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La commissione Affari sociali della Camera ha approvato a maggioranza un emendamento che modifica l’art. 3 del ddl sul biotestamento in discussione al parlamento: l’idratazione e l’alimentazione artificiale possono essere sospese nel caso in cui non risultino più efficaci per garantire al paziente i fattori nutrizionali necessari alle funzioni fisiologiche essenziali del corpo.
Domenico Di Virgilio, il relatore dell’emendamento, precisa che anche se il testo non specifica chi dovrebbe prendere la decisione di sospendere la nutrizione si evince naturalmente che questa spetterà al medico (sic!).
«Per lo stato vegetativo – dichiara Di Virgilio – non avrei presentato nessun emendamento perché nutrizione ed alimentazione non sono trattamenti medici e non vanno sospesi, ma diverso è il caso di pazienti in coma traumatico, ischemico, che hanno fatto le dat, per i quali il medico valuterà se ci sono le condizioni di continuare idratazione e alimentazione. Si tratta dunque di un punto di partenza diverso, cosa che non tutti hanno compreso».
Oltre ad annoverarci tra quelli che non hanno compreso a chi effettivamente possa giovare una tale modifica, ci preme sottolineare come si stia puntualmente verificando ciò che era lecito attendersi: il ddl Calabrò sul testamento biologico, già sufficientemente ambiguo da permettere una “capacità di manovra” piuttosto ampia, rischia di vedere allargate a dismisura le già lacerate maglie normative così da far passare senza particolari difficoltà il suicidio assistito dei malati.
L’emendamento è stato approvato grazie ai voti del centrodestra e di Paola Binetti (passata all’Udc di Casini), mentre l’opposizione ha votato contro, giudicando la modifica (effettivamente a ragione) un gran pasticcio che complica ulteriormente il guazzabuglio normativo del ddl Calabrò. Quel che preoccupa ulteriormente dell’attuale situazione è la mancanza quasi totale di voci serie ed autorevoli che si oppongano all’approvazione di una legge palesemente ipocrita.
Neppure la Pontificia accademia della Vita sembra accorgersi del tranello, al punto che il presidente mons. Rino Fisichella ha dichiarato che si tratta di «un emendamento che va ancora una volta a favore della vita perché specifica quanto il rispetto per l’ammalato e la dignità del malato non debba mai arrivare ad una forma di accanimento». L’obiettivo principale (se non unico) sembra essere quello di approdare ad un compromesso politico, una nuova “verità” da difendere ad oltranza. In effetti, l’ansia che trapela dalle dichiarazioni di diversi esponenti, politici e non, di chiudere la vicenda e giungere finalmente ad una legge, sembra derivare, più che dal timore di trovarsi di fronte ad un nuovo caso Englaro, dall’impellente necessità di giungere a ciò che è considerato il fine ultimo del legislatore e dell’attività politica, ossia il compromesso tra le diverse istanze rappresentate in parlamento. Una volta approvata la legge che spiana la strada all’eutanasia sarà sempre possibile per i neo pro-life appellarsi alla mancata applicazione delle parti buone in essa contenute oppure richiamare all’integrale applicazione della stessa.
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