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In un mondo in cui la comunicazione di massa punta sempre meno a informare e sempre più a fare spettacolo, la morte di un celebre uomo di teatro come Dario Fo, spentosi ieri a Milano all'età di novant'anni, ha dato inevitabilmente il via a un grande processo istantaneo di santificazione "laica". Un coro in cui ancora una volta alle voci degli aventi titolo si è aggiunto anche quello del mondo cattolico più subalterno alla cultura dominante.
Dario Fo era un famoso autore e attore di teatro per meriti che è giusto e doveroso riconoscergli. Non c'è però per questo bisogno di ribattezzarlo post mortem facendo di lui il cristiano inconsapevole o involontario che comunque non è mai stato. Non sappiamo beninteso che cosa abbia pensato e voluto alla fine della sua vita terrena, e anche per simpatia per la sua arte speriamo il meglio per lui. Restando però alla memoria e all'opera che lascia su questa terra mancheremmo di rispetto alla sua persona e alla sua libertà se dicessimo che è stato ciò che non fu affatto.
L'ODIO PER LA CHIESA
Al di là dei suoi molti ondeggiamenti, l'odio per la Chiesa e per la sua presenza nella storia fu sempre la vera stabile stella polare del suo pensiero e del suo teatro. Anche quando gli faceva gioco indulgere a simpatie per modi e fatti della religiosità popolare, o per singole grandi personalità religiose, non dimenticava mai di ribadire, con gesti e parole da par suo, che ai suoi occhi si trattava comunque di fiori sbocciati nel letame. C'è sempre qualcosa di patetico, ma non per questo di meno irritante, nel costante desiderio di un certo mondo cattolico di scovare dappertutto e a tutti i costi dei cristiani per così dire loro malgrado. Non ne hanno bisogno loro, e non ne abbiamo bisogno nemmeno noi.
Dire, come ahimè è stato detto nientemeno che da Assisi, che la sua era una "voce francescana" fa accapponare la pelle. Forse era in certo modo erede dei "poveri" o "poverelli", gli eretici contemporanei di san Francesco, ma di lui no di certo. E in più con la differenza che la scelta per la povertà di quegli eretici era reale, mentre quella di Fo, persona cui il grande successo aveva anche dato grande ricchezza, risultava del tutto teorica. D'altra parte nella sua opera l'intreccio fra l'arte, la realtà e l'ideologia è inestricabile.
UN GIULLARE SCHIERATO NON CON IL POPOLO MA CON IL RE
Senza dimenticare che era sì un giullare come egli stesso con grande snobbbismo rivendicava di essere, ma in effetti, diversamente da quanto pretendeva, un giullare schierato non con il popolo ma con il re. Beninteso non con i re di una volta ma con il re di oggi, ovvero con l'alta borghesia e l'intellighenzija progressiste, le vere "razze padrone" del nostro tempo. Ci riusciva alla perfezione, al punto da trarne come si vede pure grandi frutti postumi. Grande era poi la sua capacità di riraccontarsi fino a far credere vero il passato che s'inventava non solo agli altri ma persino a se stesso. Come antifascista la sua era per così dire una... vocazione tardiva.
Aveva tra l'altro prestato servizio in un reparto di paracadutisti della Repubblica Sociale Italiana per la quale si era schierato. Questo non gli aveva impedito di diventare poi a guerra finita un campione dell'antifascismo, sempre pronto a mettere alla berlina da par suo il vecchio regime e i fascisti ormai sconfitti. Con la protezione dei partiti e della cultura di sinistra che, in cambio di alcune sue indulgenze, impedivano che quel voltafaccia fosse generalmente noto.
Grazie alla sua ben controllata anarchia e al suo tendenziale protestantesimo, riuscì a raccogliere non solo in patria ma anche altrove tutte le simpatie che gli valsero un riconoscimento internazionale tanto prestigioso quanto sorprendente: il Nobel per la letteratura, che al momento parve a molti fuori luogo ma che oggi, alla notizia che Bob Dylan riceverà quest'anno il medesimo premio, appare profetico se non altro dell'ormai mutato carattere di tale prestigioso riconoscimento.
Nota di BastaBugie: Gianandrea de Antonellis nell'articolo sottostante dal titolo "Dario Fo, le sue opere sono armi di propaganda" ricorda Fo come autore mediocre che deve tutta la sua fama al suo attivismo politico nell'estrema sinistra. Non c'è una sola sua opera che tenga, se si toglie il suo connotato propagandistico. Le sue opere, oggi applaudite anche da critici cattolici, non sono comprensibili se non come opere anticlericali.
Ecco dunque l'articolo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 15-10-2016:
È morto Dario Fo, ed ora ci aspetta un profluvio di lacrime istituzionali ed una santificazione laica dell'attore lombardo. Ho scritto attore e non autore, perché Fo fu essenzialmente un interprete, le cui capacità di muoversi sul palcoscenico superano di gran lunga quelle di drammaturgo. [...]
La designazione di Dario Fo da parte dell'Accademia svedese fu dovuta a "meriti" più politici che letterari: non a caso, Alessandro Zaccuri, nel suo ricordo odierno sul sito di Avvenire, sostiene che «Nel 1997, per una volta, il Nobel andò non a uno scrittore in senso tradizionale, ma quello che tecnicamente si potrebbe definire un performer». Infatti, sicuramente Fo era un grande uomo di teatro, un vero mattatore del palcoscenico (che però si confrontava quasi esclusivamente con propri testi), ma se andiamo a leggere i suoi drammi ci troviamo obbiettivamente di fronte a lavori tutto sommato modesti.
Cosa è, anzi, cosa diventa, ad esempio, Mistero buffo, senza la sua interpretazione (e a parte i plagi che sono stati evidenziati nella stesura)? Che cosa rimane di Morte accidentale di un anarchico, la cui lettura è a dir poco estenuante - oltre che fastidiosa, se si pensa che contribuì a rinfocolare il clima d'odio nei confronti del commissario Luigi Calabresi, che finì assassinato da un commando di Lotta continua?
La politica è il filo rosso che attraversa la produzione di Fo: se togliamo questa, di puramente artistico resta ben poco. Anche nelle farse come Settimo: ruba un po' meno, le battute migliori vengono da una satira politica di grana grossa, che ai nostri tempi potrebbe essere degna più di uno spettacolo da cabaret (alla Zelig, per intenderci) che di una rappresentazione teatrale.
Coerentemente, appena ricevuto il Nobel, Fo dichiarò che avrebbe usato il denaro del premio per allestire uno spettacolo in difesa di Sofri e compagni (Marino libero! Marino è innocente!), attaccando vergognosamente Leonardo Marino, l'unico vero "pentito" della storia giudiziaria italiana (nel senso che si pentì ed andò a confessare la propria partecipazione all'omicidio Calabresi da un prete, il quale gli impose come penitenza di costituirsi) e dandogli del bugiardo e prezzolato. Nonostante l'immediata trasmissione televisiva e la pubblicazione presso Einaudi, la rappresentazione non ebbe il successo sperato (memorabile fu l'interruzione delle prove da parte di alcuni punk-bestia, che rivolsero all'attore e alla sua compagna di vita e di palcoscenico Franca Rame l'epiteto di "fascisti", forse edotti della giovanile militanza nella Repubblica Sociale, che Fo ha cercato inutilmente di nascondere).
Da sempre dichiaratosi di estrema sinistra - naturalmente una sinistra al caviale, tanto che si diceva che in casa venisse servito da un maggiordomo in guanti bianchi -, attivista di Soccorso Rosso Militante in difesa di criminali comunisti ed extraparlamentari (come Achille Lollo, l'autore del rogo di Primavalle), Dario Fo ha utilizzato le proprie opere come arma di propaganda. Una propaganda molto ben riuscita, visto che anche molti cattolici sembrano dimenticare la furia anticattolica del suo Mistero buffo. [...]
Tra le sue ultime "opere" troviamo Lu santo jullare Francesco (1999), un "omaggio" al preteso carattere rivoluzionario della santità francescana, visto quasi come una continuazione del più noto Mistero buffo, scritto nel 1969 e sul quale obbiettivamente Fo ha campato di rendita per quasi cinquant'anni. Ormai, dati i tempi ed il cambiamento della società, lo scandalo che aveva potuto suscitare una pièce come Mistero buffo non era più pensabile, ma anche nell'ultimo lavoro venivano ripetuti luoghi comuni molto utili alla propaganda anticattolica: far passare San Francesco come un rivoluzionario, evidenziandone solamente il lato materiale e nascondendo totalmente quello spirituale, come se il poverello di Assisi non avesse ricevuto le stimmate e non avesse parlato con Dio, ma fosse stato un qualsiasi prete operaio o teologo della liberazione ante litteram.
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