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Riprendiamo i video e i giornali di circa un anno fa. Facciamo scorrere nuovamente le immagini del sindaco di Roma - di allora e di oggi, forse anche di domani - che, in fascia tricolore, riceve in Campidoglio coppie di persone dello stesso sesso e procede alla trascrizione nei registri dello stato civile della Capitale dei matrimoni contratti dalle medesime coppie al di fuori dei confini nazionali. É tutto nullo! Peggio, il professor Ignazio Marino si è impegnato - e ha fatto impegnare gli uffici dell'amministrazione che guida - in una attività inesistente, cioè al di fuori dell'ordinamento giuridico italiano. E, al pari di lui, i sindaci delle città che hanno allestito scene simili.
Non è una mera opinione, è quanto stabilisce la sentenza del Consiglio di Stato depositata due giorni fa, pronunciata dalla 3^ sezione in sede giurisdizionale, presidente Romeo, estensore Deodato: si tratta della parola definitiva, che giunge dopo l'intervento dell'allora prefetto Pecoraro sul sindaco Marino, quindi la circolare a sostegno del prefetto emessa dal ministro dell'Interno, quindi ancora la sentenza in primo grado del Tar del Lazio. Che si tratti di una decisione importante, non solo per la parte dispositiva, ma pure per la lunga motivazione, si deduce, prima ancora di esaminarla, dallo spazio che a caldo le è stato dedicato dalla Repubblica: mentre le nozze gay esportate a Roma avevano a suo tempo riempito pagine e pagine, a cominciare dalla prima, per avere notizia della decisione è stato necessario arrivare a pagina 20, dove ci si imbatteva in un trafiletto di poche righe in alto a destra. A freddo, non potendo ignorarla, hanno pensato bene di demonizzare l'estensore, reo - fra l'altro - di essere cattolico (così hanno scritto sulla versione on line). Trascurando che la pronuncia è attribuibile a tutti e cinque i componenti del Consiglio di Stato che hanno formato il collegio, e quindi l'hanno condivisa. Si sa, da quelle parti il giudice è giusto se scrive le sentenze in conformità a quello che scrive la Repubblica.
LA SENTENZA
La sentenza - che merita di essere letta per intero, e di cui qui si tenta un veloce abstract - affronta due questioni: la prima, correttamente individuata come pregiudiziale rispetto alla seconda, attiene alla verifica dell'esistenza di un diritto delle coppie omosessuali a far trascrivere il matrimonio celebrato all'estero nei registri dello stato civile italiano. L'altra riguarda il potere del prefetto di intervento su un provvedimento del sindaco in materia di stato civile. Sul primo punto il Consiglio di Stato non può essere più chiaro:
a. il diritto internazionale privato vigente in Italia prevede «i presupposti di legalità del matrimonio» collegandosi alla «legge nazionale di ciascun nubendo». Dal raccordo fra tali norme e quelle del codice civile emerge «un sistema regolatorio univoco circa l'identificazione degli elementi che condizionano la validità e l'efficacia del matrimonio tra cittadini italiani celebrato all'estero (...) che consentono al predetto atto di produrre, nell'ordinamento nazionale, i suoi effetti giuridici naturali»;
b. fra questi "elementi" il primo e fondamentale è «la diversità di sesso dei nubendi (...), secondo le regole codificate (in articoli del codice civile e) in coerenza con la concezione del matrimonio afferente alla millenaria tradizione giuridica e culturale dell'istituto, oltre che all'ordine naturale costantemente inteso e tradotto nel diritto positivo come legittimante la sola unione coniugale tra un uomo e una donna». Finalmente viene ribadito il fondamento naturale della società familiare;
c. la conclusione è che «il matrimonio celebrato (all'estero) tra persone dello stesso sesso (...) risulta sprovvisto di un elemento essenziale (nella specie la diversità di sesso dei nubendi) ai fini della sua idoneità a produrre effetti giuridici nel nostro ordinamento»;
d. l'atto più che nulla è addirittura «inesistente»; «il matrimonio omosessuale deve, infatti, intendersi incapace, nel vigente sistema di regole, di costituire tra le parti lo status giuridico proprio delle persone coniugate (con i diritti e gli obblighi connessi) proprio in quanto privo dell'indefettibile condizione della diversità di sesso dei nubendi, che il nostro ordinamento configura quale connotazione ontologica essenziale dell'atto di matrimonio»;
e. ancora, «il corretto esercizio della (propria) potestà impedisce all'ufficiale dello stato civile la trascrizione di matrimoni omosessuali celebrati all'estero, per il difetto della condizione relativa alla dichiarazione degli sposi di volersi prendere rispettivamente in marito e moglie».
COMPATIBILITÀ CON LA CORTE COSTITUZIONALE E LE CORTI EUROPEE
Il Consiglio di Stato si pone la questione della compatibilità della propria decisione con quanto affermato in materia dalla Corte costituzionale e dalle Corti europee. E anche su questo versante le conclusioni non lasciano adito a dubbi:
a. «la compatibilità del divieto, in Italia, di matrimoni tra persone dello stesso sesso (e, quindi, si aggiunga, come logico corollario, della trascrizione di quelli celebrati all'estero) è già stata scrutinata ed affermata dalla Corte Costituzionale»;
b. ciò è per la Consulta - richiamata dal Consiglio di Stato - «per un verso compatibile con l'art. 29 della Costituzione (...) e, per un altro, conforme alle norme interposte contenute negli artt. 12 della CEDU e 9 della (...) Carta di Nizza, nella misura in cui le stesse rinviano espressamente alle legislazioni nazionali, senza vincolarne i contenuti, la disciplina dell'istituto del matrimonio»;
c. «l'eventuale delibazione dell'incostituzionalità (si ha solo per le) disposizioni legislative che introducono irragionevoli disparità di trattamento delle coppie omosessuali in relazione ad ipotesi particolari»;
d. tutto ciò «si risolve in una costituzionalizzazione del matrimonio tra persone di sesso diverso, sicché non possono ravvisarsi margini per uno scrutinio diverso ed ulteriore della compatibilità della regolazione in questione con la Carta fondamentale della Repubblica». Infine, l'Europa. Il Consiglio di Stato, esaminando le disposizioni dei trattati europei, ribadisce che «la regolazione legislativa del matrimonio e, quindi, l'eventuale ammissione di quello omosessuale (che la Corte non ritiene, in astratto, vietato) rientra nel perimetro del margine di apprezzamento e, quindi, della discrezionalità riservata agli Stati contraenti». Discrezionalità che l'Italia non ha finora ritenuto di esercitare, sì che non è aggirabile per via giurisprudenziale. Nè italiana, né europea: la medesima «regolazione legislativa (...) e, di conseguenza, anche i presupposti del riconoscimento giuridico dei matrimoni celebrati in un Paese straniero (ivi compresi quelli appartenenti all'Unione Europea) esula dai confini del diritto europeo (...) ed attiene, in via esclusiva, alla sovranità nazionale».
La seconda parte della pronuncia del Consiglio di Stato è egualmente importante. Il principio è che ciascuno ha un ruolo e una competenza da svolgere. Nella materia oggetto della decisione non c'è spazio per una sostituzione dell'autorità giudiziaria, men che meno di quella ordinaria, al potere del ministro dell'Interno, quindi dei prefetti, di garantire l'uniforme tenuta sull'intero territorio nazionale dei registri dello stato civile, in una materia nella quale il sindaco agisce quale ufficiale di governo.
CONCLUSIONI
Alla luce di questa sentenza:
1. memo per i parlamentari impegnati nell'esame del ddl Cirinnà:
a. non c'è alcun obbligo di introdurre simil-matrimoni che derivi dalla Consulta o dalla Cedu;
b. al contrario solo l'unione matrimoniale - col suo fondamento naturale riconosciuto dalla Costituzione, quindi fra un uomo e una donna - ha rango costituzionale;
c. si può legiferare senza l'angoscia del giudice che potrebbe arrivare prima, poiché ogni Stato in questa materia sceglie per sé, e perché un giudice non può sostituirsi alla scelta del Parlamento;
d. è incostituzionale la norma del ddl Cirinnà pervenuto nell'aula del Senato che, attraverso la delega al governo, autorizza gli ufficiali dello stato civile alla trascrizione di matrimoni same sex contratti all'estero. In base al quadro ordinamentale ricostruito dal Consiglio di Stato, ciò sarà possibile solo se il Parlamento italiano deciderà di introdurre il matrimonio fra persone dello stesso sesso;
2. memo per i sindaci amanti delle trascrizioni nel proprio Comune delle nozze gay extraterritoriali:
il Consiglio di Stato ha detto che la vostra attività è nulla, anzi inesistente. Poiché tenere registri ha dei costi, è bene ricordarsene: un giorno la Corte dei conti potrebbe chiedervi di restituire le somme impiegate per compiere atti inesistenti;
3. memo per le persone di buona volontà:
forza! quel che talora manca a chi sostiene le ragioni della famiglia non sono gli argomenti, ma il coraggio.
Nota di BastaBugie: per approfondire il vergognoso linciaggio mediatico nei confronti del giudice del Consiglio di Stato che ha emesso la sentenza contro le nozze gay celebrate all'estero, leggi l'articolo di Riccardo Cascioli pubblicato su La nuova Bussola Quotidiana il 28-10-2015 con il titolo "Vergognosi attacchi al giudice che applica la legge".
Ecco l'articolo completo:
Il vergognoso linciaggio mediatico promosso dalle organizzazioni Lgbt e ampiamente sostenuto ieri dal sito del quotidiano Repubblica nei confronti del giudice del Consiglio di Stato Carlo Deodato, è un segnale chiaro del clima di intolleranza da una parte e di conformismo culturale dall'altra che ormai domina il nostro Paese, e non solo.
Qual è la colpa di Deodato, ovvero del relatore della sentenza del Consiglio di Stato contro la trascrizione delle nozze gay? Quella di essere un cattolico che ha manifestato opinioni a difesa della famiglia naturale. Sono andati a riprendere vecchi tweet che rilanciavano immagini delle Sentinelle in piedi (peraltro ritwittava la Nuova Bussola Quotidiana) per urlare l'indegnità del giudice e chiedere che la sentenza venga annullata (così sostiene ad esempio Franco Grillini, storico leader del movimento gay).
Questi signori fanno finta di non sapere che la sentenza è stata formulata da cinque giudici, non da uno solo, e dimenticano la loro contiguità con quella cricca di magistrati che in questi anni ha violentato il nostro sistema legislativo con sentenze creative contro la famiglia e la vita.
È un mondo rovesciato: il giudice che applica la legge viene aggredito e trattato come il peggiore dei criminali, e il giudice "creativo" - leggi: che viola le norme per legittimare ciò che alcune lobby vogliono - viene ovviamente esaltato. Già questo la dice lunga sul clima che si respira in Italia, c'è una cappa totalitaria che ci riporta alle atmosfere degli anni '70, quando il pensiero unico si diffondeva con la forza e i grandi giornali, con i loro intellettuali in testa, si mettevano al servizio di un'ideologia assassina. Non per niente Repubblica ha dato massimo risalto e si è unita agli attacchi contro il giudice Deodato. Seguita a ruota da Corriere, Stampa e così via: tutti a far da amplificatori all'ideologia che sembra aver vinto.
Ma nella critica a Deodato va colto soprattutto un aspetto: il pregiudizio per cui essere cattolici è "un di meno", non dà diritto a una piena cittadinanza, sicuramente rende incapaci di giudicare. È questa la vera discriminazione: un cattolico, per definizione, non può dire nulla nella gestione della cosa pubblica, secondo Repubblica & co. Guai se un cattolico pretende che la fede sia criterio di giudizio per tutto, anche per i problemi del proprio Paese o del mondo intero. Non gli si riconosce il diritto di esistere.
Non stupisce: Repubblica - ma anche i suoi colleghi milanese e torinese - persegue la rovina della Chiesa cattolica, l'eliminazione di ogni traccia del cristianesimo nella società; vogliono l'annientamento della Chiesa, la sua riduzione a insignificanza. E guarda caso sono gli stessi quotidiani che hanno seguito con grande attenzione il Sinodo, facendo un tifo sfegatato per una parte, fino a falsificarne l'esito. Non è schizofrenia ma coerenza.
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