro attivisti militanti in favore del "matrimonio" fra persone dello stesso sesso, si scopre che gli stessi ricercatori considerano il "matrimonio" omosessuale di introduzione troppo recente perché le serie statistiche che hanno raccolto siano significative. Ovviamente, il danno non si produce nel minuto esatto in cui uno Stato introduce il "matrimonio" omosessuale per legge. I matrimoni diminuiscono a causa di un clima culturale di cui le leggi sono solo una delle componenti. Meno matrimoni significa meno figli. Trovo quasi sempre qualche cortese oppositore che si alza e, con un sorrisetto ironico, mi fa notare che una donna non sposata è altrettanto capace di fare figli di una donna sposata. Di norma ringrazio l'interlocutore per la straordinaria rivelazione - senza di lui, gli dico, non ci sarei mai arrivato - ma gli spiego anche che sto parlando d'altro. Non sto parlando di ginecologia, su cui non ho alcuna competenza, ma di sociologia. Un ginecologo ci dirà che le donne non sposate hanno la stessa possibilità biologica di fecondità delle donne sposate. Ma il sociologo ci rivelerà che le donne non sposate hanno un tasso di fecondità più basso. Lo dicono i numeri, e non c'è ideologia che riesca a cambiarli. Anche qui, si obiettano studi secondo cui in Paesi dove sono aumentate le coabitazioni e diminuiti i matrimoni - tra cui la Svezia e la Norvegia - il tasso di natalità non è diminuito come in Italia. Queste statistiche non ci dicono però nulla sul tasso di fertilità delle singole donne, sposate e non sposate, e cozzano contro gli studi molto dettagliati detti "Fertility Files" dello U.S. Census Bureau, da cui emerge con chiarezza come le donne sposate siano più feconde. E il dato statistico non è poi così sorprendente. Fare un figlio non è un semplice fatto biologico. Senza prospettive di stabilità e sicurezza per allevarlo ed educarlo, è più difficile che una donna decida oggi d'intraprendere quest'avventura, ed eventualmente resista alle sirene dell'aborto. Se non aumentano le nascite l'Italia muore. Muore per tutti, cattolici e laicisti, credenti e non credenti, perché saranno i portafogli di tutti a doversi aprire per mantenere legioni di pensionati, italiani e immigrati, e fare fronte a tante crisi economiche determinate dalla denatalità. Ma l'unico modo di far aumentare le nascite è scegliere - nella politica, nella cultura e anche nella Chiesa - la famiglia. Quella fondata sul matrimonio di un uomo e una donna. Altro che mettere in discussione il matrimonio e pensare a introdurre modelli alternativi!
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