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Entra nel vivo la mobilitazione del comitato No Triv. Non c'è social network che non sia invaso dalla campagna referendaria, quasi sempre a favore del Sì (per uno dei paradossi referendari, la campagna dei No Triv è quella del Sì). A volte si tratta di una campagna anche molto greve, come il meme digitale "Trivella tua sorella", con immagine esplicita annessa, poi sospeso l'altro ieri con mille scuse dall'agenzia Be Shaped.
Il 17 aprile prossimo si voterà al referendum sulle trivelle: ai cittadini verrà chiesto se vorranno che vengano fermati i 21 giacimenti in attività nelle acque italiane, entro le 12 miglia dalla costa, quando saranno scadute le concessioni. In pratica, per motivi ambientali, si vuole fermare lo sfruttamento delle riserve di gas sui fondali marittimi italiani giudicati troppo vicini alle coste e dunque dannosi per l'ambiente e per la salute. Nel caso vincesse il Sì al referendum, nell'arco di 5, o 10 anni al massimo, quando scadranno le ultime concessioni, queste non verranno rinnovate. Anche se ci fosse ancora del gas da estrarre, l'Eni dovrebbe lasciarlo lì dove è, sotto il fondale marittimo.
IL QUESITO SEMBRA SEMPLICE E L'ESITO PARE SCONTATO, MA...
Sembra semplice, ma non lo è, perché l'informazione di questi ultimi mesi ha creato un caos difficile da districare. Di fatto sono passate nell'opinione pubblica idee completamente diverse sul senso del voto. Si parla di petrolio, ma i giacimenti in questione sono soprattutto di gas. Si dice "niente nuove trivelle", ma il quesito riguarda quelle vecchie già funzionanti da un trentennio a questa parte. E nemmeno tutte, perché su 106 impianti in acque italiane, solo 21 saranno condizionati dal voto, quelli, appunto, entro le 12 miglia marittime. Infine si discute molto su possibili scempi ambientali che non ci sono, né ci saranno in futuro: nessuno vuole costruire impianti petroliferi sulle isole Tremiti, al massimo era in discussione l'esplorazione dei fondali, ma non se ne fa più nulla perché la compagnia interessata vi ha rinunciato.
La sproporzione di forze fra Sì e No è notevole, perché il comitato della campagna per il Sì è una squadra bipartisan, agguerrita, sostenuta dalle giunte di ben dieci regioni marittime: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna e Veneto. A cui vanno aggiunti le potenti associazioni ambientaliste Greenpeace e WWF, che già stanno usando la loro potenza di fuoco mediatica a favore del Sì. Il comitato per il No, al contrario, che si è battezzato "Ottimisti e razionali" è decisamente meno visibile sia nei media che nei social network. L'unico vero pensiero dei No Triv è la data del referendum, che cadrà a meno di un mese dalle prossime elezioni amministrative. Quindi i No Triv corrono il rischio che gli italiani non vadano a votare per due volte di fila.
LA BATTAGLIA DEI NO TRIV PARREBBE DETTATA DAL SEMPLICE BUON SENSO E INVECE...
A nessuno piace avere un impianto di estrazione del gas davanti alla finestra della propria casa al mare. Ma è un buon senso solo apparente. Lo dimostra il caso dell'Emilia Romagna, una delle regioni marittime che non ha aderito al comitato dei No Triv. Ospita due degli impianti in discussione, ma non ha mai subito danni al turismo, che è cresciuto di pari passo con l'industria estrattiva. In compenso, la chiusura degli impianti metterebbe a rischio migliaia di posti di lavoro nei prossimi anni: nel settore sono impiegate 7mila persone nella sola provincia di Ravenna. I No Triv parlano di possibili disastri che non ci sono. L'Istituto Superiore della Protezione Ambientale ha dimostrato che non si registrano dati sull'inquinamento particolarmente preoccupanti (nonostante Greenpeace faccia campagna soprattutto su questo punto), ma soprattutto che non esiste alcun terremoto artificiale causato dall'estrazione del gas. Non c'è mai stato, nella nostra storia, un solo sisma provocato dalle trivelle, la stessa conformazione del fondale marittimo non lo rende possibile: sedimenti, sabbie e argille non si rompono, ma si deformano plasticamente a seguito dell'estrazione. I promotori del referendum sono contrari all'inquinamento e promuovono un'energia pulita. Per questo parlano soprattutto di "petrolio" e genericamente di "combustibili fossili", ma l'oggetto del contendere, in questo caso, è il gas. E il gas metano è, a tutti gli effetti, energia pulita.
Se si rinunciasse all'estrazione al largo delle coste, l'Italia dovrebbe compensare con l'importazione di maggiori quantità di gas dall'estero, dall'Algeria soprattutto, ma anche da aree di crisi come la Libia alle prese con la sua guerra civile o dalla Russia, ma attraverso l'Ucraina in guerra. Cambierebbe poco, a dire il vero, negli equilibri generali del nostro paese, perché il gas estratto in Italia copre appena l'11,5% del fabbisogno nazionale. Ma di questo 11,5%, il 7,8% è estratto in mare. Impedire il rinnovo delle concessioni andrebbe ad incidere su quest'ultima percentuale, in una misura che né i comitati del Sì, né quelli del No hanno finora pubblicato.
SOLO UN PRIMO PASSO
In generale, però, ad essere praticamente impercorribile è il progetto di fondo dei No Triv: sostituire i combustibili fossili con fonti rinnovabili. La battaglia contro le trivelle appare solo un primo passo, ma poi ne seguiranno tante altre, fino alla rinuncia completa di gas e petrolio. Ciò vuol solo dire: rinunciare a una fonte certa per una incerta. Le rinnovabili sono ancora una strada in salita, tutta da percorrere, che non sta sul mercato senza ingenti incentivi statali. Né l'eolico, né il fotovoltaico hanno dimostrato di poter soddisfare il fabbisogno energetico tanto quanto le fonti tradizionali che usano combustibili fossili (e meno ancora rispetto a quel che potrebbe produrre il nucleare). L'eolico, poi, richiede campi di enormi pale eoliche, che sono un pugno nell'occhio tanto quanto le trivelle al largo delle proprie coste. Corriamo dunque il rischio di recidiva: una volta completato il passaggio dalla vecchia alla nuova energia, si potrebbe tornare al voto per dire "No Pale".
Nota di BastaBugie: Riccardo Cascioli nell'articolo sottostante dal titolo "Se anche le trivelle sono una priorità per la Chiesa" in cui si sottolineano le prese di posizione di monsignor Nunzio Galantino, segretario della CEI.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La nuova Bussola Quotidiana il 19-03-2016:
Era appena ieri che in un editoriale firmato da Robi Ronza, prendendo spunto dalla prolusione del cardinale Angelo Bagnasco al Consiglio Permanente della CEI si auspicava una forte iniziativa dei vescovi italiani a favore della famiglia. Come non detto. Ieri, il comunicato finale dei lavori della CEI ha spiegato molto bene che dal punto di vista sociale, le priorità dei vescovi italiani sono altre: i migranti e le trivelle. Di famiglia e inverno demografico, ci informa il comunicato, si è parlato nel corso del Consiglio permanente e monsignor Nunzio Galantino, segretario della CEI, nella conferenza stampa di ieri ha riferito di un invito al governo italiano a occuparsi della famiglia, ma ormai sa un po' di qualcosa di rituale, qualcosa che si deve dire per obbligo di ufficio. Ma i veri interessi sono altri.
Per quanto riguarda gli immigrati - a cui è dedicato il capitolo più ampio del Comunicato finale - c'è un reale coinvolgimento della Chiesa italiana e non certo da oggi. Ventimila persone sono accolte nelle strutture ecclesiali italiane - afferma la CEI -, un quinto dell'intero sistema di accoglienza in Italia e si tratta di un impegno che punta all'integrazione. I vescovi mettono anche in rilievo un problema abbondantemente sottovalutato, quello dei minori non accompagnati. Detto questo, però, la posizione della Chiesa italiana sembra giocarsi sempre all'interno di uno schema fin troppo semplicistico: muri contro accoglienza. Da cui l'ovvia conclusione: non dobbiamo costruire muri ma proporre percorsi di integrazione. E guai alla «selezione per nazionalità» ventilata da qualcuno.
La realtà però, come abbiamo spiegato molte volte, è decisamente più complessa e non si risolve con facili schematismi. Proprio oggi pubblichiamo un articolo che dà conto delle previsioni degli sbarchi in Italia previsti per quest'anno: 450mila persone, e stiamo parlando di immigrazione irregolare. La stragrande maggioranza di queste persone in base al diritto internazionale non ha diritto allo status di rifugiato, non fugge da guerre o persecuzioni. Ovviamente fugge da situazioni difficili, talmente difficili da affrontare viaggi rischiosissimi, ma in queste situazioni in Africa ci sono purtroppo centinaia di milioni di persone.
Quando parliamo di porte aperte a tutti, nessuna selezione, nessun filtro, solo processi di integrazione, è questi numeri che dovremmo avere in mente. Significa porre le basi per il caos prossimo venturo, non solo in Europa. Perché alla fine a scappare dai propri paesi sono i più giovani e quelli che se lo possono permettere, essendo che i passaggi per l'Europa sono ben costosi: vale a dire fuggono le forze che sono la principale speranza di sviluppo per l'Africa. E questo senza neanche contare che incentivare l'immigrazione irregolare e selvaggia equivale a ingrassare la criminalità organizzata e il terrorismo fondamentalista, che di questi traffici si nutrono.
Se sul tema delle migrazioni si può parlare di veduta parziale, sul fronte trivelle si raggiungono toni surreali.
In riferimento al referendum fissato per il 17 aprile, circa il rinnovo (o meno) delle concessioni per una ventina di piattaforme marine già esistenti, ieri mattina un editoriale di Avvenire aveva già schierato la Chiesa italiana con i "no triv", facendo discendere questa posizione direttamente dall'enciclica Laudato si' e dall'esortazione apostolica di papa Francesco Evangelii Gaudium: «La difesa di 'nostra matre Terra' è tutt'uno con la condanna dell'economia che 'uccide' della Evangelii gaudium», dice Avvenire.
Ora, tenendo conto della realtà effettiva delle trivellazioni in mare e il quesito referendario posto agli italiani [...] siamo davanti a un insulto al buon senso. Far discendere dal dovere di custodire il creato l'obbligo immediato di rinunciare al gas come fonte energetica è la forma peggiore di integralismo. Guarda caso, coloro che rifiutano anche la sola idea che vita, famiglia e libertà di educazione possano essere definiti princìpi non negoziabili, poi diventano assolutamente intransigenti in materie decisamente opinabili.
Si "dialoga" sulle unioni civili, non si deve giudicare sull'eutanasia, [...] ma guai a chi è a favore delle trivellazioni per garantire almeno un po' di gas (e anche posti di lavoro). Nella solita conferenza stampa, Galantino ha chiaramente lasciato intendere di condividere la posizione di Avvenire (e non sorprende visto che è lui a dettare la linea), ma ha dovuto spiegare un comunicato della CEI decisamente più prudente: segno che nel Consiglio permanente c'è stato qualche vescovo che ha imposto almeno un minimo di buon senso. Il dovere che discende dall'enciclica papale infatti, spiega il comunicato, si limita (e comunque non è poco) al dibattere del tema trivelle in tutte le comunità. Ed è solo l'inizio, ha aggiunto Galantino, perché «domani ci sarà il problema del nucleare e poi altri ancora». C'è il fondato rischio che prossimamente chi entrerà in parrocchia penserà di essere capitato nella sede di Legambiente.
Comunque, visto che sul nucleare c'è già stato un referendum recente e che quindi l'Italia per molti anni non ne parlerà più, suggeriamo un altro tema di estrema attualità: l'inefficienza di quell'energia solare a cui - stando ai nostri vescovi - dovremmo convertirci rapidamente chiudendo i rubinetti del gas e del petrolio. È di questi giorni infatti la notizia che due mega-progetti mondiali di energia solare, in Spagna e in California, malgrado ingenti sussidi statali stanno andando in bancarotta.
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