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Abbiamo constatato un grave smarrimento di molti fedeli e una grande confusione, in merito a questioni assai importanti per la vita della Chiesa. Abbiamo notato che anche all'interno del collegio episcopale si danno interpretazioni contrastanti del capitolo ottavo di "Amoris laetitia".
La grande Tradizione della Chiesa ci insegna che la via d'uscita da situazioni come questa è il ricorso al Santo Padre, chiedendo alla Sede Apostolica di risolvere quei dubbi che sono la causa di smarrimento e confusione.
Il nostro è dunque un atto di giustizia e di carità.
Di giustizia: colla nostra iniziativa professiamo che il ministero petrino è il ministero dell'unità, e che a Pietro, al Papa, compete il servizio di confermare nella fede.
Di carità: vogliamo aiutare il Papa a prevenire nella Chiesa divisioni e contrapposizioni, chiedendogli di dissipare ogni ambiguità.
Abbiamo anche compiuto un preciso dovere. Secondo il Codice di diritto canonico (can. 349) è affidato ai cardinali, anche singolarmente presi, il compito di aiutare il Papa nella cura della Chiesa universale.
Il Santo Padre ha deciso di non rispondere. Abbiamo interpretato questa sua sovrana decisione come un invito a continuare la riflessione e la discussione, pacata e rispettosa.
E pertanto informiamo della nostra iniziativa l'intero popolo di Dio, offrendo tutta la documentazione.
Vogliamo sperare che nessuno interpreti il fatto secondo lo schema "progressisti-conservatori": sarebbe totalmente fuori strada. Siamo profondamente preoccupati del vero bene delle anime, suprema legge della Chiesa, e non di far progredire nella Chiesa una qualche forma di politica.
Vogliamo sperare che nessuno ci giudichi, ingiustamente, avversari del Santo Padre e gente priva di misericordia. Ciò che abbiamo fatto e stiamo facendo nasce dalla profonda affezione collegiale che ci unisce al Papa, e dall'appassionata preoccupazione per il bene dei fedeli.
LETTERA AL PAPA
Beatissimo Padre,
a seguito della pubblicazione della Vostra Esortazione Apostolica "Amoris laetitia" sono state proposte da parte di teologi e studiosi interpretazioni non solo divergenti, ma anche contrastanti, soprattutto in merito al cap. VIII. Inoltre i mezzi di comunicazione hanno enfatizzato questa diatriba, provocando in tal modo incertezza, confusione e smarrimento tra molti fedeli.
Per questo, a noi sottoscritti ma anche a molti Vescovi e Presbiteri, sono pervenute numerose richieste da parte di fedeli di vari ceti sociali sulla corretta interpretazione da dare al cap. VIII dell'Esortazione.
Ora, spinti in coscienza dalla nostra responsabilità pastorale e desiderando mettere sempre più in atto quella sinodalità alla quale Vostra Santità ci esorta, con profondo rispetto, ci permettiamo di chiedere a Lei, Santo Padre, quale supremo Maestro della fede chiamato dal Risorto a confermare i suoi fratelli nella fede, di dirimere le incertezze e fare chiarezza, dando benevolmente risposta ai "Dubia" che ci permettiamo allegare alla presente.
Voglia la Santità Vostra benedirci, mentre Le promettiamo un ricordo costante nella preghiera.
I DUBIA PRESENTATI AL PAPA
1. Si chiede se, a seguito di quanto affermato in "Amoris laetitia" nn. 300-305, sia divenuto ora possibile concedere l'assoluzione nel sacramento della Penitenza e quindi ammettere alla Santa Eucaristia una persona che, essendo legata da vincolo matrimoniale valido, convive "more uxorio" con un'altra, senza che siano adempiute le condizioni previste da "Familiaris consortio" n. 84 e poi ribadite da "Reconciliatio et paenitentia" n. 34 e da "Sacramentum caritatis" n. 29. L'espressione "in certi casi" della nota 351 (n. 305) dell'esortazione "Amoris laetitia" può essere applicata a divorziati in nuova unione, che continuano a vivere "more uxorio"?
2. Continua ad essere valido, dopo l'esortazione postsinodale "Amoris laetitia" (cfr. n. 304), l'insegnamento dell'enciclica di San Giovanni Paolo II "Veritatis splendor" n. 79, fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa, circa l'esistenza di norme morali assolute, valide senza eccezioni, che proibiscono atti intrinsecamente cattivi?
3. Dopo "Amoris laetitia" n. 301 è ancora possibile affermare che una persona che vive abitualmente in contraddizione con un comandamento della legge di Dio, come ad esempio quello che proibisce l'adulterio (cfr. Mt 19, 3-9), si trova in situazione oggettiva di peccato grave abituale (cfr. Pontificio consiglio per i testi legislativi, Dichiarazione del 24 giugno 2000)?
4. Dopo le affermazioni di "Amoris laetitia" n. 302 sulle "circostanze attenuanti la responsabilità morale", si deve ritenere ancora valido l'insegnamento dell'enciclica di San Giovanni Paolo II "Veritatis splendor" n. 81, fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa, secondo cui: "le circostanze o le intenzioni non potranno mai trasformare un atto intrinsecamente disonesto per il suo oggetto in un atto soggettivamente onesto o difendibile come scelta"?
5. Dopo "Amoris laetitia" n. 303 si deve ritenere ancora valido l'insegnamento dell'enciclica di San Giovanni Paolo II "Veritatis splendor" n. 56, fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa, che esclude un'interpretazione creativa del ruolo della coscienza e afferma che la coscienza non è mai autorizzata a legittimare eccezioni alle norme morali assolute che proibiscono azioni intrinsecamente cattive per il loro oggetto?
Nota di BastaBugie: Benedetta Frigerio nell'articolo sottostante dal titolo "Dubia, appello lecito per salvare anime" parla del dibattito su Amoris Laetitia e sui dubia dei cardinali intervistando il teologo Woodall.
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 20 novembre 2016:
"Nessuno può porsi al di sopra del Vangelo". Così George Woodall, professore di teologia morale e di bioetica alla Regina Apostolorumdi Roma, spiega alla Nuova BQ perché è importante porre un freno a quelle interpretazioni dell'esortazione apostolica "Amoris Laetitia" in contrasto con l'insegnamento millenario della Chiesa cattolica. Confermando la confusione generale in merito al testo, Woodall apprezza l'appello dei quattro cardinali che hanno sollevato dei dubbi in merito chiedendo al papa di ribadire pubblicamente la dottrina.
Sia i quattro cardinali sia altri teologi e sacerdoti da noi intervisti hanno parlato di una confusione dilagante fra i fedeli e i sacerdoti circa l'interpretazione dell'A.L. Conferma?
Questa confusione preoccupante è un dato assolutamente reale. Posso poi sostenere che sia nel mio ruolo di professore sia di pastore riscontro una crescente divisione alimentata da questa confusione. Perciò penso che l'intervento dei cardinali a precisare i loro dubbi sia un atto di carità lecito e anche giusto nei confronti del Santo Padre, il quale, è bene ricordare, ha il compito di custode della dottrina.
Perché intervenire pubblicamente se il papa stesso non ha ritenuto opportuno rispondere ai cardinali nemmeno in forma privata?
Questa domanda è da rivolgere a loro, ma penso che proprio la preoccupazione per una giusta pastorale necessiti un intervento. Si sente il bisogno di una parola chiara che spazzi via ogni ambiguità ribadendo una volta per tutte che l'unica ermeneutica è quella della tradizione.
Il papa ha la preoccupazione di non far sentire nessuno escluso, per questo, dice spesso lui stesso, non sopporta la rigidità sulla dottrina. Cosa ne pensa?
Confesso la gente nella parrocchia in cui abito, mi incontro con altri sacerdoti e con gli studenti e quello che vedo, lo ripeto, è un caos e una divisione crescenti. Ciò che il papa vuole fare con l'AL è chiaro: si capisce che vuole raggiungere le persone in difficoltà per integrarle e accoglierle nella Chiesa. E' la sua intenzione ed è giusta. Questo però non è in contraddizione con la sequela alla dottrina. Sono stato parroco di un paese per dieci anni, conosco bene questa necessità di inclusione, motivo per cui ho accolto molte coppie di adulteri che si avvicinavano alla Chiesa. E li ho accompagnati, come suggerito dal Magistero, affinché si ravvedessero per accedere ai sacramenti. Non c'è discrepanza fra sequela alla dottrina e una giusta pastorale.
Perché è così grave una prassi in cui si accede alla Comunione in stato di peccato mortale?
Faccio un esempio: il Papa è giustamente duro con i corrotti e i pedofili e non ha neanche istituito un giubileo per loro. Però se una persona corrotta si converte è giusto perdonarla e concederle i sacramenti. Lo stesso vale per un pedofilo pentito che faccia il proposito di non peccare più. E' da tale proposito infatti che si capisce se vuole davvero seguire Cristo e quindi se può riceverle il Suo corpo.
Uno dei quattro cardinali, Raymond Burke, è intervenuto sul National Catholic Register spiegando che ammettere ai sacramenti chi continua a vivere da adultero significa negare o l'indissolubilità del matrimonio o il fatto che la Comunione è realmente il Corpo di Cristo.
In ballo c'è proprio questa grave questione.
Per questo il cardinale parla di una possibile correzione pubblica dell'esortazione in mancanza di una risposta chiarificatrice. Cosa ne pensa?
Se ho capito bene ciò che Burke ha detto e che nel passato ci sono state già altre occasioni in cui i papi sono stati corretti dai cardinali. In questo caso posso confermare la veridicità storica di quanto affermato: si tratta di fatti accaduti in difesa della dottrina cristiana.
Molti, però, sostengono che quello dei cardinali sia un atto contro il papa.
Non è un atto contro il papa, ma un appello lecito al lui, affinché faccia pubblicamente chiarezza su punti fondamentali, di verità e di morale, per la vita della Chiesa e la salvezza delle anime. Concordo anche sul fatto che sia un atto di giustizia, visto che come cristiani siamo tenuti ad essere fedeli a Cristo e al suo Vangelo al di sopra di tutto. Questo vale per ciascun fedele, per il papa, per noi chierici, per i laici: nessuno può porsi al di sopra della tradizione e del Vangelo. E se c'è confusione in merito il primo compito del Santo Padre è quello di unire tutti nella verità del Magistero della Chiesa. Perciò spero che il papa risponda all'appello.
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