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Provo sempre disagio, come tanti, tutti forse, quando vedo in televisione - a volte mi è successo anche di essere io quella che le metteva in video - immagini di persone straniere ammucchiate in condizioni non dignitose, alla ricerca di una vita migliore. Provo disagio, un vago senso di colpa, che di solito liquido con un frettoloso "ma io che posso fare?". Vediamo.
C'è un'altra risposta che ci vuole seguire Cristo si può dare?
Come si pone un cristiano di fronte alle onde di persone che vengono da lontano nel proprio paese in cerca di fortuna, non profughi dalle guerre vere, non le guerriglie intendo (quelli vanno accolti a qualsiasi costo, come in ogni caso in cui l'alternativa è la morte), ma persone che come è normale cercano solo di elevare la propria condizione di vita trasferendosi in zone in cui oggettivamente il livello medio è migliore?
A parte che sarebbe molto interessante capire dove prendano i miei colleghi giornalisti la notizia che queste persone pagherebbero migliaia di dollari per i viaggi della speranza, anche quando provengono da paesi in cui il reddito pro capite è di un dollaro al giorno. A parte che sarebbe interessante capire la questione del racket, a parte molti molti punti oscuri nella vulgata (quanto costa assisterli, cosa vuol dire accoglienza dignitosa, come si può vivere in un contesto culturale estraneo cercando solo di trarne qualche vantaggio materiale ma disinteressandosi o addirittura disprezzando il resto), torno alla domanda centrale. Come si pone un cristiano rispetto a tutto questo?
IL BUON SAMARITANO
Gesù quando spiega cosa vuol dire amare il prossimo fa l'esempio del buon samaritano. Io non sono una biblista, ma ho capito qualche semplice cosa. Il samaritano va da Gerusalemme a Gerico. Sta facendo i fatti suoi, sta curando i suoi affari, e se Gesù lo prende a esempio evidentemente costruire delle cose nel mondo è una cosa buona, curare i propri affari - onestamente, è chiaro - vuol dire costruire il regno di Dio anche su questa terra. Imprese che funzionano sono un bene per tutti, generano lavoro, sono feconde, fecondano il mondo e permettono all'uomo di riprodursi, che è ciò che Dio ci ha invitati a fare nel giardino dell'Eden (la povertà dunque NON è un valore, i mezzi per fare le cose sono una grazia). Il samaritano incontra un uomo ferito. Lo incontra, non lo va a cercare. Però neanche distoglie gli occhi quando la necessità gli si presenta, e questa è sicuramente l'indicazione fondamentale. Anche noi, quando nelle nostre vite - e non guardando i tg dal divano - ci imbattiamo in una necessità, dobbiamo cercare di affrontarla in qualche modo. Ma come?
Il samaritano si carica il ferito perché in quel momento non c'è altro da fare, è un'emergenza. Poi però lo porta a un albergatore, si occupa delle sue prime necessità e, appena la prima emergenza rientra, paga di tasca sua l'albergatore perché faccia il suo lavoro. Gesù lo prende a esempio di amore per il prossimo, e mi ha sempre colpito questo fatto: il Signore ha scelto come esempio proprio lui, non ha preteso che lasciasse il suo lavoro, che stravolgesse la sua vita, che smettesse di essere quello che era, cioè un uomo che anche grazie al suo lavoro aveva la possibilità di soccorrere qualcuno in difficoltà. Possiamo essere più buoni di Gesù?
LA CARITÀ INTELLIGENTE
L'altra cosa che mi ha sempre colpito è che ha pagato un professionista perché facesse il suo lavoro. Questo è il punto centrale. La carità infatti non può essere improvvisata, cialtrona, emotiva. La carità deve essere intelligente, organizzata, ben fatta. Deve prevedere una proiezione nel tempo - se il samaritano fosse rimasto per sempre con l'uomo ferito non sarebbe più stato in grado di soccorrere nessuno.
Allora, come si può fare una carità intelligente, organizzata, ben fatta nei confronti delle persone che vengono da noi in cerca di fortuna (e non è esatto chiamarli profughi, perché nella maggior parte dei casi non stanno scappando da guerre). Se è vero che pagano migliaia di dollari pur provenendo da paesi in cui si guadagna un dollaro al giorno, non si può trovare un modo più intelligente di far fruttare quelle somme? Ma soprattutto, se a muoversi dal paese di origine è una percentuale risibile della popolazione si è samaritani migliori aiutando quell'1% che lascia tutto e parte cercando di arrabattarsi in un paese e in una cultura estranei, con la sola idea di guadagnare soldi e tornare a casa, o aiutando chi rimane a casa magari anche per evitare che tanta gente parta?
Oggi davanti alla Scala Santa un uomo - probabilmente del Bangladesh o zone simili - scatarrava per terra, per la precisione vicinissimo ai miei piedi, vendendo rosari. Ho pensato che probabilmente disprezzava quel luogo e forse persino gli oggetti che vendeva. Ho provato dispiacere per lui, non avversione, davvero, ma dispiacere perché penso che vivere in una cultura estranea alla propria, con la sola idea diraggranellare qualcosa per scappare via, senza amare il proprio lavoro sia degradante per un uomo, soprattutto per un uomo. Diversa la questione di chi va a fare esperienze di lavoro arricchenti, scambi che possono insegnare qualcosa a entrambe le parti, benché non abbia affatto il mito dei cittadini del mondo - come auspicava la ex ministro Giannini, sognando generazioni di senza radici, senza famiglia, precari intellettuali pronti a scommettere tutto sul lavoro e senza alcuna tutela per la costruzione di una famiglia, ma questo è un altro tema.
LA CARITÀ RESPONSABILE
Ecco, credo ci siano tante cose sulle quali ragionare senza farsi prendere dalla pancia. Allo stesso modo quando vedo lo zelo di certe persone tutte protese all'esterno della famiglia e magari distratte nei confronti delle necessità dei propri cari, penso che a volte la vulgata cattolica sulla carità sia un po' approssimativa. La carità è anche sempre responsabile - così come l'apertura alla vita alla quale la madre Chiesa ci invita. La carità è stare nella storia che ci è data, che ci è chiesta. È rendere il mondo un posto migliore. Carità è anche costruire cose belle per Dio. Per esempio sono stata in una parrocchia a Prima Porta dove la preparazione del presepe vivente è costata sforzi di mesi. Una specie di città costruita da tutti i parrocchiani con chissà quali sforzi di tempo e anche risorse. Sarebbe stato meglio dare tutto ai poveri? No, perché quel presepe è per tutti, anche per i poveri, e fa a ogni uomo la carità più grande, aiutarlo ad alzare lo sguardo a quello che conta (e comunque la parrocchia soccorre anche tantissime necessità, perché il bene è diffusivo e le risorse offerte a Dio generano miracolosamente altra ricchezza).
Ecco, non è per prendere alibi, ma per ragionare un po' a voce alta, per non farmi tirare dentro certi tic del politicamente corretto (tipo la proposta, fatta da quel famoso comico, come si chiama, Saviano, di nominare solo sindaci africani per risolvere i problemi del sud, perché ovviamente africano vuol dire necessariamente intelligente, preparato e onesto) che essendo ideologici non fanno tanto i conti con la realtà. Per cercare di capire come si può essere intelligenti nella carità. Una volta volevo accogliere un ragazzo molto molto problematico in casa, ma il mio padre spirituale me lo ha impedito dandomi dell'irresponsabile, perché era certo che avrei potuto mettere in pericolo i miei figli. Ho cercato di essergli vicina in un altro modo. Chissà se ci sono riuscita. Fare il bene è difficile, e comunque senza lo Spirito Santo nulla è nell'uomo, nulla senza colpa.
Nota di BastaBugie: Gianandrea Gaiani nell'articolo sottostante dal titolo "Immigrazione, il piano italiano è senza futuro" parla delle inutili misure annunciate dal governo per arginare l'immigrazione.
Semplificazione delle procedure, accordi bilaterali con i paesi di provenienza, nuovi CIE e incentivi ai comuni per l'accoglienza: le misure annunciate dal governo sono in gran parte illusorie ma soprattutto manca qualsiasi volontà di scoraggiare gli arrivi dalla Libia. Il rischio è soprattutto che si tratti di fumo negli occhi di una popolazione che ha superato il livello di sopportazione, in vista di possibili elezioni. Così come in molti altri paesi europei.
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 9 gennaio 2017:
Un decreto legge per semplificare le procedure e modificare alcune norme; una serie di accordi con i paesi di origine e transito degli immigrati illegali per rendere effettivi i rimpatri forzati; accoglienza distribuita sul territorio nazionale rinnovando gli incentivi già previsti per i comuni che accolgono i migranti; nuovi Centri di identificazione ed espulsione (CIE) per ospitare coloro che devono essere rimpatriati.
Il piano annunciato dal governo italiano appare illusorio perché basato su variabili che non dipendono da Roma, non tiene conto della resistenza che moltissimi clandestini opporranno all'espulsione e soprattutto perché non fa nulla per scoraggiare gli arrivi dalla Libia. Quale deterrenza può esprimere un piano che per il premier Paolo Gentiloni si basa sulla capacità di coniugare "l'attività umanitaria e d'accoglienza" con le "politiche di rigore e di efficacia nei rimpatri"?
Il primo passo sarà un decreto legge che preveda l'annullamento del secondo grado di giudizio in caso di negazione del diritto d'asilo, la semplificazione delle procedure che riguardano le notifiche di espulsione e la possibilità di iscriversi all'anagrafe solo con il permesso di soggiorno regolare. Il provvedimento rischia però di restare aria fritta se coloro che devono essere espulsi, cioè il l'80 per cento almeno di quanti sono sbarcati negli ultimi sei anni secondo Frontex, non verranno cacciati fuori immediatamente dal territorio nazionale. Clandestini che del resto verranno rapidamente sostituiti da altri pronti a sbarcare se Roma non ordinerà alle sue navi militari di rispedire sulle coste libiche i clandestini soccorsi in mare e non vieterà a quelle degli altri paesi Ue e delle ong che si arricchiscono con i soccorsi agli immigrati illegali di sbarcare i clandestini in Italia.
Anche l'idea di Minniti di istituire nuovi CIE ha molti limiti anche se il ministro ha spiegato che "non avranno nulla a che fare con quelli del passato" e che "non c'entrano nulla con l'accoglienza ma con coloro che devono essere espulsi". L'obiettivo è arrivare ad avere centri quasi in ogni regione ma è chiaro che il numero di clandestini da espellere è enorme (se si rispettano le leggi e non si regala l'asilo a chiunque abbia pagato criminali per venire in Italia) e questa gente, per lo più uomini tra i 16 e i 35 anni, non resterà certo tranquillamente dentro i CIE ad attendere di venire espulsa.
Il terzo punto, che riguarda i rimpatri in base ad accordi bilaterali con i Paesi di provenienza, è forse il più aleatorio. E' illusorio pensare di poter stipulare intese credibili con paesi africani governati da cleptocrazie e regimi che non vedono l'ora di liberarsi di parte della loro popolazione sia per alleggerire il peso demografico sia per incassare il denaro in valuta rimesso dagli immigrati. "Lavoriamo per rendere il più possibile effettivi i respingimenti forzati" ha confermato il titolare del Viminale confondendo forse i rimpatri o espulsioni (che si applicano a coloro che sono stati già accolti ma non hanno diritto all'asilo) e i respingimenti (che si applicano a chi viene negato l'accesso al territorio nazionale).
"Il problema è come e dove rimpatriarli", ha detto Minniti perché è "difficile pensare che si possa procedere ad un respingimento immediato delle persone irregolari: bisogna avere prima un rapporto con il paese che deve accoglierli". In realtà ne abbiano già con Tunisia, Nigeria, Egitto e Marocco ma i risultati concreti in termini di clandestini espulsi davvero non sono entusiasmanti.
Offrire denaro ai paesi africani affinché si riprendano i loro cittadini non ha senso perché ci obbligheranno periodicamente a rinegoziare "l'obolo" da versare fino a giungere a un vero e proprio ricatto. Sarebbe molto più efficace usare la leva finanziaria come bastone invece che come carota garantendo il blocco degli aiuti Ue allo sviluppo a tutti i Paesi che non si riportino a casa (a spese loro) i concittadini sbarcati illegalmente in Italia.
Le difficoltà e i costi legati ai rimpatri dovrebbero indurre il governo a procedere immediatamente a riportare sulle coste libiche coloro che vengono raccolti in mare (esclusi bambini soli o persone bisognose di cure, da rimpatriare in un secondo tempo) applicando quei respingimenti assistiti che da anni chi scrive propone come unica soluzione in grado di fermare i flussi illegali di migranti.
Minniti nei prossimi giorni è atteso a Tripoli dove incontrerà un governo di fatto inesistente e che non controlla la Tripolitania, regione in cui la metà del PIL è garantito dai traffici di clandestini verso l'Italia e il cui pseudo-premier, Fayez al-Sarraj ha già detto più volte che non accetterà di riprendersi i migranti salpati dalle coste libiche.
Il governo Gentiloni intende poi ridurre l'impatto dei migranti sul tessuto sociale italiano puntando su un'accoglienza diffusa, pochi immigrati in centri diffusi in tutti gli 8 mila comuni italiani contro i 2.600 che a oggi ne ospitano (spesso costretti dalle prefetture) sul proprio territorio. Un modo per rendere meno visibili persone che non hanno alcun titolo per essere accolte usando anche la leva del rinnovato incentivo di 500 euro a migrante elargito nel 2016 ai comuni "collaborativi".
Solo il tempo potrà dire se il governo intende davvero imprimere un giro di vite sull'immigrazione o se si tratta della solita manfrina in atto in tutti i Paesi Ue i cui governi cercano di mostrarsi oggi intransigenti dopo aver perso consensi proprio a causa delle politiche d'accoglienza di un'immigrazione illegale islamica ormai non più tollerabile nè tollerata. Un po' di chiacchiere forse utili a ridurre l'emorragia di voti verso i partiti cosiddetti populisti in vista delle elezioni che si terranno entro i prossimi 12 mesi in molti paesi europei, Italia inclusa.
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