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Vi sono diversi modi, per giungere ad imporre l'islam nel mondo. V'è il percorso "soft", diplomatico, quello a lungo termine, attuato ad esempio in Europa, frutto di tanta diplomazia e di una buona dose di pazienza, estendendo lentamente, ma incessantemente il proprio ambito d'influenza economica, politica e culturale in casa d'altri, facendola sempre più da padroni. V'è poi il percorso più drastico, quello a breve termine, che lascia la parola alle armi, come in Iraq, Siria e Nigeria. V'è anche il percorso più subdolo, quello a medio termine, affidato alla guerriglia dei terroristi, degli attentatori e dei kamikaze. Ma v'è anche un quarto percorso, quello della politica internazionale: lo si sta sperimentando nelle Filippine. Cosa vi accade?
LA RICETTA PER ARRIVARE A UNO STATO ISLAMICO AUTONOMO
La ricetta è semplice: si inizia col provocare scontri, meglio se sanguinari. Si procede così per oltre quarant'anni, lasciando sul terreno migliaia di vittime: nel caso in esame, almeno 120 mila. Si fanno fallire i diversi tentativi di negoziato col governo, sino a condurre all'esasperazione i vertici dello Stato. E qui si gioca il jolly.Che, nello specifico, porta il nome del Presidente in carica, Benigno Aquino III, talmente provato dai disordini da chiedere che, per legge, si riconosca ai musulmani, che han messo a ferro e fuoco la regione meridionale del Paese, una sorta di autogoverno, ritenuto l'unica arma per por fine all'ecatombe in corso. Senza tener conto del rischio implicito nel regalare, in pratica, questi territori alla sharia, abbandonandoli ad essa, senza speranza di ripensamento...
Le prime crepe nella tenuta morale delle istituzioni si registrarono già lo scorso 27 marzo, quando venne siglato un accordo di pace con i rappresentanti del sedicente Milf-Fronte islamico di Liberazione Moro. Tale accordo prevedeva la costituzione di un'entità politica denominata Bangsamoro nella regione autonoma sull'isola di Mindanao, ove già risiede la maggior parte dei 10 milioni di musulmani filippini, chiamati moros dagli Spagnoli nel XVI secolo. Tale decisione avrebbe dovuto essere ratificata l'anno prossimo da un apposito referendum. Ma ora questo nuovo balzo in avanti rischia di affrettare i tempi e di far precipitare le cose.
IPOCRISIA E IMPOTENZA
Cosa accadrebbe, se dovesse passare la proposta? Innanzi tutto, si creerebbe una pericolosa enclave musulmana, retta dalla sharia: sulla carta dovrebbe essere adottata soltanto nel codice civile, ma anche chi fosse digiuno in materia sa ormai che la legge islamica non è a compartimenti stagni e che, quando la si prende, la si prende tutta intera. Tale distinzione giuridica tra civile e penale appare quindi ridicola, da intendersi in senso puramente formale, per tener buone le coscienze, ma senza concrete possibilità di successo. Non solo: Bangsamoro avrebbe un proprio bilancio. Avrebbe proprie forze di polizia, ovviamente e rigorosamente islamiche. Avrebbe anche una propria amministrazione, benché provvisoria: dovrebbe, dicasi dovrebbe restare in carica fino al 2016, quando sono previste le prime elezioni del nuovo Stato nello Stato. Tutto questo, chiedendo in cambio solo che i ribelli smettano di fare i ribelli e consegnino le loro armi: già questo evidenzia una sostanziale sconfitta, una inappellabile resa delle forze politiche e militari del Paese. Ma chiamarli "ribelli" è già alquanto riduttivo e rappresenta una forte concessione: stiamo parlando di oltre 10 mila combattenti ovvero del più grande gruppo armato dell'Asia sudorientale. Un po' troppo per pensare ad un manipolo spontaneo di teste calde, ci si trova di fronte in realtà ad un vero e proprio esercito irregolare.
POLITICA FALLIMENTARE
Già l'accordo di pace dello scorso marzo non venne firmato da due gruppi definiti "minori", il Fronte nazionale di Liberazione Moro ed i Combattenti per la libertà islamica di Bangsamoro, che han proseguito coi propri attacchi, mostrando così la fragilità e la debolezza di concessioni disattese prima ancora di entrare in vigore. Concessioni, ritenute potenzialmente incostituzionali ed ampiamente criticate per questo stesso motivo dai media filippini come il Manila Standard ed il Philippine Star, i cui lettori han risposto ad un sondaggio di non ritenere che l'intesa possa por fine alle violenze a Mindanao.
Ora l'ipotesi di regolar tutto per legge complica ancor di più le cose. Il Presidente Aquino ha fretta: vuole che la convenzione entri in vigore prima della fine del suo mandato, che scadrà nel giugno 2016. Ma la stampa ritiene che, dietro queste mosse, vi siano forti pressioni dagli Stati Uniti, convinti di poter trovare nel Bangsamoro musulmano un alleato più disponibile di Manila: se ciò fosse vero, si tratterebbe dell'ennesima, vana illusione, destinata a scontrarsi con la realtà dei fatti, come la fallimentare politica estera seguita negli ultimi anni dalla Casa Bianca ha ampiamente dimostrato, specie relativamente alla geopolitica islamica. Di certo v'è che, ad oggi, nelle Filippine il 10% della popolazione è musulmano ed il 90% cristiano. Ma, se fosse davvero formalizzata questa prima enclave musulmana, sarebbe legittimo chiedersi: fino a quando?
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