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Scrive di notte, mentre di giorno si "divide" fra marito, figli, lavoro, preghiera e mille altre commissioni o impegni che affollano la sua agenda. Dichiarandosi perennemente «in ritardo su tutto», Costanza Miriano svela che le piacerebbe avere tempo per correre le maratone ma che preferisce affiancare i figli nei compiti. E lo dice con un sorriso in cui dolcezza e autoironia si mescolano inesorabilmente, suscitando simpatia. Una donna multitasking come tante, a cui piace curare il suo look non solo esteriore, innamorata della vita e della fede che cerca di testimoniare in giro per l'Italia.
Essere donna, moglie, madre, giornalista e scrittrice credente. Come armonizzare fra loro questi ruoli?
«Intanto direi mettendoli in fila. Essere cristiana è la prima cosa. Quello di Dio è lo sguardo che davvero ci definisce. Fare le cose sotto il suo sguardo, o cercare almeno di farlo, permette di mettere in fila le priorità. Nella certezza assoluta e granitica che, se la "to do list" ha 756 punti al giorno, a malapena arriverò al punto 15. La vita di ogni donna è un ricamo complicatissimo: gli uomini certi intrecci di fili non riuscirebbero proprio a sbrogliarli: abbiamo così tante cose e persone che ci stanno a cuore! È decisivo saper mettere in fila, e saper dire dei no (la parola per me più difficile da pronunciare, mi s'incastra sempre a metà gola). Per quello che mi riguarda faccio tanta fatica, ma quando devo difendere il tempo dei miei figli riesco a tirar fuori le unghie».
Percepisce che la sua voce sia ascoltata nella Chiesa?
«Decisamente sì, e a volte ho il dubbio, anzi, di essere troppo ascoltata. M'invitano a convegni e incontri (la Cei, le parrocchie, le università pontificie, i pontifici consigli) senza nessuna preclusione per il fatto di essere laica, e donna. Ho scritto un libro che mi ha stravolto la vita. Non avrei mai pensato: avevo una cosa da dire e semplicemente l'ho detta. Ho trovato grande entusiasmo e disponibilità all'ascolto, e grande umiltà da tanti uomini di Chiesa, fino ai cardinali che, oserei dire, hanno bisogno della vera amicizia di noi laici».
I suoi libri sul matrimonio cristiano sono best-seller, non solo in Italia. Ma è stata tacciata di concepire un ruolo non emancipato della donna all'interno della coppia.
«Credo che ci si debba intendere sulle parole. Chi critica il discorso della sottomissione non ha letto il libro, il più delle volte. La sottomissione intesa come sostegno grazie alla maggiore disponibilità e capacità femminile di accoglienza è qualcosa che rende la donna preziosa, e felice, perché la donna è felice quando nutre. Se emancipazione significa rinunciare a questo talento, credo sia piuttosto un tarparsi le ali, rinunciare alla nostra grandezza».
Il ruolo delle donne nella Chiesa: quale potrebbe essere, per valorizzarne i carismi?
«Sinceramente non credo che le donne non siano valorizzate nella Chiesa. Credo che le donne siano come il vento che soffia nelle vele, e noi siamo il vento della Chiesa. Siamo l'anima di tante realtà, la carne. Educhiamo alla fede i nostri figli e spesso quelli degli altri, scriviamo, organizziamo, inventiamo, apriamo strade. Non credo, sinceramente, che ci serva avere ruoli "di comando": anche se nell'ottica cristiana il comando non dovrebbe esistere se non in chiave di servizio».
Di recente ha scritto: «Credo che le donne che chiedono gli stessi diritti degli uomini manchino di fantasia e di ambizione; non sono mai stata discriminata come donna (come madre sì)».
«Mi riferivo al mondo del lavoro, che è pensato per gli uomini, con orari e regole totalmente inconciliabili con la maternità, se non a prezzo di grandi sofferenze di mamme e bambini. Credo che noi donne abbiamo lottato per entrare in questo mondo maschile, ma siamo state disponibili a pagare un prezzo troppo alto in termini di felicità personale, la nostra e quella dei nostri figli. Avrei anche molto da dire sull'imperativo di lavorare tout court. Per me il lavoro – quello di giornalista – è un dovere, non una fonte di realizzazione, ed è un dovere anche cercare di contribuire al miglioramento del mondo in cui viviamo, nei limiti del possibile. Scrivere invece mi piace e mi gratifica, ma quello lo posso fare solo di notte. Non intendo però il lavoro come realizzazione».
Cosa pensa delle recenti nomine di donne (finora suore) all'interno di organismi curiali?
«Ne sono contenta; credo che le donne possano dare un contributo diverso da quello maschile in ogni ambito. Il nostro sguardo sul mondo è totalmente non sovrapponibile a quello maschile, ed è bene, è prezioso che diamo anche noi il nostro contributo».
Le laiche come potrebbero dare il loro apporto alla Chiesa?
«Parlando, se hanno qualcosa da dire. Scrivendo, agendo. Ma soprattutto essendo se stesse, pregando, vivendo, facendo ogni cosa da cristiane. Non credo che la Chiesa la cambino, cioè la rendano santa quelli che stanno nei posti "che contano". Chiara Lubich e Chiara Amirante hanno creato due movimenti fortissimi. Chiara Corbella Petrillo è la sorella maggiore di tutte noi mogli e mamme. Chiara Luce Badano è una piccola Teresa di Lisieux. Io credo, come diceva Fulton Sheen, che il livello spirituale di un'epoca sia dato dal livello spirituale delle sue donne. A maggior ragione vale per la Chiesa. Piuttosto, chiediamoci perché le quarantenni la disertino. E torniamo a riempirla, partendo però dalla preghiera».
Suggerimenti sul protagonismo femminile nella pastorale parrocchiale e non?
«A me sembra che i sacerdoti siano così bisognosi di una mano che, se va una donna a proporsi, di solito sono ben lieti di accogliere ogni tipo di aiuto. Le catechiste – secondo me il ruolo più alto, dopo l'amministrazione dei sacramenti – sono quasi tutte donne, per esempio. Insomma, io una donna che abbia detto "vorrei dare il mio contributo" e a cui sia stato detto di no, la devo ancora incontrare. E anzi invito le donne, insieme alle loro famiglie, a farsi amiche dei sacerdoti, a far loro compagnia, a bussare ogni tanto non solo a chiedere aiuto, ma anche a offrirne. Chi si occupa di ricordare loro le visite mediche, di rifare gli occhiali, di portare i vestiti in lavanderia, se non c'è una donna? Chi, anche, può dare al sacerdote il modo femminile di guardare Dio?»
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