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« Torna ai risultati della ricerca
«L'età della pietra non finì perché l'uomo rimase senza pietre e l'età del ferro non finì perché rimase senza ferro ... Finirono perché l'uomo seppe escogitare qualcosa di nuovo, di meglio...». Così scrive l'economista indiano Indur Goklany in The improving state of the world (Cato Institute 2007).
Con troppa frequenza negli ultimi tempi abbiamo letto o ascoltato considerazioni di chi, per spiegare fenomeni economici o climatici, mette in discussione l'utilità della vita umana. E queste tesi cerco di contestarle da circa due anni sulle colonne dell'Osservatore Romano diretto da Giovanni Maria Vian.
Il maggior economista-demografo contemporaneo, Alfred Sauvy, ha spiegato e dimostrato che tra crescita della popolazione e sviluppo economico c'è una perfetta correlazione. Ancora oggi, al contrario, altri studiosi affermano disinvoltamente che la crescita demografica origina il cambiamento climatico e non è invece origine della crisi economica, anzi: che il crollo della natalità ha fatto bene ai paesi occidentali mentre nei paesi più poveri ha provocato maggior povertà.
L'insistenza con cui si continua a imputare alle nascite umane molti mali di cui soffriamo, senza poterlo dimostrare, ci ha portato invece a soffrire danni peggiori. Si pensi alle teorie neomalthusiane di metà anni 70, divulgate e accettate proprio nel mondo occidentale, che - estrapolando dati confusi - previdero che prima della fine del secolo milioni di persone sarebbero morte di fame per mancanza di risorse (in Cina e India).
Oggi verrebbe da ridere a pensare a queste capacità interpretative e previsionali, eppure l'attitudine a continuare a credere a spiegazioni "intuitive" riguardo la popolazione non cessa. La stessa Onu spiegò che tra il 1900 e il 2000 la popolazione mondiale era sì cresciuta di 4 volte, ma il Pil mondiale era cresciuto di ben 40 volte.
In più è bene ricordare che, mentre negli anni Sessanta la crescita della popolazione nei paesi poveri era di ben sei figli a coppia, nel 2005 scende a tre figli. Così nel 1960 il Pil dei paesi ricchi era 26 volte quello dei poveri, negli ultimi anni, grazie allo sviluppo di Cina e India è sceso a 5/7 volte.
Già il reverendo Malthus nel 1798 e l'economista del Mit Lester Thurow più recentemente, hanno cercato di spiegare che per far crescere il Pil si devono ridurre le nascite, ciò perché la crescita economica è più alta quanto il rapporto Pil/popolazione è superiore a uno. Così basta ridurre il denominatore, anziché aumentare il numeratore...
Ma altri due economisti, Shumpeter e Solow, negarono queste teorie malthusiane proponendo come soluzione invece proprio la crescita del numeratore, cioè il genio innovativo dell'uomo capace di sviluppare tecnologie per far crescre il Pil senza ridurre le nascite. Fu allora che si manifestarono le vere “intenzioni” verso la razza umana, spostando il problema dalla crescita economica all'ambiente.
Ciò fu fatto affermando che la crescita economica legata alla crescita della popolazione era intrinsecamente perversa perché peggiorava la qualità della vita, incoraggiava bisogni superflui provocando consumo di risorse non rinnovabili e conseguentemente inquinando il pianeta. Dimenticando o ignorando che è la ricerca tecnologica che migliora questo tipo di qualità della vita e che questa ricerca si può sostenere se la ricchezza cresce e questa cresce realmente e sostenibilmente se cresce la popolazione.
Se in un paese la popolazione non cresce, il suo rischio non è solo di regressione economica, ma anche di riduzione di potere politico verso altri paesi. Non si dimentichi lo shock provocato da un report di una nota banca d'affari americana a fine anni 90 quando spiegò che, crescendo gli Usa del 3% all'anno e l'Asia del doppio o più, entro il 2020 gli Usa sarebbero cresciuti dell'80% e l'Asia del 165% con conseguenti effetti di potere economico e politico. Non è illecito pensare che questa previsione possa aver influenzato la diponibilità dei governi Usa a sostenere la politica di crescita del Pil anche con i famosi mutui subprime...
Riguardo il rapporto tra cambiamento climatico e popolazione, quel che si dovrebbe auspicare è un vero confronto e chiarimento scientifico fra opposte tesi. Non è pensabile che vi siano scienziati che sostengono che i cambiamenti climatici siano dovuti all'eccesso di popolazione e altri che li imputino a fluttuazioni climatiche assolutamente naturali e per nulla eccezionali. Così come non è pensabile che esistano differenze così grandi sul fatto che la scienza empirica abbia stabilito o no una connessione univoca tra l'aumento dell'anidride carbonica e il riscaldamento globale osservato.
Se è vero che nel XX secolo la temperatura media globale è cresciuta solo di circa 0,6 gradi centigradi, il problema del riscaldamento globale cosa è, fantasia o realtà? Il vero problema però, riguardo questa risposta, è che non si chiede tanto un dovuto risparmio energetico o maggior sobrietà nei consumi, entrambi opportuni, si sta invece suggestionando l'opinione pubblica affinché si veda nell'uomo e nelle nascite origine e causa della distruzione della Terra. È l'uomo il nemico da sconfiggere per salvare la Terra?
Da sempre, dai tempi più remoti, l'uomo sulla Terra ha temuto che si fosse in troppi. Anche per Caino, Abele era di troppo, creava problemi di competizione economica nell'allevamento ovino e inquinava l'ambiente con i suoi troppi sacrifici a Dio...
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