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In Italia si può già arrivare facilmente a un verdetto letale come quello pronunciato dai medici inglesi sul bambino inglese Charlie Gard. Non sono indispensabili tribunali e sentenze, «sono sufficienti le prassi già in vigore», spiega a tempi.it Alfredo Mantovano, vicepresidente del Centro Studi Livatino.
La "norma" infatti non è amica del malato terminale, grave o impegnativo, e non solo se affetto da una patologia rarissima e semisconosciuta come quella di Charlie: «Nel sistema sanitario italiano accade che un paziente cui viene riscontrata una patologia tumorale sia dissuaso dall'iniziare una cura che potrebbe avere successo se per esempio ha un'età molto avanzata: gli si parla di proporzione tra cure e sofferenze, ma la verità è che le risorse sono limitate, non riescono a garantire a tutti cure costose e impegnative per chi le mette in opera, e, soprattutto, vengono destinate a questioni che si ritengono più importanti. Come la fecondazione artificiale di tipo eterologo».
Mantovano ricorda che approvando i nuovi Lea (livelli essenziali di assistenza pubblica) in cui è inserita la copertura dei costi dell'eterologa, il governo ha di fatto sottratto «ulteriori risorse alla cura efficace di patologie anche gravi per destinarle a una pratica che, al netto di qualsiasi considerazione etica, conosce esiti positivi inferiori al 15 per cento dei trattamenti avviati, ove il "successo" è il "bambino in braccio"». In altre parole, in Italia medici e sanitari sono già costretti a fare selezione perché «sono state fatte delle scelte di tipo ideologico che non orientano le risorse alla tutela della salute dove è necessaria, ma alla tutela dei desideri. Per questo dico che se di una legge c'è necessità oggi non è certo quella sulle Dat, ma una legge che torni a individuare delle priorità giuste, fondate sul rispetto della persona».
TESTAMENTO BIOLOGICO
Mentre si discute del caso di Charlie Gard, in Italia è infatti in corso di approvazione una legge sul testamento biologico che apre all'eutanasia anche dei minori, rendendo possibile la sospensione di idratazione e nutrizione qualificate come trattamenti sanitari: «Nell'articolo 1, comma 6, si legge: "Il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali. A fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali". Quest'ultimo periodo è stato inserito come una beffa, spiegando che permetterebbe il riconoscimento dell'obiezione di coscienza; in realtà può essere utilizzato esattamente al contrario. In un caso come quello di Charlie, che non è in grado di esprimersi e per il quale sono i genitori a farlo, verrebbero richiesti trattamenti sanitari che consentano un filo di speranza. Ma proprio per il contesto e le prassi di cui parlavamo sopra, la richiesta avrebbe esito negativo, e così questa norma darebbe pieno fondamento allo stesso risultato a cui si è arrivati in Inghilterra».
DUE CASI OPPOSTI, STESSA SENTENZA
Lo stesso esito che in Italia ebbe un caso opposto, quello di Eluana Englaro. Per Charlie è stata determinante la nomina di un guardian (lo ha spiegato bene il Foglio), nel caso Englaro lo è stata la nomina di un tutore allineato alla decisione del padre Beppino di non farla più assistere: in entrambi i casi ai giudici non è spettato che indagare la "posizione legale" senza entrare nel merito delle due vicende. Per Eluana venne usato l'alibi dell'autodeterminazione delegata a un terzo (la stessa che con la disciplina per i minori prevista dalle Dat realizzerebbe un'eutanasia di non consenziente, non essendo di fatto il paziente a decidere), ma per Charlie questo potere decisionale delegato ai genitori non sarebbe valido. Per Eluana il padre ha chiesto la morte, per Charlie i genitori hanno chiesto la vita. Due casi opposti, stessa sentenza. Cosa accadrebbe a un Charlie Gard in Italia, dunque? Quello che accade già ora, mentre per la prima volta nel nostro ordinamento sta passando una legge che afferma in modo esplicito il principio della disponibilità della vita umana contro quello della sua indisponibilità [leggi: LA STORIA DI CHARLIE GARD E DEI SUOI GENITORI, clicca qui, N.d.BB].
Nota di BastaBugie: Rino Cammilleri nell'articolo sottostante dal titolo "La vita di Charlie vale meno di quella di un cane" fa capire che c'è Charlie e Charlie. L'altro Charlie è un cane che un cuoco italiano aveva inavvedutamente portato con sé a Copenaghen, dove lavora. Le autorità danesi gli avevano sequestrato la bestia, appartenente a una delle razze pericolose che è vietato introdurre in Danimarca. E grazie alla Farnesina e a un imponente tam tam mediatico il cane sarà salvato. Alfano esulta. Ma il vero Charlie invece...
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 30 giugno 2017:
Perfino papa Francesco ha ammonito il popolo, quando si è accorto che certi cani e gatti hanno più cure e coccole dei bambini. Anzi, ormai i pets hanno sostituito i babies nel cuore di troppi. E Bergoglio non è certo uno che ami andare contro il trend politicamente corretto. Ma una volta tanto, nelle sue uscite a braccio, aveva centrato il punto. Quanno ce vo' ce vo' [leggi: PAPA FRANCESCO: CANI E GATTI NON SONO SURROGATI DEI FIGLI, clicca qui, N.d.BB].
Ormai siamo così incancreniti nell'edonismo dell'«attimo fuggente» (cioè, godi oggi, domani si vedrà...) che ci commuoviamo fino alle lacrime per la sorte di un cagnetto mentre non ci importa niente, anzi sbuffiamo infastiditi, per quella di un bambino malatissimo.
Parliamo di Charlie Gard, il bambino inglese affetto da una rara malattia genetica che i genitori, Chris e Connie, vorrebbero sottoporre a una cura sperimentale negli Usa ma a cui l'ospedale inglese dove è ricoverato vuole staccare la spina. I sette giudici della Corte europea dei diritti dell'uomo, cui i due genitori si erano rivolti contro l'ospedale (il Great Ormond Street Hospital), hanno dato loro torto e adesso il piccolo può essere tranquillamente terminato. In questo caso, a gridare «siamo tutti Charlie» sono stati solo i credenti, soprattutto i cattolici, che hanno inanellato una catena internettiana di preghiere e stilato una supplica al Santo Padre, affinché ci metta una buona parola.
Si erano rivolti anche al presidente della repubblica italiana, perché concedesse al bambino la cittadinanza, così da avere almeno un appiglio in qualche articolo della nostra Costituzione che parla del diritto alla salute. Ma c'è Charlie e Charlie, come profeticamente il pontefice aveva paventato.
L'altro Charlie è, ovviamente, un cane, per l'esattezza un dogo argentino, che il cuoco italiano Giuseppe Perna aveva inavvedutamente portato con sé a Copenaghen, dove lavora. Qui le autorità danesi gli avevano sequestrato la bestia, appartenente a una delle razze pericolose che è vietato introdurre in Danimarca. A parte il fatto che non è chiaro come l'uomo sia riuscito a fare entrare il suo cane nel Paese (gli agenti di frontiera non sapevano che a quella razza era proibito l'ingresso?), la legge è legge anche in Danimarca e per detta legge il cane vietato andava soppresso. Apriti cielo.
Le organizzazioni animaliste hanno inscenato un tam-tam internazionale che, solo in Italia, in pochi giorni ha raccolto 340 mila firme, l'ambasciata danese è stata subissata, la solita Maria Vittoria Brambilla si è messa le mani nei rossi capelli e si è subito mobilitata, la cantante Noemi ha lanciato uno spot supplice per la vita di Iceberg (questo il nome del cane, che i tiggì ci hanno mostrato a lungo mentre affettuoso gioca col suo padrone). Anche il nostro ministro degli esteri, a quel punto, ha dovuto darsi una mossa et voilà: finalmente l'ambasciatore danese Erik Lorenzen ha mostrato il pollice dritto. Il governo danese ha deciso di soprassedere all'esecuzione del cane italiano e tutti stappano bottiglioni di champagne. In effetti, non c'è del marcio in Danimarca: se il dogo italoargentino non si fosse trovato protagonista di una furibonda zuffa con altra bestia, le autorità non se ne sarebbero nemmeno accorte (come le guardie di frontiera).
Comunque, tutto è bene quel che finisce bene. Anche se non si sa come andrà a finire 'sta storia: il cane dovrà essere rimpatriato? il padrone potrà continuare a tenerlo praeter legem? ci sarà alla frontiera danese un affollamento di cani vietati? Boh. E non ci interessa. Quel che ci interessa è l'ammonimento-profezia del papa, qui avverato in pieno: la cosiddetta opinione pubblica si agita più volentieri per la vita di un cane che per quella di un bambino malato. Siamo ormai alla frutta. Che dico? All'ammazzacaffè. Dopo di che, però, viene il conto...
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