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Se non altro appare chiaro che il problema vero di questo Sinodo è l'Eucarestia. E prima di parlare di accesso alla comunione dei divorziati risposati (e perché non di tutti coloro che, essendo in peccato mortale, non sono riconciliati?) sarebbe senz'altro meglio chiarirsi se si crede ancora che nell'Eucarestia c'è la presenza reale di Cristo.
Il resoconto fatto ieri in conferenza stampa da don Manuel Dorantesed, collaboratore in lingua spagnola di padre Federico Lombardi, riguardo al racconto fatto in aula di un bambino che durante la Prima Comunione ha dato un pezzetto della sua ostia ai genitori divorziati risposati, è al proposito esemplare. Ammesso che l'episodio sia vero, non deve scandalizzare tanto il gesto del bambino, un "incidente" evidentemente indotto dall'amore per i genitori e dalla testa piena di chiacchiere sentite sulla presunta esclusione dei propri genitori dalla Chiesa. Si potrebbe al massimo notare che se si desse l'Ostia sulla lingua anziché in mano, certi "incidenti" si eviterebbero. Ma non è questo il punto che qui interessa.
Il problema vero è che ci sia un prete o un vescovo che racconti l'episodio per dargli un connotato positivo a supporto dell'accesso alla comunione dei divorziati risposati. E ancora più grave - ai limiti dell'incredibile - è che ci sia un portavoce del Sinodo che riporti questo racconto come «molto emotivo», lasciando intendere che almeno un buon numero di padri sinodali si siano "inteneriti" nell'ascoltarlo; il tutto senza che né il portavoce vaticano padre Federico Lombardi né nessun'altro dei presenti abbia avuto nulla da eccepire.
Ovviamente la vicenda viene raccontata - e amplificata al massimo dalla grande stampa - come l'emergere dei "veri cristiani", aperti e misericordiosi, contro i severi e arcigni "dottori della Legge", che si comportano da «ufficiali di immigrazione che devono controllare perennemente l'integrità di chi si avvicina» (altro intervento in aula riportato in conferenza stampa).
In realtà la vera differenza sta tra chi ancora crede a ciò che la Chiesa ha sempre creduto - ovvero che quel pezzo di pane sia davvero il corpo di Cristo - e chi ha invece ormai ridotto l'accesso alla comunione a uno dei tanti diritti civili della nostra epoca, e che - come Pannella e Bonino insegnano - usa la tipica tattica dei "casi pietosi" per far approvare questo diritto.
Di pietoso in effetti c'è soltanto lo spettacolo di una Chiesa ridotta a mendicare l'approvazione del mondo, disponibile per questo a gettare e calpestare ciò che ha di più caro.
Siamo certi che la maggioranza dei padri sinodali non si sarà affatto commossa alle parole di quel povero prete, e sarà sobbalzata nel vedere come la segreteria del Sinodo abbia deciso di giocare in modo spregiudicato questo episodio. Motivo in più per aspettarsi una risposta chiara e decisa che mostri al popolo cattolico che, accada quel che accada, ci sono almeno dei pastori su cui fare affidamento.
Nota di BastaBugie: invitiamo i nostri lettori a leggere l'interessante articolo di Francesco Agnoli pubblicato su La nuova Bussola Quotidiana il 16-10-2015 dal titolo "Se passasse la dottrina Kasper bisognerebbe cambiare il Vangelo".
Ecco l'articolo che riportiamo integralmente:
Nel fervente dibattito sulla comunione ai divorziati risposati inaugurata dal cardinal Kasper nel sinodo 2014 si rischiano di perdere, anche da parte dei credenti, i termini del discorso. Che sono in verità più semplici di quanto sembra. Con l'avvento di Cristo, viene restaurato il disegno originario del Creatore: quello per cui uomo e donna, maschio e femmina sono chiamati a divenire «un solo corpo e un solo spirito». Nell'Antico Testamento Dio permette la possibilità del ripudio, ma solo «per la durezza del vostro cuore». Nel Nuovo questa possibilità viene esclusa, e viene affermata senza indugi l'indissolubilità del matrimonio.
Così il cristianesimo propone, per la prima volta nella storia, l'idea che l'amore fedele di Cristo nei confronti degli uomini, l'amore di Cristo per la Chiesa, e l'Amore che unisce le tre persone della Trinità, abbia il suo corrispettivo, diciamo così, nella famiglia umana. Si tratta di un messaggio nuovo sia per gli ebrei, sia, ancora di più, per i pagani. Gli storici ci ricordano che all'epoca degli apostoli, e ancora di più nei tre secoli successivi, il divorzio era, nella Roma imperiale, diffusissimo. Anche in ragione del fatto che poteva essere richiesto non più solo dall'uomo, attraverso il ripudio, come nel passato, ma anche dalla donna. Il grande Seneca, pressoché contemporaneo di Gesù, scrive che ormai le persone «divorziano per sposarsi e si sposano per divorziare». Giovenale, nel I secolo dopo Cristo, ricorda il nome di una donna che si è sposata 8 volte in 5 anni, mentre Marziale descrive la crisi del matrimonio contemporaneo citando Telesilla, con i suoi 10 mariti.
Possiamo immaginare, alla luce di queste brevi considerazioni, quanto potesse essere difficile per i cristiani comunicare questa loro visione del matrimonio. Eppure, per costoro, essa era indissolubilmente legata al comandamento dell'amore portato da Cristo. Se, infatti, tutta l'antica legge si riassume nel comandamento dell'amore, questo il ragionamento, allora non è data altra possibilità che viverlo, anzitutto nella vita familiare: viverlo, con le sue gioie e i suoi dolori, le sue soddisfazioni e le sue croci, come Cristo ha insegnato. Per questo per i primi cristiani rompere un matrimonio significava molto semplicemente non vivere l'amore, verso il coniuge e i figli; non vivere l'insegnamento di Cristo, pronto a morire per le persone amate. Nei secoli questo concetto ha portato all'esclusione dei divorziati risposati dalla comunione eucaristica; esclusione che non è un giudizio definitivo, che nessuno può dare, sulle persone, ma un giudizio su un fatto: la rottura di una comunione voluta da Dio stesso e dagli sposi.
Per la Chiesa chi rompe la comunione con il suo prossimo, non può accedere alla comunione sacramentale. In qualunque modo lo faccia: un assassino, un ladro, anche un uomo che abbia insultato suo fratello, deve prima pentirsi, cambiare vita, per poi accedere all'unione sacramentale. Senza pentimento, dice san Paolo, la sua comunione è sacrilega, perché «non chi mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli». Il succo del cristianesimo è questo: non si va a Dio, se non attraverso i fratelli; non si è in comunione con Lui, se non lo si è con il proprio prossimo.
Scrive l'evangelista Matteo: «Se stai per presentare la tua offerta all'altare, e là ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia là il tuo dono, davanti all'altare, e va' prima a riconciliarti col tuo fratello. Poi torna a offrire il tuo dono» (Matteo 5,23-24). Prima di accedere alla comunione eucaristica, dunque, la Chiesa vuole che il legame con il nostro prossimo sia ricostituito. Un padre che abbandoni la moglie e i figli, per andare con un'altra donna, lasciando moglie e figli nella disperazione, rompe la comunione con le persone a lui più prossime. Viola il comandamento dell'amore, distaccandosi violentemente da Dio Amore. Per questo la Chiesa gli ricorda che, senza pentimento e cambiamento di vita, non gli è lecito accedere al sacramento dell'unità, all'incontro con il Dio che si è fatto prossimo all'uomo, perché l'uomo si facesse davvero prossimo ai suoi fratelli.
Se la tesi del cardinal Kasper passasse, non solo bisognerebbe cancellare dal Vangelo i passi sul matrimonio, ma bisognerebbe abolirne lo spirito: non si va a Dio, che è Amore e Unità, se non tramite i fratelli, quelli che ci sono accanto. Non si va all'altare del Dio fedele, dopo aver tradito la fedeltà promessa e dovuta a coloro che abbiamo di più prossimi, il coniuge e i propri figli. Ciò non significa che, non concedendo la comunione ai divorziati che vivono un rapporto anche carnale con una persona che non sia il coniuge, la Chiesa li abbandona o li considera, cristianamente parlando, "persi". Anche questo sarebbe in contrasto con l'insegnamento evangelico. E allora fare cosa? Ci pensino pure, i padri sinodali, senza scorciatoie, ché la strada intrapresa da Cristo, la strada della croce, non è stata quella di dire che il peccato non esiste, ma quella di morire per noi peccatori.
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