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I primi mesi del 2010 hanno aggiunto nuovi tasselli al tragico quadro delle persecuzioni anticristiane nel mondo. In Iraq, i cristiani ancora rimasti nel Paese (ben 500.000 sono quelli che lo hanno finora lasciato), vivono nel terrore, soprattutto nell’area di Mossul, dove subiscono sequestri e omicidi; in India, nelle città di Batala e Jalandar gli induisti hanno attaccato le chiese, le abitazioni e i negozi dei cristiani; in Pakistan, a Lahore, una ragazza cattolica di dodici anni è stata torturata, violentata e uccisa dal suo datore di lavoro, un noto avvocato musulmano; in Laos i cristiani sono arrestati e i loro beni confiscati, sotto l’imputazione di minacciare con la loro fede il governo comunista del Paese; in Nigeria, le comunità cristiane sono aggredite manu militari da gruppi musulmani che ne saccheggiano i beni e ne devastano le chiese.
Queste persecuzioni non sono gesti isolati, ma il frutto di una vera e propria campagna di “cristianofobia” che si allarga in maniera preoccupante, nel silenzio della comunità internazionale. Per rendersi conto dell’ampiezza del fenomeno è utile leggere i due libri-inchiesta recentemente pubblicati di Thomas Grimaux (Il libro nero delle nuove persecuzioni anti-cristiane, Fede e Cultura, Verona 2009, pp. 170) e René Guitton (Cristianofobia. La nuova persecuzione, Lindau, Torino 2010, pp. 316).
Entrambi gli autori sono francesi, scrittori e giornalisti di successo. I loro volumi sono basati su fonti di prima mano, ma anche sulla loro esperienza diretta di viaggiatori nei Paesi di persecuzione, tra Oriente e Occidente. Essi si rivolgono non solo ai cattolici, ma a tutti i “laici” che abbiano a cuore i “diritti dell’uomo” e la libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Il libro di Guitton ci offre un quadro raccapricciante che dai Paesi del Maghreb (Tunisia, Libia, Marocco, Algeria, Mauritania) si estende alla Terra Santa, e di qui all’Egitto, alla Siria, alla Turchia, all’Iraq e all’Iran, fino al lontano Oriente: India, Pakistan, Sri Lanka, Corea del Nord, Vietnam, Cina e Indonesia.
Le scene si ripetono ovunque: profanazione di chiese e di cimiteri, stupri e violenze di ogni tipo, crocifissioni, roghi di persone vive, decapitazioni a colpi di accetta o di machete, ma anche intimidazioni, scherni, discriminazioni legali. «I cristiani del Maghreb, dell’Africa sub sahariana, del Medio e dell’Estremo Oriente – scrive Guitton – sono perseguitati, muoiono o scompaiono in una lenta emorragia, vittime del crescente anticristianesimo».
Se il libro di Guitton ha un filo conduttore geografico, quello di Grimaux si propone di risalire alle origini del fenomeno, individuandole nel fanatismo islamico, induista, buddista e comunista. L’Islam, per la sua portata planetaria, il numero e il grado delle violenze, la radicalità degli obiettivi e l’ampiezza dei mezzi utilizzati, costituisce la radice principale delle nuove persecuzioni. Ma anche induismo e buddismo, che ci vengono spesso presentati come pacifiche religioni da cartoline turistiche, sono mosse da un’avversione feroce verso il Cristianesimo. La realtà vissuta dai cristiani in India, Sri Lanka, Nepal, Mongolia, e Myanmar (ex Birmania) prova che il fondamentalismo induista e buddista si propone di estirpare il cristianesimo da quelle terre, attraverso i mezzi della discriminazione politica e sociale e della violenza.
Né va dimenticato il comunismo, che imperversa in Cina, a Cuba, nel Vietnam, in Corea del Nord, che va riprendendo vigore in America Latina e che, dalla Spagna di Zapatero alla Russia di Putin, non è scomparso dall’Europa. La lotta religiosa ha costituito, e rimane, la sua essenza. Il genocidio dei cristiani, cioè la volontà di uccidere i cristiani in quanto tali, a motivo della loro religione, è una realtà del presente. Il Rapporto 2009 pubblicato ogni anno dall’Associazione Aiuto alla Chiesa che soffre conferma che il 75 per cento delle persecuzioni religiose in atto nel mondo colpisce le comunità dei cristiani. Un libro a parte meriterebbe la cristianofobia in Europa, che si esprime attraverso la proclamazione dei cosiddetti “nuovi diritti”, a cominciare da quello all’omosessualità, ma anche attraverso le interdizioni delle istituzioni europee e le offese e gli scherni espressi nei confronti del Cristianesimo da libri, film, canzoni, pubblicità, siti internet.
La sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, del 3 novembre 2009, che pretende di interdire all’Italia l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche, segna l’avvio di un “salto di qualità” nella persecuzione giudiziaria. Mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk dei Caldei, ricordando la difficile situazione in cui versano le comunità cristiane mediorientali, ha ribadito però la volontà di non arrendersi. «Noi dobbiamo restare e portare la croce, essere testimoni, anche con il sangue di chi è stato ucciso» (“L’Osservatore Romano”, 24 febbraio 2010).
La partecipazione al Sacrificio di Cristo deve caratterizzare la vita di ogni cristiano. E ogni cristiano sa di dover seguire Cristo percorrendo la strada della Croce. Gesù nel Vangelo parla delle insidie, delle macchinazioni, delle uccisioni da parte di coloro che avendo perseguitato il Maestro perseguitano anche i discepoli (Mt 10, 16-24) e raccomanda la costanza nelle tribolazioni, nelle calunnie, nei processi ingiusti, nella morte (Lc 21, 12-19).
Infatti, dice san Paolo, «tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati» (II Tim 3, 12). Ingiurie, calunnie, percosse, vessazioni di ogni genere, fino alla morte, non devono fermare l’apostolo, ma anzi rendere più forte la sua voce. La lotta tra i testimoni della fede e i persecutori si è sempre conclusa con la sconfitta di questi ultimi. I persecutori possono uccidere il corpo, ma non possono soffocare la voce della verità, che echeggia nei secoli. «Dio non muore!» gridava il presidente dell’Ecuador Garcia Moreno, pugnalato a morte da un massone sulla soglia della cattedrale di Quito. Ciò che è drammatica, più ancora della persecuzione in atto, è l’indifferenza dell’Occidente e dello stesso mondo cattolico. I cristiani perseguitati chiedono una mobilitazione internazionale, per spingere i governi dei diversi Paesi a intervenire, ma senza successo. Questo scandalo deve cessare. Davanti alla voce del sangue che grida dalla terra al Signore, non possiamo voltare la testa e rispondere: «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4, 9).
Il Cristianesimo non è una religione individuale, ma un unico Corpo Mistico, pervaso da una solidarietà sociale, in cui ognuno partecipa i beni spirituali degli altri. Ogni membro di questo Corpo Mistico offre le sue azioni per lo sviluppo e il perfezionamento dell’intero organismo. Se una solidarietà naturale, fondata sulla comune origine della natura umana, ci lega a tutti i nostri simili, una solidarietà soprannaturale ci vincola a tutti i fratelli nella fede. San Giustino presenta i martiri come tralci di una vite che vengono potati perché la vite possa produrre frutti più abbondanti: «Mentre infatti siamo colpiti con le spade, mentre siamo crocifissi, mentre siamo gettati alle belve, in carcere, nelle fiamme, mentre siamo esposti a tutti gli altri tormenti, non ci allontaniamo, come è evidente, dalla professione della fede. Ma quanto più ci sono inflitti tali tormenti, tanto più altri diventano fedeli e pii nel nome di Gesù. Come una vite, se qualcuno pota quelle parti che producono frutti, ne riceve tale vantaggio che nuovamente emette altri tralci fiorenti e fruttiferi, così avviene con noi» (Dialogo con Trifone, 110). Il sangue dei martiri è seme di cristiani, non solo nel numero, ma soprattutto nella purezza e nell’integrità della fede che viene difesa. È anche grazie a loro che la Chiesa continua la sua missione nella storia, superando ogni crisi e difficoltà.
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