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Dopo l'approvazione della legge cosiddetta sul fine vita, nel mondo cattolico si sono levate molte minacce di fare obiezione di coscienza ai punti in cui la legge apre all'eutanasia e sono emerse molte proteste perché la legge non ammette tale diritto all'obiezione di coscienza. Come illustrato dalla Nuova Bussola Quotidiana anche il Segretario di Stato Pietro Parolin ha detto che una carenza della legge è proprio la mancanza della tutela di questo diritto. Molte istituzioni sanitarie cattoliche hanno alzato la voce. Il Presidente del Forum nazionale che riunisce tutte le associazioni socio-sanitarie cattoliche Aldo Bova è stato chiaro: «Non lasceremo morire di sete e di fame nessuno». Il ministro della sanità Lorenzin ha detto che incontrerà i responsabili di queste associazioni. Sulla possibile soluzione politico-giuridica è in atto un confronto. Tutto ciò è noto, ma forse su alcune conseguenze della situazione non si è ancora riflettuto a dovere.
I fatti ora ricordati rendono prima di tutto evidente che i parlamentari cattolici che hanno votato questa legge hanno sbagliato. Come pure hanno sbagliato le associazioni cattoliche, come l'Unione dei Giuristi Cattolici, che hanno consigliato i parlamentari di votare sì alla legge. Se infatti ora si minaccia di fare obiezione di coscienza e si protesta perché la legge non la permette, vuol dire che la legge era ed è da considerarsi ingiusta. Se la legge sulle DAT fosse giusta e votabile anche da un cattolico, non si capirebbe questa richiesta di poter fare obiezione di coscienza. In altri termini, l'affermazione del cardinale Segretario di Stato che lamenta la mancanza del riconoscimento del diritto all'obiezione di coscienza nel testo di legge contiene una condanna del testo stesso non solo su questo punto ma nella sua complessiva sostanza giuridica.
PERCHÉ GRIDARE 'AL LUPO' QUANDO IL LUPO È GIÀ ENTRATO NELL'OVILE?
Questi fatti ci ricordano poi anche che molti di coloro che ora minacciano l'obiezione di coscienza e che protestano perché la legge non la prevede, non si erano però granché visti in fase di discussione della legge a dire che essa era ingiusta e che andava combattuta. Coerenza avrebbe voluto che avessero parlato chiaro anche prima e avessero mobilitato l'opinione pubblica, indirizzato adeguatamente la valutazione dei credenti e spinto i parlamentari ad un diverso voto. Perché gridare "al lupo!" quando il lupo è già entrato nell'ovile?
I fatti di cui stiamo parlando ci dicono infine una terza cosa ancora più importante. La richiesta dell'obiezione di coscienza in presenza di una legge ingiusta è corretta e doverosa. Nulla c'è quindi da rimproverare a chi oggi la sostiene, a parte quanto appena visto. Non deve però passare l'idea che una legge sia buona se permette l'obiezione di coscienza. Se una legge è ingiusta e, per esempio, ammette l'uccisione di una persona innocente, non sarà resa giusta dal fatto di concedere al medico o operatore sanitario di rifiutarsi di collaborare. Chi chiede ora l'obiezione di coscienza senza aver in precedenza lottato contro la sua approvazione fa pensare che a lui non interessi tanto che la legge sia giusta o ingiusta quanto che preveda la possibilità di obiettare. Così ognuno potrà comportarsi in coscienza: chi è a favore non obietta, chi è contro fa obiezione e così tutti sono contenti.
VISIONE LIBERALE (QUINDI NON CATTOLICA) DELLA COSCIENZA
In questo modo però si dimostra di fare riferimento ad un concetto di legge e di obiezione di coscienza alla legge che non sono quelli cattolici. La legge non è resa buona o cattiva dall'adesione o meno delle coscienze individuali. La legge è resa buona o cattiva dal fatto che rispetti o meno la legge morale naturale, ossia la struttura finalistica e normativa della realtà. Il diritto all'obiezione di coscienza, poi, non si fonda sul diritto ad avere una propria opinione e di attenersi ad essa per coerenza personale nel nostro agire concreto, ma sul dovere imprescindibile di non contraddire "la legge superiore degli Dei", come diceva Antigone, ossia un ordine oggettivo di verità che nessuna coscienza ha il diritto di contraddire.
Si mostra piuttosto di fare riferimento alla visione liberale della coscienza, intesa non come l'adesione consapevole e prudenziale al vero e al bene, ma come l'espressione di una autodeterminazione individuale avente valore semplicemente per il fatto di essere voluta.
La legge in questione si fonda sull'approvazione della coscienza dei parlamentari che l'hanno votata, cosa che non è garanzia di nulla, come se quei parlamentari avessero detto che a loro piace il gelato al pistacchio. Si fonda poi sull'approvazione delle coscienze dei cittadini e degli operatori sanitari che la accettano considerandola conforme alla loro opinione. Ed anche questo non assicura granché. Non vorrei si pensasse che si fonda anche su coloro che la accettano perché permette loro di fare obiezione di coscienza.
Nota di BastaBugie: Renzo Puccetti nell'articolo sottostante sul caso di eutanasia di Marina Ripa di Meana dal titolo "Sedazione ed eutanasia, facciamo chiarezza" spiega che la sedazione profonda rientra a pieno titolo tra le cure palliative, ma può essere usata anche con intenti eutanasici, se si dà un'overdose di oppiacei per accelerare la morte. E la legge sulle Dat dà un'ulteriore possibilità di usare la sedazione a scopo di eutanasia.
Ecco dunque l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana l'8 gennaio 2018:
Marina Ripa di Meana, come ogni attore consumato, è morta sul palcoscenico. TV e riviste erano state le tavole su cui aveva vissuto, e sul video ha recitato la sua ultima interpretazione. Ad attirare l'attenzione non è però lei, la protagonista, parce sepulto, non è la spalla, né la fotografia dove s'inquadra una Marina seduta sul divano con un semplice occhialino nasale per l'ossigeno. Quello che veramente colpisce è la sceneggiatura di questa rappresentazione per la quale non si può che dare riconoscimento all'abilità dell'autore.
A Maria Antonietta Farina Coscioni "ho manifestato l'idea del suicidio assistito in Svizzera", dice la Ripa di Meana. "Lei mi ha detto che potevo percorrere la via italiana delle cure palliative con la sedazione profonda". Capolavoro, autentico capolavoro, reso ancora più tale dalle parole che seguono: "Io che ho viaggiato con la mente e con il corpo per tutta la mia vita, non sapevo, non conoscevo questa via. Ora so che non devo andare in Svizzera. Vorrei dirlo a quanti pensano che per liberarsi per sempre dal male si sia costretti ad andare in Svizzera, come io credevo di dover fare. È con Maria Antonietta Farina Coscioni che voglio lanciare questo messaggio, questo mio ultimo tratto: per dire che anche a casa propria, o in un ospedale, con un tumore, una persona deve sapere che può scegliere di tornare alla terra senza ulteriori e inutili sofferenze".
Perché queste parole sono veramente notevoli? Perché esse sono un vertice di anfibolia. In effetti le parole citate possono essere usate sia per descrivere il vertice dell'arte medica, la sedazione palliativa, quel continuare ad assistere il paziente quando ogni speranza di guarigione è affidata solo al miracolo, sia per indicare la sua totale corruzione, la sedazione eutanasica. Due cose tra loro apparentemente simili, ma in realtà totalmente contrarie l'una all'altra, che credo valga la pena delineare meglio.
La sedazione profonda è un termine non scientifico; in ambito medico si parla di sedazione palliativa. Si tratta di una procedura attuata in presenza di sintomi incoercibili, cioè non dominabili attraverso altri strumenti. Ne sono esempi il dolore, o la dispnea. Viene eseguita in genere attraverso la somministrazione di benzodiazepine, abitualmente midazolam, che, contrariamente a ciò che è ricercato con l'eutanasia, non inducono la morte, ma la sedazione. Con la sedazione palliativa si dominano i sintomi, arrendendosi al fatto che la morte sopraggiunga a causa della malattia. Dunque non è un mezzo uccisivo, né viene instaurato con intenzione uccisiva. Con la sedazione palliativa i sostegni vitali, come l'idratazione e la nutrizione del paziente, vengono mantenuti nella misura in cui essi continuano ad essere proporzionati (quasi sempre lo sono, anche se non assolutamente sempre).
La sedazione palliativa è una procedura irreversibile, nel senso che non si risveglia il paziente (se lo si facesse il paziente patirebbe nuovamente i sintomi incoercibili per cui la sedazione è stata attuata, cosa illogica, crudele e contraria alla missione medica). Se il paziente prima di sedarlo è cosciente, dovrebbe essere interpellato circa eventuali obblighi religiosi o umani che in coscienza desidera adempiere.
La sedazione eutanasica è una cosa totalmente differente. Essa consiste in una sedazione che precede la morte indotta del paziente o direttamente dai farmaci sedativi, o attraverso l'interruzione di sostegni vitali. Se si utilizza farmaci oppiacei a dosi tanto elevate da sopprimere l'attività dei centri del respiro, quello che si induce non è altro che un'overdose da oppiacei e dunque il paziente muore così come purtroppo talora muoiono gli eroinomani. Se ciò è commesso intenzionalmente siamo in presenza di un'eutanasia. In questo caso la sedazione è solo un passaggio intermedio prima della morte per asfissia. Dal punto di vista legale un tale comportamento configura il reato di omicidio, o di omicidio del consenziente.
Se si effettua una sedazione palliativa (in assenza di sintomi refrattari), perché subito dopo s'interrompe la nutrizione e l'idratazione come fu fatto per la povera Eluana, o la ventilazione, come è avvenuto per Piergiorgio Welby, siamo in presenza di un atto parimenti eutanasico, dove l'eutanasia non è data dalla sedazione di per sé, ma dall'interruzione dei sostegni vitali, l'idratazione e la ventilazione, e dove la sedazione palliativa ha lo scopo di dominare i sintomi che insorgono dall'azione eutanasica: i sintomi da disidratazione, o la percezione del soffocamento. Dunque in questi casi la sedazione è palliativa di un atto eutanasico, s'inserisce in una procedura eutanasica e dunque per questo è una sedazione eutanasica.
Ma questa seconda modalità è invece resa possibile dalla legge sul fine vita che il presidente dei senatori PD ha definito "una legge di civiltà", attraverso la clausola del consenso informato. È la consapevolezza che questa modalità eutanasica è divenuta legale, dunque esigibile come un diritto, che ha strappato le lacrime di gioia di quella consumata protagonista del fronte eutanasico - oltre che contraccettivo, abortivo, fecondativo - sorprendentemente elevata, non so se e con quale livello di infallibilità magisteriale, tra i grandi d'Italia.
Non possiamo giudicare a quale delle due forme di sedazione Marina Ripa di Meana si riferisse, quel che si può dire è che l'autentica sedazione palliativa risponde a tutti i criteri dell'atto medico, essa è un atto moralmente lecito che in talune circostanze diventa doveroso. Ed il fatto che i radicali siano abili a giocare con le parole, non deve indurre le persone a pensare che sia sporco ciò che è pulito, né pulito ciò che è sporco.
I radicali sanno bene che una volta assuefatti a questa forma di eutanasia, sarà per loro molto semplice convincere che l'iniezione letale all'olandese o il cocktail di barbiturici svizzero attuino con molta più rapidità quella morte che è ormai divenuta prassi consolidata. Quella della scelta è l'amo per gli allocchi, è il passaggio intermedio per bollire la rana, è la tappa in vista della meta: eliminare i malati cronici, costosi e improduttivi, è il rientro dolce neomalthusiano e pannelliano volto a trasformare le case private e gli ospizi in liete gaskammern [camere a gas].
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