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L'arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, ha presentato alcune linee guida per gli insegnanti delle scuole di confessione anglicana. In esse si può leggere che i bambini «dovrebbero essere liberi di esplorare le possibilità di chi potrebbero essere senza giudizio o derisione» dato che «sono in una fase di sperimentazione della vita e non è necessario fissare delle etichette». Inoltre «occorre evitare di definire irregolare, anormale o problematico il comportamento dei bambini solo perché non si conforma agli stereotipi di genere». Ovviamente è necessario condannare «ogni bullismo, incluso quello omofobico, bifobico o transfobico».
Tra tutti gli ambiti in cui l'anticultura gender si può infiltrare, di certo quello ecclesiale è il privilegiato: se anche i capi religiosi accettano la teoria del gender per la massa è segno inequivocabile che tale teoria è cosa buona.
Nota di BastaBugie: ecco altre notizie dal gaio mondo gay (sempre meno gaio).
"GAY FRIENDLY ITALY": PER CERTIFICARE LE STRUTTURE TURISTICHE AMICHE DEI GAY
Si chiama Gay Friendly Italy ed è una piattaforma per certificare le strutture turistiche italiane gay friendly. Il bollino arcobaleno viene dato quando la struttura aderisce ad una Carta dei valori promettendo così di non mettere in atto condotte discriminatorie.
Il sito offre anche guide turistiche, coupon, offerte commerciali dedicate, bollettino informativo sulle iniziative gay friendly e percorsi di formazione per gli operatori turistici.
Un altro esempio per dimostrare che l'omosessualità da tempo non è più solo un orientamento sessuale, ma fenomeno sociale strutturato, realtà che fa gola anche agli imprenditori i quali vorranno il bollino arcobaleno più che per convinzione ideologica per scopi lucrativi perché così allargheranno il bacino di utenza della loro clientela.
(Gender Watch News, 20 novembre 2017)
ALL'UNIVERSITÀ DI SIENA APRE LO SPORTELLO LGBT
E' stato inaugurato a Siena, in collaborazione col Comune e con la Rete nazionale delle pubbliche amministrazioni anti discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere, denominata READY, lo sportello LGBT dell'Università di Siena.
"Un punto di riferimento informativo - commenta l'assessore alle Pari Opportunità, Tiziana Tarquini – che va ad aggiungersi a quelli del Movimento Pansessuale Arci Gay Siena e delle associazioni "DonnachiamaDonna" e "Serenamente - Centro Dedalo" nell'ambito del network Orientiamoci alle differenze, nato allo scopo di fornire una rete di primo orientamento e una help-line sulle tematiche di genere. Si tratta di un servizio competente e qualificato, in quanto gli operatori sono stati debitamente formati sulle conoscenze specifiche in ambito di orientamento sessuale, affettivo e di identità di genere, oltre che nelle tecniche di counseling nella relazione di supporto".
"Una città che è in grado di offrire certe opportunità di sostegno e di approfondimento - afferma il sindaco Bruno Valentini - è senz'altro una città più attenta e sensibile nella tutela dei diritti delle persone. Il contrasto all'omofobia e a qualsiasi tipo di discriminazione basata sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere deve essere visto come una battaglia di civiltà e superare, quindi, ogni distinzione di natura politica".
"Lo sportello che inauguriamo oggi - aggiunge il professor Alessandro Donati, delegato alla Cittadinanza Studentesca - è un altro servizio che l'Ateneo aggiunge grazie alla sinergia con il Comune e con il Movimento Pansessuale. Speriamo che tale esperimento possa aiutare studenti e studentesse a risolvere piccoli e grandi questioni personali legate all'identità di genere".
Non è chiaro, però, a cosa servirà lo sportello in questione, se non ad allineare l'Università di Siena all'ideologia gender oggi dominante ed a fornire consigli in materia di orientamento sessuale sui quali, date le premesse, ci permettiamo di avanzare fin d'ora forti riserve. La notizia dimostra piuttosto ancora una volta quanto il movimento LGBT, pur essendo espressione di un pensiero debole, trovi sponda in ambienti accademici ed istituzioni che fanno a gara nel rincorrere il politically correct.
(Tommaso Monfeli, Osservatorio Gender, 7 novembre 2017)
LA BATTAGLIA DEI SESSI, PIÙ IDEOLOGIA CHE TENNIS
Una partita di tennis può avere un'influenza che va molto oltre il rettangolo di gioco, come emerge da La battaglia dei sessi, film con Emma Stone e Steve Carrel attualmente nelle sale cinematografiche italiane.
La pellicola prende spunto da fatti realmente accaduti. Siamo negli anni Settanta negli Stati Uniti, in un contesto sociale segnato dalle rivendicazioni femministe e dalla rivoluzione sessuale. Nel 1972 un gruppo di tenniste, tra le quali spiccava il nome della campionessa mondiale Billie Jean King, decide di fondare la Women's Tennis Association (WTA), con l'intento di ottenere un'uguaglianza di compenso tra uomini e donne, a parità di pubblico attirato alle competizioni.
Una rivendicazione accolta con scetticismo negli ambienti sportivi, dove la differenza fisica tra i due sessi è evidenza comprovata, ma che viene invece sfruttata dell'ex campione di tennis maschile Bobby Riggs, cinquantacinquenne vittima del gioco d'azzardo e nel pieno di una crisi coniugale.
Riggs contatta dunque la King, proponendole di sfidarsi pubblicamente: la tennista tuttavia rifiuta, temendo che una sua eventuale sconfitta nel match potesse andare a discapito della causa che lei e le sue compagne portavano avanti. Non fu dello stesso avviso però la campionessa in carica - nonché neomamma - Margaret Court, che accetta la sfida di Riggs: il 13 maggio 1973 venne così giocata a Ramona (California) la prima "Battaglia dei sessi", che vide una facile vittoria di Bobby Riggs.
A questo punto la ventinovenne Billie Jean King non poteva più sottrarsi alla sfida: era lei l'unica atleta che poteva risollevare la posizione delle donne, battendo l'ex campione maschile.
Ed eccoci quindi alla partita entrata nelle antologie. Un match preparato nei minimi dettagli dalla giovane tennista, e che viene invece preso sottogamba dal baldanzoso Bobby, il quale non impiega il suo tempo nel tentativo di recuperare la vecchia forma perduta, bensì si diletta in scenette dai connotati ostentatamente misogini.
La seconda "Battaglia dei sessi" fu una partita avvincente, sudata, che - come si diceva in apertura - ha avuto il merito di stimolare un confronto pubblico sul ruolo delle donne all'interno della società, nella salvaguardia della peculiarità dei due sessi. E tutto questo di certo anche grazie alla determinazione e al coraggio della giovane Billie Jean King, nonché delle altre atlete della WTA.
Questo quindi il resoconto della vicenda sportiva, così come si è svolta. Un pezzo importante di storia che, nei suoi aspetti positivi e in quelli negativi, non nega un dato di fatto: uomini e donne sono diversi, sia nel fisico, sia nel cervello. E il fatto che la partita sia poi stata portata a casa da Billie Jean King non nega l'evidenza della differenza di età e di condizione fisica tra i due atleti, così come il fatto che una precisa preparazione mentale e l'elaborazione di una tattica capace di esaltare i propri punti forti e - di contro - di andare a colpire l'avversario sui suoi punti deboli, sia importantissima. La sola forza fisica non basta nello sport.
Ma veniamo ora alle criticità del film diretto da Jonathan Dayton e Valerie Faris, che presenta un importante carattere di propaganda ideologica pro-LGBT e anti-famiglia. Infatti, pur prendendo spunto dalla realtà, più che al tennis La Battaglia dei sessi dà moltissimo spazio alla vicenda d'amore omosessuale tra Billie Jean King e Marilyn Barnett, concretizzatasi proprio nella primavera del 1973 e nonostante la King fosse sposata dal 1965. Una storia di tradimento che nel film viene rappresentata senza filtri - dando così l'ennesimo schiaffo al più basilare senso del pudore - e che, anzi, viene posta in maniera tale da portare lo spettatore a legittimare le due donne "innamorate".
Una propaganda ideologica che alla fine della pellicola si fa palese, almeno in due frangenti. Il primo subito dopo la vittoria di King su Riggs, quando il responsabile "stilistico" - chiaramente con tendenze omosessuali - vedendo la giovane tennista in crisi rispetto alla presenza del marito e a quella della sua amante, le sussurra in un orecchio che ora è il momento di godersi la vittoria sportiva, mentre la battaglia per ottenere la possibilità di "amare chi si vuole" è di là da venire. E la storia ci conferma che fu effettivamente così: solo negli anni Ottanta la King uscì allo scoperto e divenne la prima atleta statunitense a riconoscere apertamente di aver intrattenuto una relazione omosessuale.
Il secondo spot pro-LGBT lo si ha invece nei titoli di coda, dove si legge che qualche anno dopo Billie Jean King divorziò dal marito per fare coppia con una donna. Donna con la quale fece poi - ovvio, no? - da madrina per i due figli dell'ex marito.
Concludendo, quindi, la Battaglia dei sessi è un film che lascia poco spazio allo sport e molto all'ideologia.
(Teresa Moro, La Nuova Bussola Quotidiana, 13 novembre 2017)
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