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L'ultima nuova dalla Libia è la feroce uccisione di decine di cristiani copti, massacrati dai tagliagole dell'Isis. A tre anni e mezzo dalla defenestrazione di Gheddafi (ottobre 2011) la Libia è ancora nel caos, divisa in più territori tra gruppi rivali che si contendono la conquista dell'intero Paese. Agli islamisti di al Fajar che hanno conquistato Tripoli, si contrappongono i "laici" e i militari di Tobruk. Inoltre dal novembre 2014 sembra inarrestabile l'avanzata dei guerriglieri dell'Isis (da non confondere con gli altri fanatici di al Fajar). L'Isis ha fondato un piccolo califfato nella città orientale di Derna, sotto la guida di Abu Mohammed al-Adnani, che si sta velocemente espandendo. L'avanzata degli jihadisti libici alleati dello Stato islamico è stata da allora estremamente rapida, ed ora sono giunti fino a Sirte, la città natale di Gheddafi, che si trova più o meno di fronte alle nostre coste, su un golfo dove si trovano anche dei pozzi petroliferi. Nel frattempo la Farnesina consiglia i cittadini italiani rimasti in Libia di abbandonare "temporaneamente" il Paese. È possibile che l'Isis abbia anche il controllo di Zuara, il porto da dove partono quasi tutte le barche colme di immigrati dirette verso l'Italia. Se davvero l'Isis tiene sotto il proprio controllo la zona dove fino a ieri comandavano gli scafisti, è probabile che se ne voglia servire per infiltrare combattenti jihadisti tra gli altri immigrati. Così il ministro degli Esteri Gentiloni si dice pronto ad un eventuale intervento armato, con il consenso dell'ONU, in territorio libico, anche se Renzi sembra molto più prudente al riguardo.
Fin qui i fatti. Ma di chi è la responsabilità di questa situazione? Di chi sono le colpe di questo caos, di questi pericoli e dell'impossibilità nella quale si trova l'Italia di garantire la propria sicurezza, di acquistare il petrolio e il gas libici, e di fermare il flusso migratorio? Romano Prodi non ha dubbi al riguardo: la colpa è di Berlusconi, che nel 2011 non si oppose alla volontà di Obama e Sarkozy di abbattere il dittatore Gheddafi, con cui aveva stretto nel 2009 un Trattato di amicizia, estremamente vantaggioso, con il quale l'Italia si impegnava a non concedere mai le basi Nato, presenti sul nostro territorio, per attaccare la Libia. Qualcuno ha definito "un delirio" le parole di Prodi. Ebbene, con tutta la scarsa stima che possiamo nutrire per un tecnocrate come Prodi, "cattolico adulto" al servizio della finanza internazionale, responsabile con Carlo Azeglio Ciampi della nostra entrata nel meccanismo disastroso e stritolante della moneta unica, dobbiamo constatare che Prodi stavolta non delira affatto, ma dice il vero. Berlusconi ordinò i bombardamenti italiani sulla Libia (per la gioia del suo ministro della Difesa, Ignazio la Russa) dopo avere in un primo tempo accettato di concedere le basi Nato in Sicilia per la partenza dei bombardieri americani, francesi ed inglesi, che da lì portavano la morte su Tripoli e le altre città libiche.
Il presidente Giorgio Napolitano, in contrasto con l'articolo 11 della Costituzione che avrebbe dovuto difendere, fece di tutto per condizionare Berlusconi nel senso dell'intervento armato. Gli amici sinistrorsi di Prodi, da Bersani alla Bindi, passando per gli omuncoli centristi alla Casini, furono complici di questa scelta, sulla quale influirono offrendo subito a Berlusconi una maggioranza parlamentare larga ed alternativa di fronte alla titubanza della Lega. La destra dei Fini, dei Frattini, dei La Russa fu in questa vicenda in perfetta sintonia, in nome della "responsabilità", con il servilismo del Pd dei D'Alema, dei Veltroni e dei Bersani, che da anni sono passati dalla sudditanza alla Mosca sovietica alla sudditanza a Washington. Per non parlare della informazione o meglio propaganda di regime, quella dei telegiornali e dei quotidiani mondialisti, che ormai presentava Gheddafi come una copia levantina di Hitler. Un minimo di opposizione, troppo timida e presto vinta, venne solo da Bossi, nella maggioranza, e da Di Pietro nell'opposizione. Tutti gli altri approvarono subito la scelta berlusconiana dell'entrata in guerra.
I servi sono servi, a destra e a sinistra. Non solo l'Italia di Berlusconi fece carta straccia di un trattato firmato due anni prima, ma partecipò attivamente ad una guerra contro i propri interessi, che sia sotto l'aspetto energetico, sia sotto quello dell'immigrazione, erano tutelati proprio da Gheddafi, il quale non era certo un santo, ma almeno non era un islamista fanatico e garantiva l'ordine civile. Perdemmo l'onore, ed insieme perdemmo la salvaguardia dei nostri interessi strategici.
Siamo stati quindi responsabili, attraverso la nostra indegna, servile classe politica, dell'ennesima "guerra umanitaria", organizzata a tavolino da Francia e Stati Uniti, che prima armarono i tagliagole anti-Gheddafi di Bengasi, e poi, quando i "ribelli" stavano per avere la peggio, intervennero con il pretesto di difendere, a suon di bombe anche sui centri abitati, i poveri civili sterminati dal dittatore cattivo. Niente di nuovo, si dirà. A parte il protagonismo deleterio del marito di Carla Bruni, gli USA non fecero la stessa cosa in Serbia nel 1999? In Afghanistan nel 2001? In Iraq nel 2003? Non tentarono di fare la stessa cosa nel 2013 in Siria, quando si mise in mezzo la Russia di Putin? Non si può ragionevolmente negare che da anni questa è la loro strategia, che favorisce sempre, immancabilmente la persecuzione dei cristiani e l'affermazione dell'islamismo dei tagliagole.
Quindici anni fa i cristiani presenti in Medio Oriente erano ancora più di un milione. Oggi sono 150.000, molti dei quali tuttora perseguitati. Basti pensare all'Iraq, dove sotto il "cattivo" Saddam Hussein i cristiani esprimevano addirittura il numero due del regime: il caldeo Tareq Aziz. Oggi invece i cristiani iracheni vivono nell'incubo delle bombe e delle persecuzioni, e in tutta la zona occupata dall'Isis, tra Iraq e Siria, vengono sterminati o costretti a fuggire, espropriati delle loro case e dei loro averi.
La logica delle "guerre umanitarie" e dell'"esportazione della democrazia" (da Clinton a Obama passando per Bush) è infatti la logica del caos, dell'abbattimento di tutti quei Capi di Stato e di governo che non sono strettamente allineati alla strategia imperiale americana. È la logica del Mare contro quella della Terra, dell'onnipotenza di chi non accetta limiti e che pretende che tutto il pianeta diventi un enorme spazio liscio, un enorme mercato dominato dalla finanza e dalle multinazionali, abitato solo da un tipo umano sradicato, atomizzato, de-socializzato e privo di storia, con lo sguardo rivolto sempre verso la materia e mai diretto verso il cielo. È la logica tipica di una potenza dominata da massoneria, finanza e spiriti animali del consumo. È l'America del pensiero unico e dell'uomo a taglia unica, del perverso politically correct creato a tavolino nelle università liberal americane, di Wall Strett, Hollywood e Silicon Valley. È l'America del mondialismo finanziario e del mondialismo armato dal Pentagono, che sottomette l'Europa a ventiquattro anni dalla fine della Guerra Fredda con la presenza delle sue basi, e che sostiene il dominio soffocante della moneta unica e della burocrazia ottusa e laicista di Bruxelles. È l'America che deve sempre crearsi un nemico per giustificare la propria eccezionalità messianica e massonica sul resto del mondo.
Ora il nemico è Putin, ed hanno capito anche i bambini che la rivolta colorata ucraina di piazza Maidan, con annesso il colpo di Stato che ha cacciato il legittimo presidente Yanucovich nel febbraio del 2014, non avrebbe mai avuto successo senza il sostegno dei servizi americani. L'obiettivo è portare le basi Nato al confine con la Russia, come già fatto in Georgia e nei Paesi baltici, in modo da accerchiarla militarmente, impedendogli di mantenersi grande potenza regionale.
Naturalmente, accanto a questa America ne esiste un'altra, profonda e provinciale, legata alle proprie tradizioni e ai propri costumi, che possiede ancora un'identità religiosa – anche se quasi sempre inficiata dall'individualismo protestante –, che mantiene ancora un legame coi valori della terra e della famiglia. Ma questa America non ha voce, è oscurata dai grandi mass media, e ha il torto di farsi rappresentare politicamente da persone che arrivate a Washington si mettono immediatamente a strillare di doveri "imperiali" della superpotenza a stelle e strisce. I repubblicani sono in questo anche peggiori dei democratici, se possibile.
Occorre a questo punto mantenere la mente lucida e non confondere, a mo' della Fallaci o di Panebianco, l'alleanza con l'America e la lotta al fanatismo musulmano. Non solo perché, perlomeno all'inizio, dietro all'Isis vi erano gli alleati degli Usa (Qatar, Arabia Saudita, Turchia, che manifestavano il loro odio religioso sunnita contro lo sciita Assad e contro l'Iran). Non solo perché, come già accadde con Bin Laden in Afghanistan, furono probabilmente gli stessi apprendisti stregoni a stelle e strisce a favorire in Siria al Nusra e lo stesso Isis, al fine di rovesciare Assad. Non solo perché l'alleanza con Arabia e Qatar dimostra ampiamente che il fanatismo spietato delle dinastie sunnite e la superpotenza americana possono andare d'amore e d'accordo. Ma anche e soprattutto perché l'Europa decadente, infettata dal nichilismo, si trova in una morsa. Da una parte i tagliagole islamici, sempre più pericolosi e agguerriti, e sempre più presenti sul suolo europeo grazie ad un immigrazionismo di cui il anche clero conciliare è uno dei massimi artefici, ammalato com'è di umanitarismo postcristiano, di mondialismo e di ecumenismo; dall'altra la superpotenza americana che vuole mantenere l'Europa sottomessa politicamente ai suoi voleri egemonici, e culturalmente al suo immaginario di paccottiglia legato all'idolatria della merce e alla diffusione del mortifero "politicamente corretto" .
Oggi stiamo persino rovinando i nostri esportatori tramite le sanzioni imposte alla Russia, solo per fare contenti i nostri padroni d'oltreoceano. I popoli d'Europa, apostati dalla Tradizione cristiana, sradicati dalla loro identità profonda, omologati dalla corsa alla merce, corrosi dal nichilismo, avviati alla decadenza, sono nella morsa dell'americanismo (altro che "Occidente"!) e dell'islamismo dei tagliagole. Non sconfiggeremo il secondo senza liberarci dal primo. Oppure moriremo. Tertium non datur.
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