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Mentre l'attentato terroristico di Parigi ha scosso tutto l'Occidente quello di martedì sera a Yola, in Nigeria, ha trovato spazio in pochi trafiletti di giornale. Eppure sono morte oltre 30 persone, mentre circa un centinaio sono rimaste ferite. Mercoledì sera altre cinque persone sono state uccise da esplosioni a Kano, nel nord-est del paese. «I morti e continuano a crescere da sei anni a questa parte. Ma l'Occidente ha taciuto prima e tace anche ora», spiega tempi.it padre Peter Kamai, rettore del seminario di Jos, nella diocesi nigeriana di Jalingo.
È dal 2009 che il Nord Est della Nigeria convive con omicidi, rapimenti e attentati rivendicati dai jihadisti di Boko Haram legati all'Isis. Ormai hanno ucciso oltre duemila persone, eppure la comunità internazionale tace. Come mai?
Quello che è accaduto a Yola è quello che accade continuamente da sei anni in Nigeria, da quando Boko Haram ha cominciato ad espandersi seminando il terrore per prendere il potere ed imporre la sharia in Nigeria. Anche perché il governo, molto debole e incapace di risposte efficaci, è stato abbandonato dalla comunità internazionale. Siamo scandalizzati, perché l'Europa sembra non accorgersi dell'evidenza, della portata del fondamentalismo islamico che per essere vinto va combattuto ovunque. È semplice comprendere che la matrice degli attentati parigini, mediorientali e africani è la stessa: Boko Haram ha detto chiaramente di essere affiliata all'Isis.
Come reagisce il popolo nigeriano all'odio dei terroristi?
Prima di tutto bisogna capire che Boko Haram sta crescendo ed è sempre più forte grazie all'Isis che lo finanzia con soldi e armi. Ma di fronte a questo fatto l'Europa dà risposte di facciata che non servono a nulla. Questo succede perché si illude che l'Africa sia lontana e che quello che stiamo subendo noi non abbia ricadute da voi. Pensavo che Parigi avesse smascherato l'illusione, invece, anche dopo l'ultimo attentato in Nigeria, regna il silenzio. Siamo scandalizzati dall'Occidente che tace di fronte a paesi che subiscono continuamente quello che ha subìto Parigi. Credo che se aveste reagito prima non saremmo a questo punto di espansione dell'Isis.
Come si risponde?
Bisogna combattere sullo stesso piano loro, con le armi, i soldi e le tattiche antiterrorismo, supportando il governo nigeriano che da solo non riesce a reagire. Il terrorismo va fermato così ovunque.
È favorevole alla guerra?
Non è un problema di decidere se fare la guerra: la guerra, come ha detto il Santo Padre, c'è già. La "terza guerra mondiale" è già in atto. Ripeto, mi meraviglio che l'Occidente non se ne renda ancora conto.
In Occidente, da più parti, si dice che è la religione a essere all'origine della violenza.
Il problema non è religioso, ma di chi usa la religione per giustificare cose atroci. Se diamo la colpa alla religione commettiamo un errore peggiore. La guerra si vince con la vera fede, pregando, rispondendo al male con il bene, amando e perdonando, come fa Gesù Cristo. Lui ci ha mostrato che questa è la via per la vittoria e Gesù non ci inganna. E anche se moriamo non ho paura perché gli credo. Lui ha detto: «Ho vinto il mondo».
Prima dice che bisogna fare la guerra, poi che bisogna porgere l'altra guancia. Come concilia le due cose?
Noi non attacchiamo, ma se siamo attaccati abbiamo il dovere di difendere i doni di Dio. La vita, la creazione, l'amore non sono nostri e se vengono attaccati dobbiamo difenderli. Per questo la dottrina della Chiesa parla di "guerra giusta". Questo non significa non amare il proprio vicino o non sconfiggere la paura e la diffidenza rispondendo ogni giorno con atti d'amore e mostrando la nostra fede.
In questi giorni un filosofo francese, Fabrice Hadjadj, ha scritto: «Poiché questa vita è ferita all'origine, continuamente attaccata dal maligno, bisogna lottare per il dono, combattere per la comunione, prendere il gladio per estendere il Regno dell'amore». Poi ha accusato l'Europa di timidezza.
Infatti il problema non è sola la miopia che non vi fa vedere i migliaia di musulmani in Europa pronti a farsi esplodere, ma la vostra tiepidezza. Accettate l'aborto, l'omosessualità, l'eutanasia, senza reagire. Chi non combatte contro queste cose è un cristiano solo di nome, perché Dio ci ha detto che il suo progetto è quello dell'uomo e la donna che si uniscono e generano la vita. Quindi essere cristiani in questo mondo non può evitarci di andare controcorrente. Gesù ci ha detto di condannare il male e di non temere: ha chiamato beati i perseguitati a causa della giustizia, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
Il cristiano deve aspettare il Regno dei Cieli per godere la vittoria?
Il seminario che dirigo conta 400 seminaristi contenti di dare la vita a Cristo. Chiedono di entrare dicendo di voler servire la Chiesa e di volerla proteggere. Le chiese sono sempre più piene e la gente partecipa alle Messe anche a rischio della propria vita. Questa è tutta grazia che rende evidente che la Chiesa si costruisce con il sangue dei martiri.
Non temete di essere attaccati e alla fine distrutti per le vostre posizioni?
Quando si vive la fede senza compromessi non si perde nulla, perché Dio ti benedice. Il popolo cristiano cresce e se anche perdiamo fondi dall'Europa e da chi ci ricatta per le posizioni della Chiesa sull'aborto e l'ideologia omosessuale rimaniamo fedeli al Vangelo. E la provvidenza non ci ha mai fatto mancare una volta il suo aiuto. Anche questo ce lo ha detto Gesù: non si può servire Dio e mammona e se si sceglie il regno di Dio tutto il resto vi sarà dato in più. Ciò che dice Gesù va messo in pratica e per noi è carne, sangue, ossa. Bisogna cominciare a prenderlo sul serio per vedere che non ci inganna mai.
Nota di BastaBugie: l'articolo pubblicato su Tempi il 18 novembre 2015 dal titolo "Se non riscopriamo la virilità guerriera della vita cristiana, perderemo contro l'islamismo", ben spiega che i terroristi stanno vincendo la guerra in atto non per la loro abilità militare, ma per la forza morale. Dobbiamo reagire ritrovando la nostra virilità di cristiani.
Ecco l'articolo completo:
«Se non riscopriremo la virilità guerriera della vita cristiana, perderemo contro l'islamismo, dal punto di vista spirituale e materiale». All'indomani della strage di Parigi, il filosofo francese Fabrice Hadjadj ha scritto per Famille Chrétienne una tribuna, che è una vera e propria chiamata alle armi.
La Francia (ma si potrebbe anche parlare di Occidente), esordisce Hadjadj, non ha perso la sua battaglia contro l'Isis nel momento in cui gli attentatori si sono fatti saltare in aria. La guerra l'aveva già persa da tempo: «Noi ci eravamo rammolliti, avevamo perso ogni virilità, ridotti allo stato di bambini viziati, di marionette preoccupate dal nostro cardiogramma, pupazzi consumatori di pornografia». Addormentati «nel conforto e nel successo», ci siamo accontentati «di una pace imposta», poco importa «a quale prezzo di devastazione e "danni collaterali"».
Pur avendola scansata in ogni modo, «la guerra ci ha raggiunto. Questo è già qualcosa se vogliamo risvegliarci. Ma noi vinceremo questa guerra? Combatteremo la "buona battaglia", secondo l'espressione di san Paolo?». La vita cristiana, insiste il filosofo, «è dominata dalla figura dell'amore, del fratello, del figlio, di chi dialoga e compatisce. Ma noi non possiamo più nascondere la dimensione del guerriero. Il guerriero le cui armi sono prima di tutto spirituali, ma non solo. (...) La vita è comunione prima di essere guerra, dono prima di essere lotta. Ma poiché questa vita è ferita all'origine, continuamente attaccata dal Maligno, bisogna lottare per il dono, combattere per la comunione, prendere il gladio per estendere il Regno dell'amore».
Hadjadj non invoca una nuova crociata, ma invita a riscoprire una dimensione ormai dimenticata del cristianesimo, «ridotto a consigli gentili di morale civica». «Qual è il vero campo di battaglia?». Ce lo insegna lo stesso Stato islamico: «Alcuni ci vorrebbero far credere che la forza dei terroristi di venerdì 13 scorso consiste nell'essere stati addestrati, formati nei campi di Daesh». Ma non è così. La «forza di distruzione» dei terroristi islamici, «pronta a esplodere in qualunque momento e luogo, non è la loro abilità militare, ma la forza morale».
Cosa abbiamo noi da «opporre»? Oggi i nostri «valori» possono al massimo «riunire un esercito di consumatori» ma la vera sfida è quella di «una fede che sa affermare un vero martire - contro la parodia diabolica del martire che è un attentatore suicida». «Il comunicato di Daesh - conclude il filosofo - che rivendica "l'attacco benedetto" parla di Parigi come della capitale "che porta la bandiera della croce in Europa". Quanto mi piacerebbe che fosse così. La guerra è qui: nel coraggio di avere una speranza così forte che ci renda in grado di dare la vita».
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